Svizzera, “prima i nostri”. Il referendum della Lega Ticinese contro frontalieri italiani che imbarazza Maroni
Meno di dieci giorni all'appuntamento con le urne con cui il Canton Ticino spera ancora di bloccare i lavoratori, soprattutto italiani, che arrivano dai confini. Quello del 2014 passò ma restò lettera morta, ora Udc e Lega dei Ticinesi ci riprovano per "tutelare la manodopera indigena". Imbarazzo di Maroni che si trova nella scomoda posizione di dover tutelare interessi contrastanti rispetto a quelli dei ‘cugini’ elvetici della Lega dei ticinesi
Il 25 settembre in Canton Ticino si vota (nuovamente) in tema di immigrazione e lavoro frontaliere. Il titolo dell’iniziativa referendaria non lascia spazio all’immaginazione: “Prima i nostri” dove, ancora una volta, gli “altri” sono soprattutto gli italiani. Il referendum è stato proposto dall’Udc, partito che insieme alla Lega dei Ticinesi risponde all’elettorato più conservatore e nazionalista. Il nuovo quesito richiama quello già votato dalla maggioranza degli svizzeri il 9 febbraio del 2014, quando la proposta passò con una maggioranza risicatissima a livello federale (50,3%), ottenendo invece un consenso plebiscitario in Canton Ticino (con oltre il 70% dei consensi). Nel cantone di lingua italiana la presenza di lavoratori stranieri si fa sentire in maniera sensibile: attualmente secondo l’ultima rilevazione dell’ufficio statistico svizzero sono 62.179 (dato dell’8 settembre 2016) in leggera flessione (-0,4%) rispetto al trimestre precedente.
Il voto del 2014 è rimasto sostanzialmente lettera morta e l’Udc del Ticino ha deciso di “agire sulla Costituzione Cantonale per assicurare che il voto venga rispettato e non rimanga solo un auspicio” e puntare i piedi affinché i lavoratori locali abbiano la precedenza rispetto agli stranieri. Nel testo dell’iniziativa del 25 settembre prossimo si chiede di porre rimedio “all’attuale mancanza di protezione per i salariati ticinesi”, parlando della battaglia referendaria come di una “lotta trasversale per sostenere la nostra identità e i nostri diritti, che vuole proteggere i salariati dal dumping salariale in atto grazie al continuo aumento del frontalierato in campi dove la manodopera indigena non trova più lavoro”.
Gli estensori del referendum spiegano di volere che i Paesi vicini “ci trattino con rispetto e ci tolgano dalle black list sulle quali ingiustamente ci hanno messi”. Se dovesse vincere il Sì, alla carta costituzionale del Canton Ticino verrebbero fatte delle aggiunte significative, ad esempio quella sugli obiettivi sociali del cantone, che dovrebbe “provvedere affinché sul mercato del lavoro venga privilegiato a pari qualifiche professionali chi vive sul suo territorio per rapporto a chi proviene dall’estero” e, ancora: “affinché nessun cittadino del suo territorio venga licenziato a seguito di una decisione discriminatoria di sostituzione della manodopera indigena con quella straniera (effetto di sostituzione) oppure debba accettare sensibili riduzioni di salario a causa dell’afflusso indiscriminato della manodopera estera (dumping salariale)”. Principio ribadito anche nell’articolo che riguarda il mandato alle autorità: “Nelle relazioni con i Paesi limitrofi le autorità modulano il mercato del lavoro in base alle necessità di chi vive sul territorio del Cantone, promuovendo la sana complementarietà professionale tra lavoratori svizzeri e stranieri, evitando la sostituzione della manodopera indigena con quella straniera (effetto di sostituzione) e la corsa al ribasso dei salari (dumping salariale)”. Insomma, in Svizzera, prima gli svizzeri.
L’iniziativa, così come formulata, è stata rifiutata dal Gran Consiglio (il parlamento cantonale), che non l’ha appoggiata e sullo stesso tema ha proposto un controprogetto. Una seconda opzione, che accoglie il principio della preferenza indigena nel mercato del lavoro, ma in maniera più blanda, un testo che suona più come un auspicio che come una misura vincolante: “Il Cantone provvede affinché sia promossa l’occupazione nel rispetto del principio di preferenza ai residenti”. I promotori del controprogetto (ovvero la maggioranza dei componenti del parlamento cantonale) hanno dichiarato di condividere il principio della proposta dell’Udc per via delle difficoltà che affliggono il mercato del lavoro, puntualizzando però che: “’Prima i nostri’ è un titolo che fa colpo ma l’impianto su cui l’iniziativa dell’Udc si regge, e le modifiche che intende introdurre nella Costituzione cantonale, sono in chiaro contrasto con il diritto federale e internazionale”, quindi sarebbero sostanzialmente inapplicabili. “Se questa iniziativa cantonale verrà approvata – si legge nella nota diramata dai firmatari del controprogetto – rischia di provocare tensioni e confusione, complicando ulteriormente le già difficili trattative in corso tra Confederazione e Unione Europea per l’applicazione dei principi del 9 febbraio, e di vanificare il sostegno al modello di applicazione della clausola di salvaguardia proposto dal Consiglio di Stato ticinese”.
In ogni caso non basterà la vittoria del Sì alla proposta dell’ultradestra per risolvere i problemi del mercato del lavoro. Il testo del referendum cantonale dovrà essere approvato anche dal Parlamento federale, che dovrà esprimersi sulla sua conformità con il diritto superiore. I timori dalla nostra parte del confine non mancano. Il coordinatore provinciale dei frontalieri del Verbano Cusio Ossola, Antonio Locatelli, oltre ad esprimere l’auspicio per una vittoria del No, sottolinea l’esigenza di una presa di posizione da parte delle istituzioni affinché: “prendano seriamente di petto queste continue azioni discriminatorie che penalizzano non solo i frontalieri, ma tutta l’economia di frontiera” e passa al contrattacco: “Se il risultato del referendum dovesse penalizzarci ci sarebbero gli estremi per bloccare gli accordi bilaterali con la Confederazione Elvetica”. La risposta istituzionale arriva dal governatore lombardo Roberto Maroni, che si trova nella scomoda posizione di dover tutelare interessi contrastanti rispetto a quelli dei ‘cugini’ elvetici della Lega dei ticinesi: “Rispettiamo il referendum, perché è l’espressione del popolo sovrano, ma invito a maneggiare con cura questa situazione. I frontalieri sono una questione che riguarda la Regione Lombardia, la Svizzera, 60.000 persone, quindi 60.000 famiglie e su questo non si può scherzare”. Poi aggiunge: “Con i governatori del Ticino e dei Grigioni siamo in contatto costante. Credo sia anche nel loro interesse non ‘fare danni’, perché si tratta di persone che vanno in Svizzera a lavorare, non in vacanza, quindi questo è utile anche all’economia dei Cantoni svizzeri”.
Twitter @alemadron
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