E il Fatto svela il colpo di stato di Virginia (con tanto di riunioni staliniane)
Inquietante scoop di Marco Lillo: così la Raggi fece fuori il rivale De Vito
Che le cose nel Movimento 5 stelle romano non vadano come la propaganda ufficiale vorrebbe, lo si sapeva ormai da tempo, almeno da quando la Casaleggio Associati srl decise di scegliere Virginia Raggi come candidata sindaco, defenestrando l’allora capogruppo Marcello De Vito, terminale capitolino di Roberta Lombardi, boss indiscussa in città.
Fino all’arrivo della Raggi, appunto: che è riuscita in pochi mesi ad occupare e svuotare il Movimento, dapprima con l’appoggio determinante della società di marketing milanese e poi giocando in proprio, con il suo braccio destro Daniele Frongia, in uno scontro senza quartiere con la Lombardi e il Direttorio.
Di questa guerra sorda (ma neppure troppo) si sanno ormai molte cose: la nomina di Frongia a capo di gabinetto, voluta dalla Raggi aggirando la legge Severino e (secondo alcuni attivisti) in violazione del codice etico interno; lo scontro sul portavoce, Augusto Rubei, voluto dalla sindaca ma giudicato troppo “autonomo” dal Direttorio e dai talebani che controllano lo staff della comunicazione; il braccio di ferro estenuante sulla scelta degli assessori – Roma è a tutt’oggi l’unica città senza giunta fra quelle in cui si è votato – con Luigi Di Maio (che è riuscito a piazzare la sua protetta Laura Baldassarre) e, di nuovo, la Lombardi, che preme per un ruolo di primo piano per il “suo” De Vito.
E così torniamo alla casella di partenza: la guerra fra Raggi e De Vito.
Oggi il Fatto pubblica una ricostruzione dei fatti che, se confermata, apre uno squarcio inquietante sulle modalità e lo stile della lotta politica nel partito di Grillo. “Raggi, per conquistare Roma dossier e accuse a De Vito” è il titolo di un lungo articolo in cui Marco Lillo racconta il vero e proprio colpo di stato ordito dall’attuale sindaca alle spalle dell’allora capogruppo fra il dicembre dell’anno scorso e il gennaio di quest’anno.
“Il 28 dicembre 2015 – scrive Lillo – Stefano, Frongia e Raggi [i tre consiglieri comunali del M5s, ndr] organizzano una riunione con i consiglieri municipali. In assenza di De Vito, accusano il capogruppo di avere compiuto una serie di atti contrari alla pubblica amministrazione e il reato di abuso di ufficio”.
L’accusa è pesantissima: De Vito avrebbe chiesto “la pratica di sanatoria edilizia su un seminterrato di un cittadino di nome F.B. al quartiere Aurelio” per inconfessabili scopi personali.
Nel Movimento romano si scatena subito il processo – Paola Taverna scriverà in una mail “partita per sbaglio” di aver assistito ad “uno squallido tribunale speciale” –, ma il capogruppo non saprà nulla fino al 7 gennaio, quando, racconta ancora Lillo, è convocato ad una riunione con alcuni membri del Direttorio, che gli formalizzano le accuse mentre Frongia “esibisce un parere legale” rifiutandosi però di dire quale avvocato l’abbia redatto. De Vito si difende, in questa e in altre riunioni, e l’incidente finalmente si chiude: ma intanto la candidatura a sindaco è pesantemente indebolita, e il duo Raggi-Frongia può lanciarsi alla conquista della Capitale.
De Vito “si pente di non aver reagito”, scrive ancora Lillo, e a marzo medita un’azione legale contro Raggi, Frongia e Stefano. Poi “desiste per il bene del Movimento – prosegue il cronista del Fatto –. Sarà il presidente del Consiglio comunale. Alla moglie, Giovanna Tadonio, hanno proposto un posto da assessore retribuito al Municipio III”.
Tutto è bene quel che finisce bene: dossier, sanatorie edilizie, riunioni segrete, processi staliniani, minacce, azioni legali, compravendita di poltrone. Benvenuti nel nuovo Movimento 5 stelle.
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