lunedì 9 dicembre 2013

Perché tagliare i privilegi della casta dei sindacati come la Cisl e la Uil è una cosa di destra? A me sembra molto di sinistra.

LA SVOLTA

Matteo Renzi: sul lavoro e pensioni convince la destra

Tagli ai sindacati. Via l'art.18. No alla patrimoniale e sì al condono fiscale: l'appeal del rottamatore tra gli ex del Cav.

di Barbara Ciolli
Sindacati da «cambiare con noi». Buste paga da contrattare a livello aziendale, archiviando l'articolo 18. Pensioni da ridimensionare, per investire sui giovani.
Chi lo critica a sinistra, vede nel neo segretario del Pd Matteo Renzi una certa fascinazione per il berlusconismo: si è fatto fotografare sulle riviste glamour e di gossip ed è andato nei talk show di Maria De Filippi, per catturare masse di giovani e casalighe, promettendo il cambiamento.
Ma non solo. Nell' ultimo libro Oltre la rottamazione (2013), il sindaco di Firenze guarda anche a un Pd con «un uomo solo al comando», adorata metafora di Fausto Coppi. Nella sostanza, poi, vuole anche che il suo partito sia il più votato, non solo tra dipendenti pubblici e impiegati, ma tra «operai, professionisti, imprenditori».
PIÙ LAVORO, MENO SINDACATI. Nell'agenda, il trionfatore delle primarie chiede di rivolgersi alle categorie produttive, semplificando le politiche sul lavoro. «La funzione del sindacato resta insostituibile, ma va difesa dagli eccessi», ha detto. Chiudendo la campagna con un lo slogan: «Se volete il capo di un sindacato, votate per un altro». Cioè non per lui.
Pure sulla patrimoniale, Renzi si è tenuto cauto: prima di prendere i soldi di chi ha le proprietà, ha frenato nel dibattito in tivù, «sono i politici che devono dare l'esempio».
ATLANTISMO RENZIANO. Tutte cose che appartengono più alla destra che al vecchio Pci. Sgonfiata l'onda emotiva per la morte di Nelson Mandela, a ben guardare anche la politica estera del rottamatore ha posizioni atlantiste, che potrebbero attirare gli elettori di destra: dai dubbi sul seggio palestinese all'Onu al rimpensamento sulle maxi spese sugli armamenti.
Ecco le cinque cose che possono dare fastidio alla vecchia sinistra. E piacere agli altri.
  • Una performance di Matteo Renzi (Pd), a Milano (Getty images).

1. Tagli alle pensioni: «Fornero aveva ragione»

L'endorsement alla riforma di Elsa Fornero ha fruttato a Renzi file di esodati che, nella campagna per le primarie, lo hanno seguito con cartelli di protesta durante gli incontri pubblici.
«La riforma andava bene. Perderò qualche voto, ma lo dico. Sugli esodati bisogna rimediare, però non si può rimettere in discussione il pacchetto», ha detto il sindaco. Musica per l'elettorato di destra: il sindaco di Firenze è per il sistema contributivo (la pensione si calcola sui contributi versati, non più sulla media del reddito lordo), anziché per il vecchio retributivo e, dopo il decesso del coniuge, vorrebbe togliere gli assegni di reversibilità.
GUERRA ALLA REVERSIBILITÀ. Certo, il rottamatore sostiene pure che «non è un delitto chiedere un contributo a chi è ha pensioni troppo alte» e vorrebbe ridurre le baby pensioni e gli assegni d'oro, per trovare i soldi per gli asili nido, la scuola e i giovani. Ma perché allora, contestano i sindacati, per far cassa non propone anche più tasse per le pensioni integrative private?
Circa 3,8 milioni di italiani ricevono l'assegno di reversibilità, per un importo medio di 565 euro: tutt'altro che Paperoni, ha ricordato la Cgil. «Gli esodati sono figli della riforma Fornero, di devastante iniquità sociale, che Renzi considera giusta», lo ha attaccato l'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano (Pd).
  • Matteo Renzi (Pd) a una conferenza tra sindaci nella City di Londra (Getty images).    

2. Lavoro: via il «totem dell'articolo 18»

Flexsecurity, semplificazioni e liberalizzazioni «più coraggiose» sono il mantra di Matteo Renzi.
«Questa destra italiana, incapace di liberalizzare, è un paradosso», dichiarava il neo segretario del Pd all'epoca delle precedenti primarie contro Pier Luigi Bersani, nel 2012.
Per ridare slancio all'occupazione, va «rivoluzionata la formazione professionale», «2 mila norme e 12 riviste di diritto del lavoro sono troppe», ha scritto poi nel programma 2013 per «cambiare verso all'Italia».
LE ACCUSE DI FASSINA. «Non stupisce la sua sintonia con il centrodestra sulle politiche del lavoro», lo ha criticato il vice ministro dell'Economia Stefano Fassina (Pd), «tutti siamo per le semplificazioni. Il vero punto politico è cosa lasciamo fuori. Renzi e il centrodestra vogliono escludere l'articolo 18 dallo statuto dei lavoratori e rendere i contratti nazionali derogabili a livello aziendale».
L'AGENZDA ICHINO-RENZI. Prima di candidarsi alla segreteria del Pd, Matteo Renzi proponeva politiche sul lavoro ancora più liberiste: basta rileggere le sue dichiarazioni per le primarie a premier del 2012.
Il rottamatore abbracciava l'agenda di Piero Ichino, poi migrato tra i montiani di Scelta civica. «Sarò sbrigativo. A me dell’articolo 18 non me ne può fregar di meno. È un feticcio, un totem ideologico attorno al quale c'è una grande danza degli addetti ai lavori», dichiarò  in un'intervista.

