giovedì 25 settembre 2014

Se fosse vero il nostro paese é proprio finito. Una veravargogna nel panorama mondiale.


Matteo Renzi furioso con De Bortoli. Tra i suoi è caccia al "nemico". Tra i sospetti, anche Bazoli-Prodi

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BAZOLI PRODI
In Parlamento non si parla d’altro. Il feroce editoriale del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli contro Matteo Renzi è una ‘bomba’ la cui deflagrazione arriva a New York, dove - guarda caso proprio oggi – il premier incontra Sergio Marchionne, l’ad Fiat, ovvero dell'azionista di maggioranza relativa del Corsera. Renzi è inviperito, a dir poco. Con i giornalisti, commenta lapidario: “Auguri e in bocca al lupo al Corriere per la nuova grafica”. Ci pensa Marchionne a prendere le sue difese: “Renzi a me piace, ha coraggio. Parla del futuro per la prima volta, ha un'impresa, compiti enormi. Nelle sabbie mobili ci potevamo restare prima dell'euro, ma adesso serve una risposta ai problemi. Lo si lasci in pace, lo si lasci lavorare per il bene dell’Italia. Il Corriere? Non lo leggo normalmente”. E’ l’assist più forte per il premier. Mentre a Roma, nel Pd renziano e non-renziano, si scatenano dubbi e interpretazioni, sospetti e indiscrezioni sulle opinioni di un giornalista, ancorché direttore uscente di uno dei maggiori quotidiani italiani. Quasi che quell’editoriale in prima pagina, crudele fin dal titolo “Il nemico allo specchio”, funzioni da specchio delle difficoltà che sta attraversando il governo e, a ricasco, il Pd. 
Uno specchio rotto in cui ognuno, a seconda dell’area di appartenenza, ritrova una sua risposta, un sospetto, un dubbio che rimbalza riga dopo riga dello stringato editoriale. E tra le varie interpretazioni c’è anche quella che si sofferma su una riga dell’ultimo paragrafo, dove viene posto “l’interrogativo più spinoso”. Vale a dire: “Il Patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica, forse a inizio 2015. Sarebbe opportuno conoscerne tutti i reali contenuti. Liberandolo dai vari sospetti (riguarda anche la Rai?) e, non ultimo, dallo stantio odore di massoneria”.
Soprattutto l’ultima parola incuriosisce i più. Nelle aree più vicine al premier c’è chi dietro De Bortoli vede il duo composto da Giovanni Bazoli (altro azionista del Corsera) e Romano Prodi. Perché, sarebbe la spiegazione, il professore avrebbe capito che il suo nome non è contemplato dal Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi per l’elezione del prossimo inquilino del Colle. Secondo questa chiave di lettura, l’attacco di oggi sarebbe un modo per indebolire il premier e il Patto che ha stretto con Berlusconi, in modo da influenzare l’elezione del prossimo capo dello Stato. Un'interpretazione sulla quale l'ufficio stampa di Prodi replica così: "Soltanto un cretino può ritenere che il Presidente Prodi si rammarichi di essere 'non contemplato dal patto del Nazareno per l'elezione del prossimo inquilino del Colle'. Inoltre si cade in un grave errore se si ritiene che il Presidente Prodi possa influenzare l'editoriale del direttore del Corriere della Sera".
E poi tra i renziani c’è chi ricorda le critiche dell’ex amico Diego Della Valle, altro azionista del Corriere, abbastanza piccato con il governo dall’estate scorsa. “Ma il suo rapporto con Renzi è sempre stato altalenante”, dice un renziano doc. 
C’è di più. Nel Pd, i renziani cercano la reazione ma non nascondono la preoccupazione. Lo specchio rotto rende anche l’immagine delle fratture che sono evidentemente intervenute tra un pezzo dell’imprenditoria-editoria italiana e il governo nato a febbraio. Per non parlare della minoranza Pd, che si ritrova stretta tra la propria battaglia contro il Jobs Act e il rischio di essere usata inconsapevolmente per manovre anti-Renzi che scorrono al di sopra delle loro teste, almeno la maggior parte di loro. Sullo sfondo, il terrore che dietro l’attacco di De Bortoli ci siano manovre per sostituire Renzi con un governo tecnico telecomandato dalla Troika. Un incubo che i renziani tendono a scacciare “perché, una volta caduto Renzi, non ci sarebbe un’altra maggioranza per un altro governo”, ti dicono, sapendo che sul Jobs Act Renzi potrebbe davvero far saltare il banco e puntare al voto anticipato, alle brutte anche con il Consultellum (leggi qui). E infatti, le sue dichiarazioni da New York non lasciano intravedere grandi mediazioni con le minoranze: “Il primo obiettivo è cambiare il mercato del lavoro perché è focalizzato sul passato e quindi ci sono troppi disoccupati. Lunedì presenterò in direzione le mie idee che sono condivise, ci sarà un dibattito, si discute e alla fine si decide, si vota e si fa tutti nello stesso modo, si va tutti insieme". 
