martedì 31 gennaio 2017

Salvini, Meloni e Grillo insistono con Trump. Eppure neanche la chiesa è d'accordo. Ma Salvini non era per il presepe?

I cardinali Usa in campo contro Trump

Tiber
epa04950775 Pope Francis addresses parishioners during mass at the Cathedral Basilica of Saints Peter and Paul in Philadelphia, Pennsylvania, USA, 26 September 2015. Pope Francis is on a five-day trip to the USA, which includes stops in Washington DC, New York and Philadelphia, after a three-day stay in Cuba. Pope Francis added the Cuba visit after helping broker a historic rapprochement between Washington and Havana that ended a diplomatic freeze of more than 50 years.  EPA/CJ GUNTHER
Si schiera anche la Chiesa cattolica d’Oltreoceano. Un episcopato da alcuni decenni abituato ad collocarsi su posizioni conservatrici, che si identificava essenzialmente con la battaglia contro l’aborto e si trovava in sintonia con le lobby cattoliche repubblicane
 
I provvedimenti anti-rifugiati e anti-migranti, le porte chiuse a musulmani di diversi Paesi – il famigerato ‘muslim ban’ – adottati nei giorni scorsi dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, hanno riaperto una discussione imprevista sull’identità dell’America e sui valori che ne contraddistinguono la storia.
Se uno degli slogan del nuovo capo della Casa Bianca, è stato: “America first”, l’America prima di tutto, per rendere gli Stati Uniti di nuovo grandi, ora in molti hanno cominciato a chiedersi cosa sia l’America, come è stata costruita, in cosa consista, la sua grandezza. L’affermazione del candidato repubblicano di tendenze spiccatamente reazionarie e xenofobe, sta ponendo insomma questioni di fondo che riguardano certo gli ‘States’, ma investono il resto del mondo in ragione dell’influenza e del peso degli Stati Uniti a livello globale.
Per questo una star del rock come Bruce Springsteen ha detto – nel corso di un concerto in Australia – a proposito del bando contro i musulmani di 7 Paesi stabilito dalla Casa Bianca: “l’America è una nazione di immigrati, crediamo che questa decisione sia antidemocratica e soprattutto antiamericana”, perché il tema è appunto questo: se alla fine non sia proprio Trump il vero anti-americano, capace di promuovere scelte che minano le radici stesse della nazione andando ben oltre il recupero del tradizionale isolazionismo.
In questo contesto si inserisce la disfida a distanza fra le due leadership del momento, quella di papa Francesco e quella appunto del presidente Trump, ma a giocare la partita in prima persona, ora, è anche la Chiesa cattolica d’Oltreoceano. Un episcopato da alcuni decenni abituato ad collocarsi su posizioni conservatrici, che si identificava essenzialmente con la battaglia contro l’aborto e si trovava in sintonia con le lobby cattoliche repubblicane, adesso dovrà compiere scelte più ampie e profonde e provare a incidere sui conflitti e le trasformazioni del mondo.
D’altro canto, quattro anni di pontificato hanno cominciato a influenzare anche la Chiesa Usa che ha deciso di non restare in silenzio di fronte a quanto sta avvenendo. Non solo: cominciano ad emergere figure di spicco, un gruppo di cardinali americani più decisamente bergogliani, alcuni dei quali non a caso nominati da papa Francesco, come l’arcivescovo di Chicago Blase J. Cupich, che in un lungo comunicato diffuso dalla sua diocesi ha affermato: “lo scorso fine settimana è stato un momento oscuro per la storia degli Stati Uniti. L’ordine esecutivo di respingere i rifugiati e chiudere le porte della nostra nazione a coloro che, in modo particolare i musulmani, fuggono dalla violenza, dall’oppressione, dalla persecuzione, è contrario ai valori cattolici come a quelli americani”. Perché l’America, appunto, è o dev’essere, un’altra cosa.
