venerdì 1 luglio 2016

Irritati con Raggi, entusiasti di Appendino: ora i grandi capi hanno paura di Roma

M5S
La candidata del M5s a sindaco di Roma Virginia Raggi, con il vicepresidente della Camera e membro del direttorio del M5s, Luigi Di Maio, durante l'evento di chiusura della campagna elettorale, Ostia (Roma), 17 giugno 2016.  ANSA/ANGELO CARCONI
La falsa partenza di Virginia allarma Di Maio. Mentre nella Capitale infuria la guerra fra le correnti
 
Sono irritati con “Virginia”. Parecchio. Apprezzano invece “Chiara”. Parecchio. I vertici del M5S– quelli del Direttorio, a partire da Luigi Di Maio ma probabilmente anche gli uomini della Casaleggio Associati – assistono in questi giorni ad una sorta di sdoppiamento della realtà: da una parte Roma, dove la sindaca Raggi sembra avere poche idee ma confuse, dall’altra Torino, dove la sindaca Appendino è partita a razzo mostrando di avere diverse idee, e chiare.
Fa impressione il silenzio dei capi sulle difficoltà ogni giorno più evidenti di Virginia Raggi. Niente post, niente tweet, niente di niente. Il suo mentore, Alessandro Di Battista, colui che tramite la Raggi vinse la battaglia di Roma contro De Vito-Lombardi, sul paragone Appendino-Raggi ha dato una risposta banalotta: “Ha fatto prima? Ottimo, ma Roma non è Torino”. Come se questo potesse giustificare i 20 giorni per formare una squadra, come ai tempo delle giunte Dc degli anni Sessanta.
Ma soprattutto risulta che Di Maio sia molto preoccupato per questa falsa partenza di Virginia: una cattiba proba di governo nella Capitale, va da sé, sarebbe piombo nelle sue ali quando scenderà in campo per palazzo Chigi. Mentre Roberta Lombardi, viceversa, assiste al brutto film che si sta girando nella Capitale con un silenzio eloquentissimo. Pare che nemmeno a Paola Taverna piaccia questo clima, mentre Roberto Fico si tiene ben alla larga.
La loro consolazione ha le sembianze di Chiara Appendino. Che risaltano ancor più a cospetto della fragilità che la Raggi sta evidenziando a Roma. La sindaca di Torino ha messo subito in questione la presidenza di Francesco Profumo, presidente e membro del comitato di gestione della Compagnia di San Paolo,  una delle più potenti fondazioni bancarie del paese che controlla poco più del 9 per cento del capitale di Intesa San Paolo. Un colpo ai consolidati “poteri forti” sotto la Mole. Vuole attaccare il debito attraverso risparmi di spesa, vuole smantellare la macchina amministrativa inevitabilmente legata alla sinistra torinese. “Chiara” dà l’idea di voler fare (che poi ci riesca è un’altra storia) ma insomma è una specie di modello di governo a Cinque stelle.
Tutto il contrario di Virginia Raggi. Lo ha spiegato bene Gianni Del Vecchio su Huffington Post.
Adesso, a pochissimi giorni dal suo insediamento a Roma si respira una certa aria disincantata verso la nuova sindaca. Non siamo certo al regret, al “rimorso” per aver decretato una vittoria così trionfale come quella della Raggi – anzi, ci pare che a Roma tuttora sia viva l’ansia di un buon governo – e tuttavia le sue prime mosse (e le non-mosse) stanno suscitando dubbi, perplessità, critiche.
Non è certo facile avviare un’azione di governo in una città come Roma, la cui amministrazione è in larga parte da ricostruire. Il punto però è che la sensazione che la sindaca non abbia a disposizione molta gente su cui fare affidamento in quanto a competenza è molto forte.
D’altra parte, si spiega: il M5S non ha mai governato, né avuto tempo e modo di selezionare un suo personale politico, ed è per questo che è costretto a ricorrere a persone che hanno i loro trascorsi con Alemanno o con Marino (non esattamente grandissime credenziali, visto come sono finite ambedue quelle esperienze) o con la Polverini.
