"A chi fugge dalle persecuzioni dal terrore e dalla guerra, sappiate che i canadesi vi daranno il benvenuto, non importa quale sia la vostra fede. La diversità è la nostra forza #welcome to Canada", scrive in un tweet il premier canadese. Intanto un giudice blocca il rimpatrio dei rifugiati fermati negli scali USA
“A chi fugge dalle persecuzioni dal terrore e dalla guerra, sappiate che i canadesi vi daranno il benvenuto, non importa quale sia la vostra fede. La diversità è la nostra forza #welcome to Canada”. Questo il tweet con cui il primo ministro canadese Justin Trudeau ha indirettamente risposto oggi alla sospensione degli ingressi negli Stati Uniti dei rifugiati decisa dal presidente americano Donald Trump. Il premier ha anche postato una foto del 2015 in cui saluta una bambina siriano all’aeroporto di Toronto. Una portavoce del premier, Kate Purchase, ha spiegato che Trudeau ha un messaggio per Trump: “Il premier non vede l’ora di esaminare con il presidente nel loro prossimo incontro i successi delle politiche del Canada sull’immigrazione e sui rifugiati”.
La lezione di Trudeau a Trump
Il presidente americano aveva sospeso venerdì per decreto il programma di ammissione dei rifugiati, uno dei più ambiziosi al mondo per accoglienza delle vittime di conflitti. Creato per legge dal Congresso nel 1980, il programma federale di reinsediamento dei rifugiati ha permesso di accogliere negli Stati Uniti circa 2,5 milioni di persone, secondo l’istituto di ricerca Pew. Una settimana dopo il suo ingresso alla Casa Bianca, il presidente Trump ha firmato un decreto intitolato “Proteggere la nazione contro l’ingresso di terroristi stranieri negli Stati Uniti” che prevede di bloccare per quattro mesi il programma e di congelare per tre mesi l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini di sette paesi musulmani, ossia Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, Per quanto riguarda i profughi siriani, fuggiti a milioni dal conflitto in corso dal 2011 e di cui 18.000 sono stati accolti negli Stati Uniti, il decreto prevede che non possano più entrare, almeno fino a quando il presidente non avrà deciso che non rappresentano più una minaccia. – Il programma americano di accoglienza dei rifugiati era stato sospeso solo una volta dalla sua creazione, dopo gli attentati dell’11 settembre. Tramite questo programma, nell’anno fiscale 2016 (dal 1 ottobre 2015 al 30 settembre 2016), gli Stati Uniti di Barack Obama hanno accolto 84.994 rifugiati di tutte le nazionalità, di cui poco più di 10.000 provenienti dalla Siria. L’amministrazione Obama, che nel settembre 2015 aveva ammesso di poter fare di più, si era posta l’obiettivo di accogliere 110.000 rifugiati nell’anno fiscale 2017. Stando al decretofirmato da Trump, la nuova amministrazione accoglierà solo 50.000 persone.
Il giudice blocca il divieto
Ieri intanto un giudice federale degli Stati Uniti ha bloccato parte del contestato divieto temporale all’entrata negli Stati Uniti per i cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana. Il giudice Ann M. Donnelly, del tribunale del distretto federale di Brooklyn, a New York, ha stabilito che i rifugiati o altre persone interessate dalla misura e che sono arrivati negli aeroporti statunitensi, non possano essere espulsi. Si calcola che l’ordinanza di emergenza del magistrato interessi tra le 100 e le 200 persone, fermate negli aeroporti Usa o in transito, dopo che Trump ha firmato il decreto, venerdì, appena una settimana dopo la sua investitura. Con la decisione, il magistrato ha risposto alla denuncia presentata dall’Unione per le Libertà civili (ACLU) in America contro l’ordine esecutivo firmato da Trump, la cui costituzionalità è stata messa in dubbio. “Vittoria”, ha ‘twittato’ l’organizzazione dopo l’ordinanza. La giudice, secondo cui reinviare le persone fermate nei loro Paesi potrebbe causare “una danno irreparabile”, non ha stabilito se le persone interessate possano rimanere in Usa né si è pronunciata sulla costituzionalità della misura, ma ha fissato una nuova udienza per il 21 febbraio, in modo da poter tornare ad affrontare la questione. La giudice ha applicato l’ordinanza a nome di due iracheni fermati all’aeroporto John F. Kennedy di New York, Hameed Khalid Darweesh, un interprete che ha lavorato per 10 anni per il consolato americano ad Erbil e un altro arrivato in Usa per riunirsi alla moglie, che lavora per un’impresa di contractor.
Per tutto il giorno centinaia di manifestanti avevano manifestato, soprattutto dinanzi al terminal 4 del JFK di New York allo grido ‘Lasciateli entrare’; altri protestavano dinanzi alla tribunale di Brooklyn in attesa della decisione del giudice. E la stessa scena si era ripetuta all’aeroporto O’Hare di Chicago e negli scali di Dallas, Minneapolis, Denver, Los Angeles. A San Francisco, centinaia di persone si erano radunate dinanzi al terminal internazionale, chiedendo la revoca del “divieto ai musulmani”; e avvocati volontari si erano resi disponibili ad aiutare le famiglie dei passeggeri fermati. Il decreto presidenziale, emanato con una firma alle 16:42 di venerdi’ (ora statunitense), ha sospeso l’ingresso di tutti i rifugiati negli Stati Uniti per 120 giorni (esclusi quelli siriani, fermati a tempo indeterminato) e ha bloccato l’ingresso nel Paese per 90 giorni a tutti i cittadini di sette nazioni a maggioranza musulmana: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Ma di fatto ha impedito anche ai possessori di carta verde provenienti dai Paesi interessati di rientrare negli Stati Uniti (sono stati bloccati uno scienziato iraniano che si recava a Boston, un famiglia siriana, uno studente di antropologia a Stanford d’origine sudanese).
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