domenica 11 settembre 2016

Sono sei anni che continuo a ripetere quello che all'estero scoprono solo ora.


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La tanto sbandierata democrazia diret- ta (la scelta dei candidati cinquestelle e la maggior parte delle decisioni del partito dipendono dai voti espressi sul blog di Gril- lo) ha scatenato più volte accuse di brogli nel conteggio dei voti. Secondo molti il partito è frammentato e tenuto insieme con il pugno di ferro dall’alto, con provve- dimenti come la multa (da 150mila euro) che i rappresentanti locali sono tenuti a pa- gare al partito se si allontanano dalla linea politica concordata. E nessuno dei due parlamentari che potrebbero prendere il posto di Grillo alla guida del movimento ha il suo carisma.
Nel paese in cui è nato il fascismo, le ac- cuse di fascismo sono frequenti. Il presi- dente del consiglio Matteo Renzi è spesso deinito fascista dalla sinistra radicale. Ma a dire la verità, se c’è un partito che somiglia a quello fondato da Benito Mussolini con l’aiuto dei reduci traditi della prima guerra mondiale è proprio il Movimento 5 stelle. Punta sullo stesso tema della redenzione dei traditi, che oggi sono i cittadini traditi dai governanti corrotti. Usa lo stesso miscu- glio di idee prese in prestito dalla destra e dalla sinistra (prima di diventare fascista Mussolini era socialista). Ed esercita lo stesso forte controllo dall’alto per tenere insieme un gruppo litigioso. Perché in fon- do l’unico tema che tiene davvero uniti i cinquestelle è il disprezzo per la politica e per i politici.
Questa condanna totale è piuttosto dif- icile da conciliare con una carica pubblica, come stanno scoprendo gli eletti nelle am- ministrazioni locali o in parlamento. Alcu- ni sono stati espulsi dal partito per aver di- sobbedito agli ordini. A Quarto, in Campa- nia, la sindaca Rosa Capuozzo è stata espulsa dal movimento per non aver de- nunciato le presunte minacce che aveva subìto da Giovanni De Robbio, un consi- gliere comunale cinquestelle, poi indagato per voto di scambio e tentata estorsione con metodo maioso.
Le prime decisioni prese da entrambe le sindache, Raggi a Roma e Appendino a Torino, sono state oggetto di grande atten- zione e di molte critiche.
Raggi non sembra avere l’esperienza politica necessaria per governare una città in cui la burocrazia rappresenta un grosso ostacolo, in cui servizi fondamentali come la raccolta dei riiuti e i trasporti pubblici sono costantemente sull’orlo del collasso, e dove la corruzione è emersa chiaramente
32 Internazionale 1170 | 9 settembre 2016
Nel paese in cui
il fascismo è nato,
se c’è un partito che somiglia a quello fondato da Benito Mussolini è proprio il Movimento 5 stelle

con l’inchiesta Maia capitale. Ad agosto sono scoppiati alcuni incendi in varie zone di Roma e lei sembrava incapace di reagire. Le persone scelte da Raggi per occuparsi di ambiente e rifiuti sono state duramente contestate per le loro esperienze preceden- ti perché, se l’esperienza è necessaria, agli occhi dei puristi cinquestelle è anche una macchia.
A Torino, gli oppositori dell’alta velocità hanno attaccato la sindaca Appendino per aver espresso il suo sostegno alla polizia che sorveglia il cantiere in val di Susa, mentre il Movimento 5 stelle ha difeso i manifestanti. Comunque non c’è bisogno di essere un so- stenitore dei cinquestelle per pensare che due mesi siano pochi per giudicare il lavoro delle due sindache.
Grido di rabbia
In Italia le prossime elezioni politiche sono previste per il 2018. Renzi ha proposto una discussa riforma costituzionale che è stata approvata in parlamento e che dovrà essere confermata con un referendum, previsto per novembre. Ma neanche il suo partito lo appoggia del tutto e non è detto che al refe- rendum vincerà il sì alla riforma costituzio- nale. Renzi, con un atteggiamento di sida, ha commesso l’errore di lasciar intendere che quello al referendum sarebbe stato an- che un voto di iducia nei suoi confronti. E ora, se la riforma non venisse approvata, sarebbe diicile per lui rimanere in carica. Quindi le elezioni potrebbero essere più vi- cine di quanto sembri, e in un momento in cui il Movimento 5 stelle è molto popolare.
Cosa farebbe il movimento se andasse al governo rimane un enigma. Il suo “sbat- tiamoli fuori” è un grido di battaglia che
raccoglie voti, ma non è un programma. È stato deinito populista, ma non è neanche chiaro se Grillo parla al “popolino”. Il suo è solo un grido di rabbia. E dovremmo chie- derci perché oggi abbia così tanti consensi.
Uno dei motivi è che i partiti tradiziona- li sono ormai screditati dovunque. Lo sono nel Regno Unito, dove gli elettori hanno vo- tato per la Brexit, nonostante gli appelli dei conservatori e quelli, un po’ più deboli, dei laburisti a votare per restare nell’Unione europea. Lo sono in Spagna, dove due ele- zioni in sei mesi non hanno ancora prodotto una coalizione di governo. Per non parlare della Francia, dove il Front national di Ma- rine Le Pen minaccia di battere sia i sociali- sti sia la destra moderata.
I partiti tradizionali non riescono più a convincere nessuno che stanno tutelando gli interessi degli elettori perché i poteri di un governo nazionale non bastano per far- lo. Il capitalismo neoliberista, che è vera- mente globale, non può più essere regola- mentato dai governi nazionali, può essere solo controllato a livello sovranazionale. Se l’Italia vuole più occupazione e più cre- scita può ottenerle solo attraverso una po- litica economica europea, anche se certo non con quella di oggi o con l’austerità im- posta dai tedeschi. Quali che siano i suoi difetti, Matteo Renzi ha senza dubbio cer- cato di spingere Germania e Francia verso una visione europea più keynesiana.
I cinquestelle le capiscono queste cose? A Beppe Grillo, che non ha stretto nessuna alleanza a livello né nazionale né interna- zionale, tranne che con Nigel Farage, inte- ressano? Come Mussolini, sembra convin- to che l’Italia possa vivere nell’autarchia, imponendosi l’autosuicienza economica. Non solo è un’idea folle (dove andrebbe Grillo a comprare il suo prossimo iPhone?), ma rivela anche una profonda ingenuità nei confronti dei problemi che non interes- sano sul serio al leader dei cinquestelle.
Avremmo pensato che l’Italia, dopo es- sere stata per quasi vent’anni nelle mani di Silvio Berlusconi, che pretendeva di essere estraneo alla politica, avesse imparato la lezione. Ma forse il cinismo genera altro cinismo. Era stato proprio l’atteggiamento famelico e predatorio verso la cosa pubbli- ca del governo Berlusconi ad aprire la stra- da a Grillo e ai suoi Vafa day del 2007. Ora Grillo spera che la stessa rabbia faccia ca- dere il centrosinistra, coinvolto marginal- mente negli episodi di corruzione ma pro- fondamente diviso e demoralizzato. u bt 

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