Riccardo Muti lascia l’Opera di Roma, attacca i sindacati: “Non si può lavorare”
Pubblicato il 22 settembre 2014 10:07 | Ultimo aggiornamento: 22 settembre 2014 10:47
di Redazione Blitz
ROMA – Riccardo Muti lascia la direzione dell’Opera di Roma. Non sarà il maestro Muti a dirigere l’Aida, che avrebbe inaugurato la stagione del teatro il 27 novembre, né le Nozze di Figaro. “Troppi problemi, manca la serenità”, spiega Muti che da tempo ormai è in lotta con i sindacati.
Valerio Cappelli sul Corriere della Sera scrive:
“Il direttore d’orchestra, in una lettera al sovrintendente Carlo Fuortes, comunica l’intenzione di rinunciare ai suoi impegni nel teatro per la prossima stagione, l’Aida inaugurale del 27 novembre e Le nozze di Figaro , a causa del «perdurare delle problematiche emerse durante gli ultimi tempi». Si riferisce alla guerra sindacale ancora in atto, dopo il piano di risanamento che ha scongiurato la chiusura del teatro per il deficit della gestione di Catello De Martino (oltre 28 milioni di debito, 12 milioni e 900 mila solo nel 2013). Il direttore aggiunge: «Nonostante tutti i miei sforzi per contribuire alla vostra causa, non ci sono le condizioni per poter garantire quella serenità per me necessaria al buon esito delle rappresentazioni»”.
Quelle di Muti non possono essere considerate dimissioni:
“il suo incarico di direttore onorario a vita non contempla un contratto, viene pagato con il cosiddetto top fee (25 mila euro a recita). È la seconda volta, dopo Sinopoli, che un direttore di fama, dopo averci lavorato per un breve arco di tempo (l’arrivo di Muti fu anticipato dal Corriere nel luglio 2011), abbandona il teatro romano, che non è esattamente di prima fascia nel rating internazionale”.
Una decisione, quella di Muti, presa con
«con grandissimo dispiacere, dopo lunghi e tormentati pensieri. In questo momento intendo dedicarmi, in Italia, soprattutto ai giovani musicisti dell’Orchestra Cherubini da me fondata»”.
Nella lettera personale scritta a Fuortes, Muti spiega le sue ragioni e sono il sovrintendente e il sindaco di Roma, Ignazio Marino, a spiegare la scelta del maestro:
“«una scelta senza dubbio influenzata dall’instabilità in cui versa l’Opera a causa delle continue proteste, della conflittualità interna e degli scioperi durati mesi che hanno portato alla cancellazione di diverse rappresentazioni, con grave disagio per il pubblico che aveva acquistato i biglietti»”.
Il problema dunque sarebbero le proteste dei sindacati, che avevano dichiarato:
“«Speriamo che la serenità sia possibile» (Cgil); «La scelta di Muti è lo specchio dell’inadeguatezza dei vertici del teatro» (Fials)”.
Il rapporto, spiega ancora il Corriere della Sera, tra Muti e l’orchestra dell’Opera di sgretolato:
“le tensioni sindacali esplose quando è emerso che la realtà economica non era quella dipinta dall’ex sovrintendente De Martino hanno messo fine all’intesa. Le gocce finali sono state la minaccia di sciopero a febbraio, a poche ore dalla «prima» della Manon Lescaut , che segnava il debutto assoluto di Anna Netrebko nel teatro romano; l’aggressione nel suo camerino di una dozzina di dipendenti in cerca di solidarietà; la tournée di tre mesi fa in Giappone dove non ha partecipato una ventina di orchestrali, tra cui il primo violino Vincenzo Bolognese (balzato alla cronaca per la busta paga da cui risultavano 62 giorni lavorativi in sei mesi)”.
D’altronde Muti lo aveva sempre detto:
“«Resto fino a quando ci sono le condizioni per lavorare bene»”.
Condizioni che, con le continue tensioni sindacali, sono venute meno. Armando Torno sul Corriere della Sera aggiunge:
“Le «condizioni» mancano a troppi, alle esistenze oltre che alle istituzioni, e il cosiddetto patrimonio culturale è il primo a pagarne il fio. Possiamo prendercela con gli egoismi sindacali, con quelli politici, con l’incapacità dei manager di comprendere sovente quanto stanno gestendo, ma il risultato non cambia. Da tempo. La musica in Italia negli ultimi lustri ha conosciuto soprattutto tagli, la scuola la tratta come Cenerentola e i teatri non si rendono conto che il tempo dei (loro) privilegi è finito”.
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