Sicilia, taglio province una bufala? Legge di 25 anni fa, incostituzionalità, demagogia. E tanti debiti |
Inchieste - Italia |
Scritto da Carmine Gazzanni |
Lunedì 25 Marzo 2013 15:32 |
Siamo sicuri che la norma approvata da Rosario Crocetta – con l’ausilio dei Cinque Stelle – sull’abolizione delle province siciliane sia positiva? È l’Urps (Unione Regionale delle Province Italiane) a manifestare pesanti perplessità a riguardo. A cominciare dal fatto che questa altro non è che una legge-copia di una già esistente del 1986 e mai applicata. Il rischio, poi, è che la democrazia vada in fumo: a capo dei consorzi che si creeranno ci saranno presidenti eletti non più dai cittadini (che saranno tagliati fuori) ma solo da sindaci dei comuni interessati. Senza dimenticare, peraltro, che il taglio (al momento) è solo sulla carta: manca il decreto attuativo e non scontato che questo venga preso siccome non sono poche, come vedremo, leombre di incostituzionalità sul provvedimento. Infine, ultima domanda: siamo sicuri ci sarà effettivamente un risparmio? La relazione tecnica dice sì. La passata esperienza dei consorzi in Sicilia dice no: 900 milioni di debito.
di Carmine Gazzanni
Cori di giubilo: il sistema Crocetta ha partorito un altro grande provvedimento nel segno del rinnovamento. Addio alle province. Bene, si è detto. Ma siamo sicuri? Il dubbio è forte. Per tanti e tanti motivi.
Iniziamo però dai lati positivi della norma. Vero. Il risparmio per le casse pubbliche è assolutamente lauto.
Nella stessa delibera approvata dall’Ars si legge nero su bianco che “per il settore pubblico la quantificazione di tale risparmio annuo a regime […] è pari a complessivi di 50.491.843 di euro. In base all’attuale situazione e tenuto conto delle scadenze naturali dei mandati si può stimare, in via prudenziale, un risparmio per il settore degli enti locali pari a circa 29.450.000 euro”.
Ma attenzione: siamo sicuri sia proprio così?
LA LEGGE-COPIA DEL 1986. MAI APPLICATA. LA DIFFERENZA (CHE NON C’è) TRA IERI E OGGI - Ma andiamo oltre. Cosa prevede, nei fatti, la delibera siciliana? In pratica l’abolizione delle province e, al loro posto, la nascita di “consorzi di Comuni”. Peccato, però, che una norma praticamente uguale già esiste in Sicilia. E risale al 1986. Stiamo parlando della legge del 6 marzo numero 9 proprio sulla “istituzione delle province siciliane”.
Già allora si specificava infatti che tali enti altro non erano che “aggregazioni di comuni in liberi consorzi”. Praticamente quanto specificato ieri, è uguale a quanto si specifica oggi. Come denunciato da Giovanni Avanti, presidente dell’Urps, “quella voluta da Crocetta è una legge truffa, un proclama populista e demagogico fatto per ingraziarsi i deputati del Movimento 5 stelle, i cui voti forse sono necessari per approvare la prossima Finanziaria e il bilancio della Regione. Viene proclamata un’innovazione che in realtà non c’è”.
Da qui la domanda: cosa potrebbe assicurare che, se dal 1986 la strada poi intrapresa è stata quella dello sperpero, con la norma approvata pochi giorni fa ci sarà qualche radicale cambiamento?
Il punto, in altre parole, è uno soltanto: che differenza dovrebbe fare non avere più nove province ma ben 30/35 “liberi consorzi”, che raggrupperanno al loro interno una popolazione di circa 150 mila abitanti ciascuno? Dov’è la razionalizzazione?
PRIMA DI ESULTARE MEGLIO ASPETTARE IL DECRETO ATTUATIVO. ESPERIENZA MONTI DOCET - La domanda, per ora, resta senza risposta. Anche per un altro motivo a cui bisogna necessariamente far riferimento. Al momento, come si saprà, l’approvazione del provvedimento ha “bloccato” le elezioni per le giunte provinciali previste per il 26/27 maggio.
Ebbene, la legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana martedì scorso non fa altro che sostituire, per ora, gli organi istituzionali eletti con commissari nominati dalla Regione. Non solo. Tale trasformazione non arriverà prima del 2014 e ovviamente necessiterà di un’ulteriore provvedimento normativo che ratifichi il passaggio a una nuova entità, che poi – come visto - nuova non è.
