Camera e Senato alla Lega: "Truffa sui rimborsi, restituite allo Stato 59 milioni"
Dal processo che riprende oggi a Genova contro l'ex amministratore del Carroccio e contro il Senatur, spuntano carte inedite che chiamano in causa anche Salvini e Maroni
Truffa contro Bossi e Belsito sui rimborsi elettorali della Lega: Camera e Senato presentano al partito di Salvini il conto da restituire allo Stato. Non più "solo" 40 milioni, come conteggiato dai magistrati, bensì 59 milioni. Dal processo che riprende oggi a Genova contro l'ex amministratore del Carroccio e contro il Senatur, spuntano carte inedite depositate dal Parlamento che dimostrano che una parte di quei rimborsi elettorali truffaldini sono stati incassati dalla Lega anche dopo il "movimento delle scope" del 5 aprile 2012 che aveva defenestrato Bossi.
IL PDF: l'atto di citazione
Complessivamente, nel periodo in cui la segreteria leghista è stata retta da Roberto Maroni, nelle casse dei lumbard sono stati versati dal Parlamento quasi 13 milioni oggetto della truffa, e 820mila euro durante la segreteria Salvini. Ma al di là di quanto sia l'importo, che fine hanno fatto quei milioni di euro che, secondo l'accusa, Bossi e Belsito hanno ottenuto da Camera e Senato falsificando i rendiconti delle spese elettorali? Perché, se il governatore della Lombardia e l'attuale segretario sapevano della truffa (Salvini s'è addirittura costituito parte civile), hanno continuato a incassarli, e, soprattutto, a spenderli, visto che la Lega è stata costretta a licenziare il personale per essere rimasta senza un euro in bilancio?
A proposito di dove siano finiti i quaranta o i cinquantanove milioni oggetto della truffa, i documenti depositati nel processo genovese rivelano uno scontro all'ultimo sangue tra leghisti. Bossi, per voce del suo avvocato Matteo Brigandì, chiede a Salvini la restituzione dei 40 milioni che la procura ritiene il corpo del reato della truffa elettorale. Il 29 ottobre del 2014, il legale di Bossi invia al segretario leghista una lettera dai toni affabili ("Caro Matteo....". "Un abbraccio padano"), ma dal contenuto al vetriolo. Lettera presente tra i documenti processuali. Bossi ha lasciato in bilancio un attivo da 41 milioni: "Sono certo - scrive, sarcastico, il legale di Bossi - che mai verrà dalla Lega adoperato anche per il futuro un solo euro da questa detenuto e da questa stessa dichiarato (con la costituzione di parte civile, ndr) corpo di reato".
"Tenterò ogni conciliazione - aggiunge il legale Brigandì alludendo alle costituzioni di parte civile di Camera e Senato - sul presupposto della vostra disponibilità a rendere quanto da voi dichiarato come prezzo della truffa aggravata, prezzo presente nelle vostre casse". "Quindi - conclude l'avvocato di Bossi, ben sapendo che tutti i soldi sono stati spesi - ti diffido dallo spendere quanto da te stesso considerato come corpo di reato".
La coppia Bossi-Brigandì è consapevole della portata devastante che questa lettera, inviata a Salvini, possa avere sul processo: il Senatur e il suo legale vogliono che i giudici valutino se aver
incassato i soldi oggetto della truffa costituisce concorso nel reato e, averli spesi, ricettazione. La difesa di Bossi, a questo punto, sembra essere quella (fatti di dovuti distinguo) di Sansone: che muoia Bossi, ma con tutti i (segretari) leghisti. Almeno quelli che gli hanno fatto la guerra.
IL PDF: l'atto di citazione
Complessivamente, nel periodo in cui la segreteria leghista è stata retta da Roberto Maroni, nelle casse dei lumbard sono stati versati dal Parlamento quasi 13 milioni oggetto della truffa, e 820mila euro durante la segreteria Salvini. Ma al di là di quanto sia l'importo, che fine hanno fatto quei milioni di euro che, secondo l'accusa, Bossi e Belsito hanno ottenuto da Camera e Senato falsificando i rendiconti delle spese elettorali? Perché, se il governatore della Lombardia e l'attuale segretario sapevano della truffa (Salvini s'è addirittura costituito parte civile), hanno continuato a incassarli, e, soprattutto, a spenderli, visto che la Lega è stata costretta a licenziare il personale per essere rimasta senza un euro in bilancio?
A proposito di dove siano finiti i quaranta o i cinquantanove milioni oggetto della truffa, i documenti depositati nel processo genovese rivelano uno scontro all'ultimo sangue tra leghisti. Bossi, per voce del suo avvocato Matteo Brigandì, chiede a Salvini la restituzione dei 40 milioni che la procura ritiene il corpo del reato della truffa elettorale. Il 29 ottobre del 2014, il legale di Bossi invia al segretario leghista una lettera dai toni affabili ("Caro Matteo....". "Un abbraccio padano"), ma dal contenuto al vetriolo. Lettera presente tra i documenti processuali. Bossi ha lasciato in bilancio un attivo da 41 milioni: "Sono certo - scrive, sarcastico, il legale di Bossi - che mai verrà dalla Lega adoperato anche per il futuro un solo euro da questa detenuto e da questa stessa dichiarato (con la costituzione di parte civile, ndr) corpo di reato".
"Tenterò ogni conciliazione - aggiunge il legale Brigandì alludendo alle costituzioni di parte civile di Camera e Senato - sul presupposto della vostra disponibilità a rendere quanto da voi dichiarato come prezzo della truffa aggravata, prezzo presente nelle vostre casse". "Quindi - conclude l'avvocato di Bossi, ben sapendo che tutti i soldi sono stati spesi - ti diffido dallo spendere quanto da te stesso considerato come corpo di reato".
La coppia Bossi-Brigandì è consapevole della portata devastante che questa lettera, inviata a Salvini, possa avere sul processo: il Senatur e il suo legale vogliono che i giudici valutino se aver
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