sabato 1 febbraio 2014

Ma Rodotà non era il candidato dei grillini?

Rissa M5S, parla Rodotà
«Populismo degradante»

Il candidato dal M5S al Quirinale: «C’è una intolleranza trasversale, al di là delle critiche legittime. Ormai ci siamo abituati agli insulti alla politica in nome dell’antipolitica. È teatro...».
stefano rodotà 640
Di Bruno Gravagnuolo
31 gennaio 2014
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«Va spezzato il circolo vizioso di una classe politica che per cavalcare l’onda attacca la politica, e smettere di giocare con parole come impeachment...». Stefano Rodotà non teme di disturbare il manovratore e da giurista lo dice con chiarezza: «Populista non è solo Grillo, è un clima, una sindrome, un linguaggio. A comiciare dai ricatti sulla legge elettorale del tipo prendere o lasciare».

A tanti anni dallo scontro Cossiga-Occhetto, Grillo torna a parlare di impeachment del Presidente della Repubblica. Una cosa enorme, ma lui ci crede. Analogie?
«Nessuna. L’impeachment scatta con l’attentato alla Costituzione o con l’alto tradimento. Oggi non ve ne è nemmeno l’ombra. Cossiga attaccava quotidianamente la Carta costituzionale, il Csm e singole persone. Voleva andare al Csm con i corazzieri, per scioglierlo, e solo perché Galloni aveva denunciato l’incompatibilità tra massoneria e magistratura. Altro che paragoni con Napolitano! Non c’è nulla di anomalo nell’incarico a Monti, dopo i precedenti di Ciampi e Dini. E non si può limitare l’autonomia di scelta del Presidente nel conferire l’incarico, altrimenti si cancella la sua funzione centrale nell’ordinamento repubblicano. Le critiche politiche sono legittime, il resto è populismo deteriore».


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Sta vincendo nel senso comune la teatralizzazione demagogica, come diceva Gramsci?«C’è un degrado inaccettabile nel costume e nel linguaggio. Ma è il punto d’arrivo di un percorso avviato proprio dal picconatore Cossiga. Siamo abituati a derubricare certe sparate della Lega a folklore. E dopo il razzismo di Calderoli contro la Kyenge, Calderoli è ancora lì. Un fatto “normale”, perché è questo il clima imperante della comunicazione, favorito anche dai nuovi media. Teatro è la parola giusta. Non ci sono più limiti all’happening e tutto diviene legittimo, nelle parole e nei comportamenti. Ma il vero corto circuito è questo: è la classe politica che insulta la politica in nome dell’antipolitica. O aggredisce qualcun altro, come nel caso degli insulti ai giuristi...».

Si riferisce agli attacchi rivolti ai costituzionalisti che hanno criticato il nuovo maggioritario in votazione?
«Sì: un esempio di intolleranza trasversale, da destra a sinistra. E invece certe obiezioni, sollevate da Violante, Ainis, Carlassare e dal sottoscritto, restano ragionevoli e fondate, e ci vorrebbe rispetto e senso della misura in un momento delicato come questo, specie sul tema elettorale».

Non le piace il risultato dell’incontro al Nazareno?
«Quale risultato? La materia è ancora lì ed è incandescente. E anche la sentenza n. 1 del 2014 è ancora lì. Che accade se quel “risultato” torna davanti alla Corte Costituzionale che lo boccia in tutto o in parte? Attenzione, siamo in una repubblica parlamentare dove il voto è libero, eguale e segreto. E la regola di non disturbare il manovratore non vale».

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