Il punto, visto le esperienze precedenti, è tutt’altro che secondario. Tutti ricorderanno l’insistenza del governo Monti sull’abolizione delle province: si fa, non si fa, forse si è fatto, no non si è fatto. Cos’era successo allora? Esattamente quanto sta accadendo oggi.
Anche allora il professore era riuscito ad approvare la norma sull’abolizione degli enti provinciali (articolo 17 della spending review). Peccato però che la norma richiedesse unemendamento attuativo che desse concretezza al provvedimento. Come sappiamo,l’emendamento poi non è mai arrivato.
Ecco perché bisogna essere molto prudenti a riguardo: meglio aspettare il decreto attuativo piuttosto che nutrire facili speranze che, poi, potrebbero essere disattese.
LE OMBRE (LEGITTIME) DI INCOSTITUZIONALITÀ - Peraltro, il motivo che tale provvedimento altro non sia che un’illusione va ritrovato nel tratto di incostituzionalitàche molti, a cominciare dall’Urps, hanno ravveduto. È ancora Avanti, infatti, a premere sulla questione: “chiederemo anche l’intervento del ministro per gli Affari regionali perchè se non siamo nella Repubblica delle banane la Costituzione va rispettata anche qui in Sicilia”.
In particolare, l’Urps punta il dito sul riconoscimento di un livello di governo di area vasta per l’esercizio delle funzioni che non possono essere svolte dai singoli comuni a cui fa da contraltare l’abolizione dell’”unico ente previsto in Costituzione per svolgere tali funzioni”.
Il riferimento del presidente dell’Urps è all’articolo 114 della Costituzione: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.Cosa vuol dire questo? Semplice.
Per l’abolizione di enti previsti dalla nostra carta costituzionale è necessaria una riforma che parta dallo Stato e dal Parlamento. Senza dimenticare un altro piccolo particolare. Torniamo ancora al periodo Monti per capire meglio la questione. Uno dei motivi per cui poi dell’emendamento attuativo non se ne fece più nulla sta proprio nel fatto che molti deputati avanzarono il dubbio che una riforma così radicale del sistema Italia non potesse avvenire per vie ordinarie ma richiedesse una riforma costituzionale(con tutti i crismi del caso).
Insomma, il rischio è che il lodevole intento di Crocetta possa infrangersi dinanzi, ad esempio, alla Corte Costituzionale e a quanto previsto dalla nostra stessa Carta. Ecco perché risuonano ancora le parole usate da Avanzi: demagogia.
IL CITTADINO ESCLUSO. L’AZZERAMENTO DEMOCRATICO DEI CONSORZI - Ma non finisce qui. Ammettiamo per un attimo che tutto vada secondo quanto pensato e ideato da Rosario Crocetta. Il rischio è che a rimetterci sia la democrazia.
I rappresentanti di queste nuovi organi, infatti, verranno indicati conelezioni di secondo livello. Cosa vuol dire questo? A votare non saranno i cittadini, ma solo i sindaci dei comuni che comporranno il consorzio.
In altre parole, il cittadino è tagliato fuori. Verrà amministrato, per quelli che saranno i compiti dei consorzi, senza che abbia espresso il benché minimo voto. Ma c’è di più. Oltre al problema propriamente democratico, ne sorge anche un altro di ordine politico.
Se infatti a votare i consigli consortili saranno solo i sindaci dei Comuni interessati, ciò vuol dire che il colore politico delle amministrazioni provinciali non sarà certamente diverso da quello delle amministrazioni comunali.
In altre parole, questo significa che in questi enti di secondo grado, per quanto inutili, ci saranno esponenti solo dei principali partiti, che hanno il maggior numero di eletti nei consigli comunali. Con la conseguente esclusione di tutti gli altri.
Un’egemonia partitica, dunque, permessa proprio dall’azzeramento democratico per la non-partecipazione al voto del cittadino.
Il motivo della trovata, come detto, risponde solo a logiche di risparmio. Le stesse, peraltro, che hanno animato le politiche di Mario Monti(anche lui aveva pensato non solo ad un disegno per l’abolizione delle province, ma anche ad un altro – parallelo – per elezioni di secondo livello per gli enti che sarebbero rimasti in vita).
Un grosso risparmio, non c’è che dire. Ma a che prezzo? Questa è la domanda.
L’ESPERIENZA FALLIMENTARE DEI CONORZI SICILIANI - Senza dimenticare un ultimo particolare. L’esperienza dei consorzi in Sicilia non è nuova. Già c’è stata e non ha lasciato un bel ricordo di sé. I consorzi comunali a cui è stata affidata la raccolta dei rifiutiha accumulato un buco da 900 milioni di euro. Un bel gruzzolo, non c’è che dire.
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