Cupich ricorda tutte le incongruenze del provvedimento, il fatto che coinvolga anche musulmani in fuga dalle guerre mentre gente in possesso di visti regolari è stata fermata negli aeroporti, osserva come “ironicamente” la proibizione di raggiungere gli Stati Uniti non riguardi l’Arabia Saudita, la nazione dalla quale proveniva la maggior parte degli attentatori dell’11 settembre. Parla di decisione crudele, inappropriata, che non servirà a garantire maggior sicurezze al Paese, quindi aggiunge: “il mondo sta osservando come stiamo abbandonando i valori propri degli Stati Uniti”. “E’ ora di lasciare da parte la paura – afferma ancora il cardinal Cupich – e di unirci, per recuperare ciò che siamo e rappresentiamo in un mondo che ha bisogno urgente di speranza e solidarietà”. Infine cita il discorso di papa Francesco pronunciato davanti al Congresso di Washington nel settembre del 2015: “se vogliamo sicurezza, diamo sicurezza; se vogliamo vita, diamo vita; se vogliamo opportunità, diamo opportunità. La misura che usiamo per gli altri sarà la misura che il tempo userà per noi”.
Non da meno è stato il cardinale Joseph Tobin, attuale arcivescovo di Newark (New Jersey), fino a poco tempo fa alla guida della diocesi di Indianapolis dove si era scontrato con il governatore dello Stato, Mike Pence, ora vice di Trump, proprio in materia di accoglienza ai rifugiati siriani. “Chiudere le frontiere e costruire muri – ha detto a sua volta Tobin – non sono atti razionali. Gli arresti e le deportazioni non portano beneficio a nessuno; si tratta di norme disumane che distruggono le famiglie e le comunità. Minacciare le cosiddette ‘città santuario’ (diverse delle più grandi metropoli americane che negli anni ’80 cominciarono ad accogliere, con l’aiuto della Chiesa, profughi in fuga dai conflitti del Centroamerica, e che in generale offrono protezione agli immigrati; ndr), con il ritiro di fondi federali necessari ai servizi di base come la sanità, l’istruzione e il trasporto non ridurrà l’immigrazione. In tal modo verranno solo danneggiate le persone buone di quelle comunità”. “Io sono nipote di immigrati – ha aggiunto Tobin – e sono cresciuto in un quartiere multiculturale nella parte sud-ovest di Detroit. Durante la mia vita di sacerdote e vescovo negli Stati Uniti, ho vissuto e lavorato in comunità arricchite dalla coesistenza di persone di molte nazionalità, lingue e fedi differenti. Erano comunità forti, laboriose, rispettose della legge e piene di amore per questo Paese e la sua gente”. E’ dunque la storia dell’America il nodo del contendere, e la reazione in corso, quasi il rigurgito di massa di fronte a una sorta di isolazionismo etnico di matrice razziale-bianca, mostra quanto sia rilevante la posta in gioco.
In questa rassegna non può mancare, infine, la voce dell’arcivescovo di Boston, Sean Patrick O’Malley, che è pure membro del C9, l’organismo composto da 9 cardinali che aiuta il Papa a riformare la Curia. “Il nostro Paese – ha scritto da parte sua O’ Malley – ha la possibilità di rispondere alla realtà dell’immigrazione con le politiche e le pratiche che riflettono i nostri principi religiosi e sociali più profondi. Insieme possiamo impegnarci per essere un faro di luce e di speranza per coloro che guardano a noi nel momento del bisogno”. Sono insomma uscite allo scoperto due Americhe, quella trumpiana contrapposta a un’altra non semplicemente liberal, ma che assai più profondamente, intende invece rappresentare le fondamenta della società americana. E in questo caso la saldatura fra il ‘latino’ Bergoglio e i porporati statunitensi che si muovono secondo il suo magistero, sta producendo – in giorni per molti versi drammatici – una svolta culturale dentro la Chiesa il cristianesimo d’Oltreoceano.
Intanto a Quebec City, la città canadese toccata dalla violenza estremista di un giovane studente bianco ammaliato fino alle estreme conseguenze dalle teorie nazionaliste in voga negli Usa come in Europa, si sta preparando una risposta significativa in seguito all’attentato nella moschea dove hanno perso la vita 6 persone. La diocesi di Quebec City, guidata dal cardinale Cyprien Lacroix, ha infatti invitato fedeli e cittadini a partecipare numerosi al raduno in segno di solidarietà che si terrà davanti alla moschea di Sainte-Foy sabato prossimo.

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