Matteo Renzi contempla il voto nel 2018: intervista al Tg1, il segretario prova a uscire dall'angolo
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Matteo Renzi se ne torna a Firenze all’ora di pranzo. Tornerà a Roma solo martedì prossimo. Solo, accerchiato dal partito del ‘non voto’ che da oggi può contare anche su un ministro Carlo Calenda. Il segretario del Pd lascia il Nazareno con la consapevolezza di dover fare chiarezza per cercare di uscire dall’angolo. Lo fa in serata, con un’intervista al Tg1.
E la novità è che il ragionamento che ha condiviso con i fedelissimi al Nazareno comincia a contemplare la possibilità di andare al voto nel 2018 celebrando il congresso del Pd a scadenza naturale, in autunno. Non significa che abbia cambiato idea sul voto prima dell’estate. Anche perché ha dalla sua un sondaggio Swg secondo cui la maggioranza degli intervistati vuole le urne al più presto. Però oggi la giornata dello ‘zen’ più spinto per rompere l’arroccamento.
Da ieri, nel cortocircuito mediatico e politico che ha cinto d’assedio il segretario, si sono fatti strada gli altri ‘ras’ del partito con il compito di ‘farlo ragionare’. Per questo ieri al Nazareno Renzi ha visto il ministro Andrea Orlando, allarmato dalla piega che aveva preso la corsa al voto, lo scontro dentro il Pd, gli annunci di scissione da parte di Bersani oltre che di D’Alema. Un clima pessimo, nervoso a tratti anarchico, che non ha risparmiato i renzianissimi in Parlamento, spaesati di fronte a quella che qualcuno definisce “mancanza di strategia” da parte del segretario. Addirittura.
Eccola qui quindi la strategia. Renzi ci prova oggi. Fa un passetto indietro con l’intento di rimettere ordine ad una situazione che davvero rischiava di sfuggire di mano, mandando gambe all’aria tutto il Pd. Il ragionamento è questo: “Voto nel 2017 con primarie per la premiership a fine marzo. Oppure voto nel 2018 con il congresso del Pd da celebrare in autunno. Il Pd ha detto la sua, ora si decida”. Renzi prova a ritrovare la tranquillità.
Ai bersaniani che chiedevano il congresso e non il voto nel 2017, risponde con le primarie prima del voto. “Modello 2012”, dicono i suoi, quando Renzi contese la premiership a Bersani in una gara cui parteciparono Vendola, Tabacci e Laura Puppato. Ma questo schema dipende dalla legge elettorale. Renzi ha messo in campo l’opzione Italicum esteso anche al Senato con M5s e Lega, ma questa prospettiva sta traballando già da due giorni, colpita al cuore dalla minaccia della scissione. Il grosso del Pd non è d’accordo, si muove il partito del ‘no al voto anticipato’, da Napolitano a Calenda. Renzi rivede la linea. Della serie: “Ho detto la mia, ora fate voi”. E nel frattempo si affaccia un'altra opzione maggioritaria: il Mattarellum rivisto, 50 per cento di proporzionale e 50 per cento maggioritario. Proposta-appello di Denis Verdini per Renzi e Berlusconi. I giochi ricominciano da qui.
Al di là dell'approccio ecumenico di oggi, Renzi resta convinto dell’idea di votare “prima dell’estate”, tuona non a caso il renzianissimo Roberto Giachetti. Ed è per questo che lascia circolare un sondaggio che oggi al Nazareno si è studiato per bene. E’ un Swg del 30 gennaio scorso e dice che la maggioranza degli intervistati (un campione di 2000 persone) vuole tornare al voto al più presto.
Nello specifico, alla domanda: “I politici non vogliono tornare alle urne per non perdere i privilegi?”, il 59 per cento dice sì, il 22 per cento non è d’accordo, il 19 per cento non sa. Risposte che hanno ridato smalto all’orgoglio del segretario, orgoglio ferito dalle critiche anche dai suoi per aver detto che i Parlamentari non vogliono interrompere ora la legislatura per non perdere “i vitalizi”.
Ma il sondaggio continua: “Occorre dare il prima possibile la parola agli italiani per avviare un nuovo ciclo politico?”. Sì per il 55 per cento, no per il 28 per cento, il 17 per cento non sa, non risponde. “La legislatura è finita il 4 dicembre e bisognerebbe eleggere subito un nuovo parlamento?”. Il 50 per cento è d’accordo, il 35 per cento non lo è, il 15 non lo sa. L’ultima domanda è sulla lista guidata da D’Alema alle prossime elezioni: secondo le intenzioni di voto scrutate dal sondaggio, vale dal 2 al 4 per cento e pescherebbe in un’area di astensione stimata al 45 per cento. Dunque non nuocerebbe al Pd.
Sono questi i numeri, evidentemente favorevoli a Renzi, che il segretario lascia circolare per cercare di portare il dibattito sul voto fuori dai Palazzi della politica. Ma non solo. Il messaggio per chi vuole rimandare al 2018 è: nel frattempo, che linea si ha con l’Europa?
La sfida con la Commissione europea sulla manovra correttiva è tutt’altro che chiusa. Renzi elogia l’operato del governo Gentiloni, ma la sua convinzione è che questo esecutivo non abbia la forza politica per controbattere ad un nuovo assalto dei falchi europei, tutt’altro che scongiurato. Per lui varrebbe la pena di far saltare il banco, se da Bruxelles ritirano fuori la minaccia della procedura d’infrazione. Una procedura che “l’Ue non si è mai sognata di decidere per la Germania, che viola le regole sul surplus commerciale”, sostiene Renzi.
E allora, al di là dell’assedio che lo ha asfissiato in questi giorni, la domanda per chi vuole continuare la legislatura è: nel frattempo, che si fa con l’Ue? Renzi prova a fermare le macchine impazzite del Pd. Per restare in sella.
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