mercoledì 1 febbraio 2017

Intesa per portare la legge elettorale in aula il 27 febbraio anche con Salvini e Meloni. L'obiettivo: un nuovo Italicum anche per il Senato, un copia-incolla per inserire a Palazzo Madama il premio di maggioranza al primo partito e i capilista bloccati. Ovvero, più o meno la proposta del MoVimento 5 Stelle
ALESSANDRO D'AMATO
Il Partito Democratico, la Lega NordFratelli d’Italia e il MoVimento 5 Stelle hanno trovato un’intesa per portare la legge elettorale in aula il 27 febbraio. Ma c’è di più: c’è anche un’intesa sul modello da proporre: un nuovo Italicum anche per il Senato, un copia-incolla per inserire a Palazzo Madama il premio di maggioranza al primo partito e i capilista bloccati. Ovvero, più o meno la proposta del MoVimento 5 Stelle.

Il Pd pronto a votare la legge elettorale M5S

Spiega Tommaso Ciriaco che il via libera al blitz in commissione “l’ha preparato Renzi in persona, cavalcando la disponibilità dei cinquestelle a estendere l’Italicum della Consulta a Palazzo Madama. Una mediazione affidata a Matteo Orfini, Lorenzo Guerini ed Ettore Rosato, che hanno trattato con gli ambasciatori d’opposizione. L’ultima svolta è però arrivata ieri pomeriggio. Luigi Di Maio si è appartato prima con Roberto Giachetti. Poi proprio con Rosato, in un corridoio di Montecitorio, poco prima della riunione dei capigruppo che ha calendarizzato in aula per il 27 febbraio la riforma”. L’accordo quindi prevede che i grillini votino l’Italicum per Palazzo Madama con premio alla lista (sempre se si arriva al 40% su base nazionale) e un meccanismo di distribuzione dei seggi a livello regionale, oltre ai capilista bloccati e alla doppia preferenza di genere. Spiega oggi uno stupefatto Stefano Folli su Repubblica:
È una richiesta dei Cinque Stelle, a cui ha dato man forte la Lega, e che il Pd renziano ha assecondato. Con un colpo a effetto si rende molto più difficile qualsiasi trattativa con Forza Italia e ci si allinea più o meno alla posizione di Grillo, secondo cui si deve andare a votare subito sulla base delle sentenze della Corte (il cosiddetto “Legalicum”: ultimo, sgraziato neologismo elettorale). La differenza è che Renzi vorrà estendere anche al Senato il modello scaturito per la Camera dalla sentenza dell’altro giorno. Il che significa altri capilista bloccati e nessuna coalizione nemmeno a Palazzo Madama. Premio solo alla lista che tocca il 40 per cento.
Si capisce il giubilo dei Cinque Stelle, ieri sera. Sta passando la loro linea, corroborata dai tempi contingentati per la discussione in aula. Allo stato delle cose, si rinuncia ai correttivi che sembravano ragionevoli, come appunto assegnare il premio alle coalizioni e non al singolo partito. S’intende, nulla vieta che un accordo sia trovato in corso d’opera fra Camera e Senato. Ma l’accelerazione rende questa eventualità abbastanza inverosimile. Il tutto in uno scenario proporzionale che favorirà il proliferare di liste minori eccitate dalla prospettiva del 3 per cento. Giorni fa Arturo Parisi, profondo conoscitore delle dinamiche politiche, definiva non a caso «un incubo» il ritorno dello spirito proporzionalista sia nella legge elettorale sia nella mentalità diffusa. E giudicava «necessario» il ritorno al modello dell’Ulivo, sia pure aggiornato ai tempi.

Le differenze tra Italicum e Consultellum (La Repubblica, 25 gennaio 2017)

E che la sintesi politica si sia trovata sulla proposta dei 5 Stelle è indubbio, a sentire le dichiarazioni di Luigi Di Maio: “L’obiettivo di chi, come noi, vuole andare al voto subito, era quello di portare in Aula la legge elettorale a febbraio, perché in questo modo da marzo scatterà il contingentamento dei tempi” previsto dal regolamento, ha detto ieri il vicepresidente della Camera, dopo la decisione della Capigruppo di calendarizzare la legge elettorale in aula il 27 febbraio. “Ovviamente occorre vedere se la Commissione – ha osservato – porterà il testo in Aula per il 27: ma se ciò avverrà a metà marzo la Camera potrà approvare la legge e il Senato in pochi gioni la dovrà ratificare”. “noi proponiamo il Legalicum (l’applicazione del sistema della Camera anche al Senato ndr) – ha aggiunto – e se qualcuno vorrà proporre qualche altro sistema, vorrà dire che non ne vuole fare nulla e non vuole andare a votare”.

La corsa al voto

La corsa al voto a giugno vede contrari non solo FI, SI, AP e gli altri partiti che sostengono il governo, ma anche diversi parlamentari del Pd (che però chiedono l’anonimato). Come ha osservato il segretario del Psi Riccardo Nencini, “la corsa alle elezioni senza la certezza di una legge elettorale e soprattutto senza un progetto per l’Italia condiviso da una coalizione riformista non è la strada maestra”. Marco Conti sul Messaggero dice di più sulle idee di Renzi:
Obiettivo del segretario è quindi di dividere nel Pd coloro che sono effettivamente preoccupati della governabilità da coloro che invece la usano come pretesto per allungare i tempi e farlo fuori. Prima dal Pd e poi dalla corsa per palazzo Chigi. In quest’ultimo file l’ex premier mette Massimo D’Alema e un gruppetto di irriducibili presenti l’altro giorno ai Frentani e già usciti dal partito. Nel primo gruppo iscrive Bersani, buona parte della minoranza guidata da Speranza e Cuperlo e il mattarelliano Franceschini.
Per separare il fronte il segretario intende usare la direzione del 13 per delimitare e chiarire gli spazi che il partito concede alla modifica del sistema elettorale sancito dalla Consulta. Non ci saranno quindi ultimatum sul voto che parte della minoranza del Pd teme e che D’Alema auspica per metter mano al nuovo partito che, per ora, trova tiepidi, se non freddi,anche i bersaniani.
Il Partito Democratico quindi vuole privilegiare la corsa al voto rispetto alla governabilità e pur di arrivarci rapidamente intende votare il sistema elettorale che più conviene al MoVimento 5 Stelle, che infatti l’ha proposto per primo. Questo avrebbe effetti negativi ma metterebbe in difficoltà la minoranza interna del partito. Un po’ come il classico marito che per fare dispetto alla moglie si taglia i testicoli.

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