martedì 8 novembre 2016

Se la vecchia politica scalda i motori

Pd
Pierluigi Bersani e Massimo D'Alema alla Camera in una foto d'archivio. ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Quando mai la sinistra classica, specie quella di derivazione Pci, ha guardato alla propria piccola battaglia piuttosto che all’interesse nazionale?
 
La vecchia politica – con i suoi riti eterni, le sue alchimie antiche – sta scaldando i motori alla grande, chi è più grandicello di età annusa l’inconfondibile aria di un tempo passato, quello dei telegiornali in bianco e nero e dei giornali-lenzuolo traboccanti grandi strategie dei leader dell’epoca per imbrigliare questo, indebolire quell’altro, allearsi con quell’altro ancora in un fantasmagorico ritorno dell’antico vocabolario della politica italiana fatto di rimpasti, reincarichi, proporzionale, grandi coalizioni, governi tecnici…
Può benissimo darsi che il pendolo della storia stia effettivamente tornando lì, risolvendo i problemi della Seconda repubblica semplicemente facendo ritorno alla Prima. Sarebbe un esito mesto ma può darsi.
Però fa comunque una certa impressione vedere il politicismo degli incendiari del Fatto inseguire Renzi per strozzarlo auspicandone al tempo stesso la permanenza a palazzo Chigi, una tattichetta travagliesca fatta propria, of course, dagli altri compagni di strada, da Berlusconi a Di Battista, da Salvini a D’Alema.
Non vogliono mandarlo via – non ora almeno -, basta che il governo sia debole così da dare il potere reale ai partiti, ai potentati economici, ai giornali, perché non è difficile capire che un Renzi rosolato a fuoco lento sarebbe ovviamente più facile da battere (o abbattere) alle prossime primarie e più manovrabile, o aggirabile, da un Nazareno re-bersanizzato o da grupponi, gruppi e gruppetti parlamentari e economici.
E poco importa che un premier a sovranità limitata sarebbe obiettivamente un problema per l’Italia, per la sua economia, per il suo peso in Europa: tanto di governicchi ne abbiamo visti tanti e in fondo siamo ancora qui, giusto? Il cinismo di questi calcoli è evidente.
In fondo, è la vecchia logica del tanto peggio tanto meglio, tipica di un certo estremismo spesso radical-chic che però dovrebbe essere fumo negli occhi per chi appartiene alla sinistra classica: quando mai la sinistra classica, specie quella di derivazione Pci, ha guardato alla propria piccola battaglia piuttosto che all’interesse nazionale?
Sarebbe in ogni caso più sano se Bersani – lasciamo qui perdere Travaglio e soci – dicesse chiaramente: basta con Renzi. A palazzo Chigi deve andarci un altro. È evidente però che uno che rifiuta qualunque mediazione (a differenza di Cuperlo) è uno che ha rinunciato a costruire alcunché.
Ma così la strada che il No sta prendendo è molto scivolosa perché si elude il piccolo problema della prospettiva politica che si spalancherebbe dinanzi al Paese con una vittoria del No: questo lo può fare il primo che passa per strada o un gruppettaro di nuovo conio, non esponenti politici di lunga esperienza e di primo piano come i dirigenti della minoranza pd.
Mentre i Cinque stelle non sanno bene che dire – giacché si sta parlando di politica – si assiste allo spettacolo di estremisti di ieri e di oggi vagheggiare un “governicchio te cnichicchio”, come lo ha battezzato il premier alla Leopolda, cioè una sciapa minestra riscaldata che verrebbe fatta trangugiare agli italiani addirittura, secondo alcuni, fino alla fine della legislatura. Magari pretendendo che fosse un Renzi “andreottizzato” a guidarlo.
Di questa roba si sta chiacchierando, nei corridoi della politica romana, con annesso sciorinamento di nomi di futuribili primi ministri. Brutto che la sinistra del Pd sia di questa partita, perché questo è semplicemente il vecchio che avanza.

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