domenica 6 novembre 2016

In tempi non sospetti ho detto e scritto quello che oggi leggo scritto da Giuseppe Turani. Per me era ed è peggio della Raggi. Chi vivrà vedrà.

LA MADONNA DEI GRULLINI

Chiara Appendino e la prima città grillina del pianeta, povera ma bella
di GIUSEPPE TURANI | 
Se ormai il disegno strategico di Virginia Raggi è chiarissimo, quello di Chiara Appendino (sindaco di Torino) è meno evidente, ma probabilmente più letale.
Virginia, Virgy per gli amici, non ha più segreti. La sua linea è di una semplicità disarmante: non fare niente. Non poco, proprio niente. Si sistemano un po’ di parenti e amici qui e là, si taglia qualche vecchio nastro, ma poi si sta fermi. Se qualcuno protesta, ci sono due risposte standard, buone per qualunque cosa: a) noi ci opponiamo ai poteri forti; b) guardate cosa aveva combinato il Pd prima di noi.
Poi c’è una terza risposta, che emergerà nel momento buono: Roma è  nei guai perché il governo Renzi non ci aiuta e non ci dà i soldi delle Olimpiadi (che, ovviamente, ha rifiutato).
Questa è, in breve, Virginia Raggi: la miglior politica possibile è non fare niente, bloccare i lavori già avviati e quelli da avviare. E’ una specie di politica dell’assurdo: dimostrare che il niente ha un senso.
Storia molto diversa quella di Chiara Appendino a Torino. E c’è un perché. Virginia Raggi è a sua volta una specie di niente, avvocato senza clienti, e le sue ambizioni si fermano lì, al Campidoglio. Beata di esserci arrivata. Dopo, solo pagine vuote.
L’Appendino, invece, è un soggetto molto diverso. Bocconiana, figlia e moglie di imprenditori, esponente della Torino borghese, si va a infilare in questa masnada dei Cinque stelle perché sa di avere un valore. Quegli altri devono mettersi in tre per leggere una mail, lei lo fa da sola. Poi, bene o male, è laureata alla Bocconi e quindi sa distinguere un bilancio patrimoniale da uno di esercizio, distingue nettamente gli attivi dai passivi, e certamente sa che cosa sono gli ammortamenti.
Ai suoi colleghi del Movimento deve sembrare un’aliena o la Madonna. E lei, che è sveglia e fredda quanto basta (è una torinese bene), sa di essere una risorsa. Una risorsa capitata (volontariamente) dentro una massa-partito di semianalfabeti o di analfabeti di ritorno. 
Intuisce, quindi, di avere davanti a sé una prateria sconfinata: prima sindaco, poi deputato, ministro, presidente del Consiglio. La sua arma più potente, oltre alla freddezza e alla competenza, è appunto Torino. Nel senso che deve essere capace (e ci sta lavorando molto) di trasformare la capitale piemontese nel primo esemplare planetario di città grillina, cioè felicemente in decrescita e privata di ogni orpello culturale o festaiolo.
E qui si apre un dibattito culturale di un certo livello. Secondo alcuni, questo progetto ha un padre nobile, l’economista e filosofo francese Serge Latouche, teorico appunto della decrescita felice. Secondo altri, per i quali è da escludere che Grillo abbia mai letto un solo libro, la cosa è più semplice: si tratta solo di tornare a un’Italia anni ’50, o anche prima. Povera, ma bella. Con le famigliole operaie che alla domenica vanno a fare la gita fuori porta in bicicletta e che mangiano i fagioli coltivati sul terrazzino, evitando con cura scatole e scatolette delle multinazionali.
Anche in questo caso, come con Virginia, il disegno è chiarissimo. In pochi mesi sono  stati persi: salone del libro, grandi mostre, festival del jazz: tutta roba dispendiosa e un po’ vacua. Meglio iniziative più popolari. Ad esempio, come ho già avuto modo di scrivere, mostre di quadretti naif dei torinesi: paesaggi, volti di bambini, qualche gatto. Chi cazzo se ne frega di Manet.
In questa visione povera un posto d’onore ha naturalmente la cultura vegana. Non ci saranno i vigili urbani che spazzano via bistecche e bolliti dalle tavole delle “Tre Galline” (che raccomando sempre), ma insomma un sistema per scoraggiare i carnivori si troverà, partendo magari dagli asili e dalle scuole elementari.
La cultura grillina è povera, ma la  fantasia è grande.
Insomma, Torino sta peggio di Roma, Appendino è peggio di Raggi. Quest’ultima porterà Roma al fallimento, ma prima o poi arriverà un commissario e la città tornerà a fare qualcosa.
Torino, invece, se non succede una rivolta, è destinata a tornare ai tempi dei Savoia.
E Chiara, a quel punto, sarà davvero la Madonna dei Cinque stelle, farà quello che vuole, distribuirà onorificenze e poltrone, raccoglierà voti, brucerà tutti i candidati grillini verso la massima carica.
Di Maio, a quel punto confinato in un bilocale abusivo ai piedi del Vesuvio, si pentirà di non aver imparato almeno a leggere le mail. Ma ormai sarà tardi, troppo tardi.

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