Recalcati: “Renzi resta il figlio giusto, osteggiato dai padri padroni”
“La scissione? Narcisismo di élite, minoranze che non vogliono tramontare”
Professor Massimo Recalcati, il Pd è passato dal trionfo alle Europee del 2014 all’addio di Renzi a Palazzo Chigi dopo la sconfitta referendaria di dicembre. Quanto c’è di politico e quanto di psicologico in questo comportamento?
«La sinistra ha più facilità alla lotta che al governo. È qualcosa che appartiene senza dubbio alla sua storia, al suo Dna, alla sua identità. La sinistra non viene al mondo per amministrare ciò che esiste ma per negarlo e progettare un volto nuovo del mondo. La critica minoritaria gli appartiene più dell’attitudine a gestire una vittoria. La critica ostinata caratterizza la pubertà e il velleitarismo adolescenziale. Nel porre al Pci il problema della responsabilità del governo, Berlinguer intendeva far fare alla sinistra italiana un passaggio evolutivo che era sinora mancato».
Gli eventi attuali significano che la sinistra non è mai cresciuta?
«È un tema che ritroviamo in Renzi: la critica ostinata che rigetta l’accordo e la mediazione è diventata una caricatura solo ideologica dell’inclinazione alla lotta. Anche Berlinguer, come ha mostrato in modo toccante Veltroni, si è incagliato sulle sabbie che separano il massimalismo dal riformismo. C’è qualcosa che viene avvertito come contro -natura nella sinistra al governo ».
Un esito ineluttabile?
«Il problema è come tenere insieme il sogno e la prova di realtà, la lotta e le responsabilità di governo. Renzi ha provato a non dissociare questi due elementi solo apparentemente contraddittori. In questo senso lo considero un passaggio essenziale nella storia della sinistra italiana».
In questa chiave, come legge le divisioni interne e le ultime minacce di scissione?
«Ho citato in un articolo recente le dimissioni di Enzo Bianchi dalla carica di Priore del Monastero di Bose. Nietzsche affermava che la saggezza più grande dell’uomo è quella di saper tramontare al momento giusto. È quello che ha fatto Bianchi: un passo indietro, lasciare che i figli assumano le loro responsabilità, sostenere chi viene dopo di noi con lealtà anche se una differenza profonda ci separa, abbandonare il proprio posto di guida per consentire l’ingresso di energie nuove. Le pare che stia accadendo questo?».
Renzi si è dimesso da palazzo Chigi. Cosa arriverà dopo, allora?
«Il dramma della politica italiana, non solo della sinistra, è il fallimento dell’eredità. Renzi ha provato a correggere questo sintomo consentendo a una nuova generazione di farsi avanti. I figli anziché ereditare il testimone dai padri sono osteggiati dai padri. Accade anche a destra con Berlusconi e Grillo. I figli non allineati coi loro padri-padroni vengono sistematicamente espulsi. Ogni scissione, quando sono in gioco diverse generazioni, viene al posto di un lutto mancato: si invoca lo spettro della scissione invece di saper tramontare».
Cosa è oggi la sinistra?
«Per me sinistra significa priorità della giustizia sociale, difesa del valore del lavoro, visione trasformatrice della realtà, concezione solidaristica della vita, capacità di cambiamento, apertura all’incontro, concezione non immobile dell’identità, capacità di contaminazione, curiosità, spirito critico, disponibilità a parlare la lingua dell’Altro, rinuncia a concezioni totalitaristiche della storia e della vita, difesa dei più deboli, rifiuto del mito del successo individuale».
Roba da far tremare le vene ai polsi. A quale destino va incontro?
«Il destino della sinistra consiste oggi nella difesa dell’Europa. Il che significa anche recupero della centralità del suo rapporto con i giovani per sottrarli all’ipnosi reazionaria e allo stordimento diffuso generato dal sistema dei consumi».
C’è spazio per un partito di sinistra fuori dal Pd?
«Ogni tentativo di creare una sinistra a sinistra del più grande partito di sinistra si è sempre rivelato un fallimento. Non solo nel senso del ridimensionamento elettorale, ma della litigiosità infinita dei fratelli che, dopo aver lasciato la casa del padre, restano senza radici, senza luogo, senza storia. Narcisismo insopportabile delle élite minoritarie. Riduzione della politica a testimonianza di una coerenza purista staccata dalla realtà. Bertinotti in nome di questa coerenza fece cadere il miglior governo del Dopoguerra».
A proposito, l’Ulivo oggi è una suggestione, una forma di auto-rassicurazione o una prospettiva?
«Tra la mediazione, l’integrazione e la scissione io scelgo sempre la mediazione e l’integrazione. L’Ulivo per me esiste già ed è il Pd».
Renzi ha sbagliato tutto o è diventato il capro espiatorio di un’Italia che non funziona da trent’anni?
«Renzi è stato un vento vitale in un campo di morti. Ha radunato speranze di cambiamento che hanno attraversato non solo il Pd ma l’intero Paese. È l’unico senso che ho attribuito alla fantomatica e stramba idea del Partito della Nazione che non è mai esistito. Ha messo in moto energie, progetti riformisti, ha ridato alla politica dignità senza lasciare il campo all’antipolitica di Grillo. È dovuto partire col piede sbagliato – la rottamazione – perché si è confrontato con un muro che non aveva intenzione di consentire il giusto avvicendamento generazionale. Ha commesso errori che gli sono costati cari».
Il più grave?
«Tra tutti la riforma della scuola. Era partito benissimo ridando centralità a una questione emarginata dai governi di destra. Poi ha fatto tutto troppo in fretta. Ma Renzi resta il vero nemico di tutte le forze conservatrici e populiste perché incarna autenticamente questa speranza».
Lei riesce a immaginarsi un nuovo Renzi diverso dal passato? Capace di unire e non di rottamare?
«L’ex premier resta la sola possibilità per arginare l’ondata reazionaria che attraversa il nostro tempo. Sono certo che abbia fatto tesoro delle sconfitte. Ascoltare di più senza perdere la sua forza. Recuperare il rapporto con i giovani. Continuare a testimoniare la necessità del rinnovamento dando più spazio alle radici. Liberarsi dall’abito dell’uomo di potere che media e avversari vogliono cucirgli addosso. La sua determinazione, il coraggio, il ritmo del suo passo lo rendono ancora ai miei occhi il figlio giusto. Deve però scegliere meglio chi ascoltare: la vera lealtà non esclude la critica».
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