In pieno clima recessivo, tra il 2008 e il 2013, le manovre correttive di finanza pubblica hanno causato un aumento di tasse per oltre 56 miliardi di euro. In pratica "più l'economia italiana entrava in crisi, più si è fatto ricorso alla leva fiscale". Sulle spalle delle famiglie la pressione fiscale è aumentata dell'1,6% medio annuo, "più del triplo di quanto sarebbe stato necessario" per non peggiorare ulteriormente gli andamenti negativi del ciclo economico (cioè lo 0,4% annuo).
Questa l’analisi condotta da Confcommercio e Cer sull’andamento della pressione fiscale in Italia dall’inizio della crisi ad oggi, presentato al Forum di Cernobbio. In termini cumulati, questo significa che, tra il 2008 e il 2013, il livello di imposizione sulle famiglie è aumentato del 10%.
Le famiglie italiane hanno subito, in media, un prelievo aggiuntivo annuo di 10 miliardi cui si devono aggiungere altri 11 miliardi di perdita di potere di acquisto a causa dell'incremento dell'inflazione determinato dall'aumento delle imposte indirette; dunque, tra il 2008 e il 2013 le risorse a disposizione delle famiglie si sono ridotte, complessivamente, di oltre 70 miliardi.
A livello locale, il fisco ha fatto la "parte del leone" usando la leva delle addizionali ai massimi livelli e tassando maggiormente i territori meno sviluppati; tra il 2008 e il 2012 il prelievo locale è aumentato del 5,6%, più di quanto avvenuto a livello centrale (+3,8%); rispetto al 1990 il peso del fisco locale in percentuale del Pil si è più che triplicato, passando dal 2,1% al 7%. “Il prelievo è cresciuto nel 2012 del 7,8% sul 2011, e del 650% rispetto al 1990". Questa tendenza, in prospettiva, è destinata ad acuirsi in quanto molti Comuni dovranno aumentare ulteriormente le tasse per trovare circa 2,2 miliardi necessari a far tornare i conti nel passaggio dall'Imu alla Tasi. Per questo, secondo il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, il federalismo fiscale “incompiuto e disordinato necessita di una profonda revisione”.