Tra l’altro, a Roma, già da ora i suoi stanno lavorando per “fare il pieno” in direzione, per fare in modo che ci siano tutti, anche gli eurodeputati e puntare ad un mandato pieno che isoli le minoranze. L’affondo di De Bortoli piomba in questo clima già surriscaldato. Tra i renziani il primo a reagire su Facebook è Dario Parrini, deputato e segretario regionale del Pd in Toscana. 
Valutiamo con rispetto le critiche dei direttori dei giornali ma non pensiamo che possano tenere sotto tutela i governi. Questo de Bortoli lo sa. Scalfari anche. E questo spiega i loro articoli. Unica risposta possibile: continuare a fare le riforme. E continuare a leggere Repubblica e Corriere della Sera, quotidiani nei quali gli articoli interessanti sono tuttora il quadruplo di quelli irritanti. Detto questo, le critiche sono il sale della democrazia. Accettiamo quelle che gli altri ci fanno, vogliamo che siano accettate quelle che noi facciamo agli altri. A de Bortoli ne faccio per esempio una: RCS ha dovuto vendere la sede storica di via Solferino e in tre anni ha registrato conflitti crescenti tra i soci e perdite di bilancio di quasi un miliardo di euro (500 milioni di euro, 200 nel 2013, altrettanti nel 2014). Un'enormità. Si può dire che il governo non è l'unica "azienda" ad avere bisogno di un salto di qualità e di un'autocritica? Credo di sì.
Tra i non renziani, il primo a commentare è Massimo Mucchetti, ex del Corriere della Sera, ora senatore del Pd: 
Quella di De Bortoli "è una quasi sfiducia a Renzi. Renzi si trova nelle stesse condizioni del primo Berlusconi: padrone delle urne, ma poco credibile tra coloro che hanno le responsabilità maggiori in Italia e all`estero. E come Berlusconi può essere tentato di reagire alla reprimenda attaccando i giornaloni cinici e bari, strumento cieco d`occhiuta rapina di innominati 'salotti buoni' ai danni del Paese. Se ascoltasse i più sofisticati tra i suoi consiglieri, Renzi potrebbe anche liquidare l'early warning del "Corriere" come l'estremo tentativo di battere un colpo da parte di un direttore in uscita (la Rcs Mediagroup ha annunciato il cambio di direzione per l'aprile 2015). Se poi ascoltasse anche i consiglieri più spregiudicati, potrebbe brigare per anticipare la sostituzione di De Bortoli da parte dell'azionista di maggioranza relativa della Rcs, che è poi la Fiat: quella Fiat marchionnesca non confindustriale e tanto, tanto filo governativa, forse in attesa di qualche supporto all'esportazione (probabilmente giusto), certo grata per il silenzio del premier (certamente sbagliato) sulla migrazione della sede a Londra e Amsterdam".
Il presidente dell’assemblea del Pd, il Giovane Turco Matteo Orfini, la dice su twitter:
Al fondo delle considerazioni renziane sul caso De Bortoli c’è appunto la convinzione che si tratti dell’ascia di guerra delle “corporazioni di potere minacciate dalla politica renziana”, aree che “non hanno più potere di interdizione sulla politica”, dice Orfini. De Bortoli si discosta da queste interpretazioni: “Agitare i poteri forti è senza consistenza, sono un guscio vuoto”. E a sera rincara: “Con la personalizzazione della politica non si dà un avvenire ai partiti, si tende a fagocitare lo stesso partito, che non sopravvive al suo leader". 
Il segnale al governo è arrivato. Chissà se avrà lo stesso effetto delle anticipazioni del libro del giornalista americano Alan Friedman, pubblicate sul Corriere della Sera agli inizi di febbraio. “Già dal 2011 Napolitano voleva Monti come premier”, era il titolo dell’articolo, che suonò come un attacco al Colle (che infatti reagì smentendo) ma anche come marcia funebre per il governo Letta, il secondo governo del presidente, che infatti crollò sotto le picconate di Renzi dopo poche settimane.

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