  • Matteo Renzi (Pd) espone il suo programma per l'Italia al pubblico (Getty Images).

3. Sindacati, un «problema da dimezzare»

C'è poi la lunga polemica con i sindacati, rinfocolata per tutta la campagna delle primarie e suggellata nella frase da neo segretario del Pd: «In un Paese civile non basta l'iscrizione a un sindacato per fare carriera. Anche il sindacato deve cambiare con noi».
Nulla di ideologico, per carità. Renzi ha ribadito più volte di «non essere contro i sindacati, la loro funzione è insostituibile. Ci sono momenti in cui funzionano bene». Ma «se vogliono essere rappresentativi, devono fare una bella cura dimagrante. Non è possibile avere tutte queste persone che usufruiscono di permessi sindacali», ha dichiarato, «in questi anni, abbiamo garantito solo alcuni e dimenticato altri. Mi vergogno di stare in un Paese in cui gli ammortizzatori sociali sono per molti ma non per tutti».
ROTTAMAZIONE A SINISTRA. Già nel suo libro del 2012  Stil novo. La rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter (Rizzoli), il rottamatore confessò di «non credere alla rappresentatività di sindacati e partiti».
Certo, i tagli proposti sono bipartisan: oltre a «svecchiare» le categorie usurate della politica e del mondo del lavoro, la proposta è di abolire Senato e Province e ridimensionare prefetture e Camere di commercio. Ma Renzi inchioda anche i compagni vicini al suo partito, che «difendono i pensionati dimenticando i giovani precari».
  • Il sindaco di Firenze, nel 2010, saluta la principessa Carolina di Monaco al Ballo del giglio (Getty images).

4. No alla patrimoniale e sì al condono fiscale

Altro nodo spinoso sono i rapporti di Renzi con la finanza. Da anni, l'apparato del Pd - legato a doppia mandata al Monte dei Paschi di Siena e all'oligarchia delle cooperative rosse - rimprovera al sindaco di Firenze i flirt con i giovani finanzieri italiani, domiciliati nella City londinese.
Nel 2010, il rottamatore cenò ad Arcore con Silvio Berlusconi, per chiedergli fondi per la città del Rinascimento. Tornò poi alla carica a Milano due anni dopo, incontrando - pubblicamente e a porte chiuse - giovani advisor della scuderia McKinsey e il patron di hedge fund Davide Serra, per raccogliere fondi per le sue campagne.
Spregiudicatezza da Robin Hood, ha spiegato il rottamatore. Che, turandosi il naso, l'estate scorsa ha affittato il Ponte Vecchio alla Ferrari, reinvestendo i 120 mila euro intascati in poche ore in servizi al cittadino.
ANTICASTA MERITOCRATICA. Ma di cosa parla il sindaco di Firenze a tavola con i finanzieri? Meritocrazia, tagli alla Casta e competitività sono certo argomenti condivisi. Come forse la sanatoria fiscale: l'accordo con la Svizzera per far rientrare parte dei soldi elusi, per il quale Renzi si è dichiarato d'accordo.
Sull'imposizione della patrimoniale, poi, Renzi è stato timido, prendendo tempo. A giugno, d'altra parte, il suo consigliere economico Yoram Gutgeld, deputato del Pd e 24 anni passati alla McKinsey,  ha confezionato un documento di 50 pagine, anticipato dal Foglio, dal titolo: «Come far ridere i poveri senza far piangere i ricchi».
  • Matteo Renzi al Teatro Olimpico di Roma, per la sua campagna del 2013 (Ansa).

5. Palestina e F35: l'atlantismo di Renzi

Fino alla morte di Mandela, la geopolitica internazionale non era tra le priorità del programma renziano. Si sapeva che il sindaco di Firenze è un europeista e stravede per Barack Obama, tant'è che, per il suo tour elettorale, si era ispirato a stili e slogan del presidente americano, anche per dare appeal alla campagna.
Meno si poteva supporre che, proprio come l'amministrazione Usa, sulla Palestina il sindaco di Firenze esprimesse una posizione filo-israeliana: «Non sono troppo d'accordo per il seggio all'Onu all'Anp di Abu Mazen», dichiarò infatti, nell'autunno del 2012, Renzi alla vigilia della votazione all'Assemblea generale di New York, «Stati Uniti e Gran Bretagna sono contrarie. La questione nasce dalle contraddizioni del movimento palestinese».
VETO ALLA PALESTINA. Sulla commessa alla lobby degli F35 poi (90 cacciabombardieri per 12 miliardi di euro all'americana Lockheed Martin), il rottamatore si è mosso in un modo ondivago.
«Non capisco perché buttare via così una dozzina di miliardi», affermò a titolo personale il rottamatore nel 2012. Peccato che poi il suo guru economico italo-israeliano abbia raddrizzato il tiro: «Per formulare un giudizio, non si può non partire dal piano generale degli armamenti. Più che occuparci degli F35, bisognerebbe notare che il 75% della spesa militare non sono gli armamenti», parola di Gutgeld.
Lunedì, 09 Dicembre 2013

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