Il Fatto perde lettori. Fra cui anche Travaglio
Il direttore non legge il suo giornale altrimenti non farebbe strafalcioni
Purtroppo anche a settembre il Fatto ha perso copie: le vendite sono scese del 9,6% rispetto al mese di agosto e dell’11,8% rispetto all’anno scorso.
Ma la notizia sconcertente è che tra i lettori perduti c’è anche Marco Travaglio. Oggi per esempio ha scritto un editoriale di fuoco contro Vincenzo De Luca che contiene almeno due errori, due vistose inesattezze, due strafalcioni che da una persona precisa e documentata come lui proprio non ci saremmo aspettati, e che avrebbe potuto benissimo evitare se solo avesse letto il Fatto.
“Il 22 luglio – scrive Travaglio – fu il Tribunale civile di Napoli a trovare una ‘soluzione’: una sentenza à la carte che prendeva sul serio il ridicolo ricorso del personaggetto [De Luca, ndr]. Ora si scopre che la ‘soluzione’ l’aveva agevolata De Luca, o chi per lui”.
Errore: se Travaglio avesse letto il Fatto (a pagina 2) saprebbe che “la sentenza alla quale si fa riferimento nel capo d’imputazione non è l’ordinanza di luglio, quella che ha garantito a De Luca di restare in sella”, bensì “l’udienza dell’11 settembre avente ad oggetto la legittimità del decreto che aveva sospeso De Luca dalla carica di presidente”.
Al centro dell’inchiesta non c’è dunque la sentenza che sospende la sospensione, ma quella che respinge la richiesta di sospendere De Luca a partire dal giorno stesso delle elezioni (anziché da quello della proclamazione ufficiale): si tratta di due fatti diversi, avvenuti a due mesi di distanza.
Verso la fine del suo battagliero editoriale, Travaglio paragona il “presunto bugiardo Marino (non ancora indagato)” al “sicuro bugiardo De Luca (indagato, e per corruzione di un giudice)”. Anche in questo caso, la lettura del Fatto avrebbe evitato a Travaglio l’imbarazzo di scrivere falsità.
L’ex sindaco di Roma infatti è indagato per falso e peculato, com’è noto a tutti, mentre al governatore della Campania, come specifica il Fatto sempre a pagina 2, “non viene contestata la corruzione, ma il reato di concussione per induzione, ossia l’articolo 319 quater del codice penale”.
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