domenica 21 settembre 2014

Basta ferri vecchi come Cuperlo. Adesso si cambi l'Italia.

Renzi alla minoranza Pd: “Cascate male, io cambio Davvero” Cuperlo: “Basta provocazioni”

Pubblicato il 21 settembre 2014 da Andrea Turco 
Lo scontro fratricida tra sinistra Pd e Matteo Renzi si fa sempre più aspro. Oggi il premier è entrato a gamba tesa sui “ribelli” che hanno rialzato la testa dopo la decisione del governo di cambiare radicalmente un simulacro della sinistra: l’articolo 18. “Nel mio partito c’è chi pensa che dopo il 40,8% alle europee si possa continuare con un facite ammuina per cui non cambia niente e Renzi fa la foglia di fico: sono cascati male, ho preso questi voti per cambiare l’Italia davvero” ha detto il capo del governo in un’intervista al Tg2. “Tutti coloro che hanno avuto un debito e devono avere dei soldi dalla P.A. possono averli iscrivendosi al sito del ministero dell’Economia – ha aggiunto – Chi va sul sito del governo trova la pratica per poter ricevere i denari. Intanto i soldi ci sono e quindi il 21 settembre l’impegno a pagare i debiti 2013 è mantenuto”.
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Al premier ha subito replicato l’esponente dell’area bersaniana Gianni Cuperlo. “La delega sul lavoro è ancora troppo vaga. Chi fa il segretario e premier ha il dovere di indicare il percorso”. “Non possiamo accettare una discussione strumentalizzata per dividere il Pd tra innovatori e conservatori o minacciare decreti – attacca l’ex presidente del Pd – Basta con le provocazioni e gli ultimatum, parlare di merito senza propaganda”.
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Intanto sul tema del lavoro la discussione è sempre accesa. Il fronte dei sindacati non è completamente unito. Ieri l’apertura al governo da parte della Cisl di Bonanni oggi quella della Uil di Luigi Angeletti. “Siamo disponibili al dialogo, ma guai a toccare le forme di tutela che ci sono già . Un conto è avvicinare due mondi, ma quello che non si può fare è modificare l’art.18 per chi già ce lo ha”. Per il leader della Cgil Susanna Camusso il presidente del Consiglio “deve sempre misurarsi con il fatto che esiste una forte rappresentanza organizzata del lavoro che non si può cancellare” se rifiuta di farlo “conferma la nostra opinione che intenda cancellare le condizioni dei lavoratori”.
Ma nel sindacato c’è anche chi fa mea culpa dopo le dure parole del premier di venerdì. “Per difendere i precari non abbiamo fatto abbastanza, questo è chiaro, e naturalmente non deve venire a dircelo Renzi” spiega il leader della Fiom Maurizio Landini che, intervistato dal Corriere della Sera ammette: “Il sindacato ha i suoi difetti, non c’è dubbio che debba cambiare” ma “cancellare l’articolo 18 equivale a cancellare la Costituzione. Significa prendere il Paese, infilarlo nella macchina del tempo e farlo ripiombare in pieno Ottocento”.
Chi invece è favorevole alla totale abolizione dell’articolo 18 è il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi intervistato da Maria Latella a SkyTg24. “Io sono personalmente favorevole all’abolizione dell’articolo 18 anche perché dobbiamo considerare che è un mantra che in tutto il mondo ci addossano come Paese. Parlando in tutto il mondo ci dicono che in Italia non si può investire perché c’è l’art. 18 e quando assumi un dipendente è per la vita”. Squinzi, quindi, è d’accordo con la posizione di Matteo Renzi: “Ritengo che faccia bene a esprimersi a favore dell’abolizione dell’articolo 18. Il tutto deve essere ovviamente inquadrato in una riforma del mercato del lavoro che secondo me dovrebbe portare a un contratto a tempo indeterminato che sia conveniente per le imprese e per i lavoratori, eliminando tutta una serie di complicazioni e di flessibilità che non aiutano a comprendere bene quello che succede nel mondo del lavoro”.
Dal governo si continua a difendere la riforma del lavoro. Il ministro della Pa, Marianna Madia, intervistata dal Messaggero afferma: “Noi andiamo a unificare, a semplificare, in una situazione in cui chi si affaccia sul mercato del lavoro non sa neanche quali sono i propri diritti o cosa può chiedere. Viene creato uno zoccolo duro di diritti per queste persone, e agli altri non viene tolto nulla”. E se il ministro per le politiche agricole Maurizio Martina apre alla possibilità che il reintegro rimanga ma non nei primi anni (soluzione auspicata anche dall’ex segretario Pd, Pierluigi Bersani), il ministro del Lavoro Giuliano Poletti minaccia l’uso del decreto: “Renzi è stato molto chiaro: se i tempi di approvazione della delega dovessero dilatarsi il governo è pronto a ricorrere al decreto”.
Mossa che inasprirebbe un clima già teso. Per questo meglio passare dal Parlamento, anche se rischioso. I 101 del Pd sono in agguato. E una mano potrebbe arrivare a questo punto da Forza Italia. Che però mette le mani avanti. “Se la riforma del mercato del lavoro ci convince e magari il premier chiederà la fiducia noi siamo pronti a votare – spiega il capogruppo alla Camera di FI Renato Brunetta in un’intervista al Mattino – Ma a quel punto saranno larghi settori del Pd a votare contro. E allora sarà crisi di governo”.

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