E’ uno – forse il principale – dei problemi del “nuovo che avanza”. Ma va detto chiaramente che dal 26 giugno, i pentastellati ormai non si possono più considerare come degli alieni, come i primi che passano, ma come un normale soggetto politico: e come tali vanno trattati. Ci sembrano sagge a questo proposito le considerazioni di Claudio Velardi“Ormai sono lì, a volte ridicoli, ma fanno parte della scena. Bisogna vederli alla prova, dare loro tempo, e sperare pure che funzionino! Perché se la Raggi ce la farà a ridare vita alla carcassa di Roma, saremo contenti come cittadini (e del fidanzato capo-gabinetto nun ce po’ frega’ de meno); se Di Maio e Di Battista diventeranno degli statisti (mi viene un po’ da sorridere a dirlo…), sarà un bene per il paese. Quindi stop alle polemiche inutili, alle baruffe sui social, alla petulante messa in evidenza delle loro contraddizioni. Sarà solo il tempo a dire la sua sul futuro dei 5 stelle”.
La Giunta di Roma ancora non c’è e anzi fino a questo momento ci sono stati solo guai. Prima c’era stato il mezzo pasticcio a proposito della nomina di Daniele Frongia a Capo di gabinetto, che ha dovuto auto-ridimensionare i propri poteri in base alla legge Severino che prevede almeno un anno di pausa tra cariche elettive e incarichi dirigenziali nella stessa amministrazione. Si è trovato l’escamotage togliendogli il potere di spesa e di firma. Poteri “temporaneamente” passati all’ex alemanniano Raffaele Marra: ma come, temporaneamente? Mistero.
Poi lo scoop di Marco Lillo sul Fatto relativo a un dossier contro il rivale della Raggi, De Vito, che sarebbe stato vittima tra dicembre e gennaio scorso, di una campagna orchestrata dai tre ex consiglieri M5S (fra cui Virginia-ndr) per farlo fuori”. La sindaca oggi si è limitata a dire: “Non c’è nessun dossier”.
Mentre sul Messaggero Simone Canettieri racconta altre cose: “Come nelle migliori correnti della Dc la guerra è totale e senza esclusioni di colpi e mischia pubblico a personale. Gira, per esempio, un report (c’è chi lo chiama «dossier» nel M5S) contro Marcello De Vito. Una serie di documenti sull’attività professionale dell’avvocato che sarebbe dovuta uscire prima del voto per togliere a ‘Marcello’ qualsiasi velleità di fare il vicesindaco. Queste carte sarebbero chiuse in un cassetto. Pronte a spuntare fuori. Un ricatto? «Può darsi»,dicono alcuni grillini. E comunque potrebbe già essere pubblico oggi. E sarebbe un altro detonatore in un gruppo che non è ancora entrato come si deve in Comune ma già sembra essere pronto a esplodere”. E ancora: “Questo dossier contro De Vito sarebbe la risposta a una mossa che le solite malelingue gli addebitano, aver spifferato a un giornale on-line il praticantato con lo studio Previti che la Raggi non aveva dichiarato nel curriculum. Un peccato non secondario, soprattutto per gli ortodossi del M5S, uscito guarda caso, il pomeriggio della votazione in rete per scegliere chi sarebbe stato il candidato del M5S in Campidoglio”.
I romani, sempre disincantati, aspettano di capire se si tratta solo di problemi iniziali legati all’inesperienza o se ci sia piuttosto qualcosa di più politico, un mix di inadeguatezza e di sorde lotte interne, il tutto in un contesto ultra-complicato come quello della imballata macchina capitolina. I giornali, più o meno tutti, gareggiano nel dare l’allarme. Persino il tedesco Sueddeutsche Zeitung ha scritto che «il nuovo puzza un po’ di stantio» rimproverando alla sindaca di Roma quella lentezza e la scarsa trasparenza nelle nomine che sono state imputate negli anni passati dagli stessi grillini ai loro avversari.
Può darsi che questa impasse iniziale verrà presto superata. Può darsi che il fantasma di una Raggi-gret (“gret” sta per “regret”, rimorso) svanirà rapidamente. Roma aspetta risposte.

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