Regioni, cosa c'è dietro i conti disastrati
Regioni sul lastrico. Non possono finanziarsi. E Roma ha tagliato i trasferimenti: meno 25 miliardi in 5 anni. Debiti totali per 70. La maglia nera? Il Lazio con 5,9.
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23 Ottobre 2015Share on facebook
Il bubbone è scoppiato in tutto il suo fragore quando il gotha della politica regionale era ancora in vacanza.
Precisamente lo scorso 24 agosto la Consulta sentenziò, partendo dal congelamento del bilancio del Piemonte da parte della Corte dei Conti, che gli enti locali non potevano finanziare spesa con i prestiti arrivati dallo Stato centrale per ripianare i debiti.
Soldi dati soltanto per pagare gli arretrati della Pa verso le imprese.
Poche ore dopo al Tesoro erano già al lavoro per studiare una maxisanatoria e superare l'obbligo di pareggio di bilancio imposto da Enrico Letta agli enti periferici già nel 2012.
CHIAMPARINO DÀ LA COLPA A COTA. Qualcosa dovrebbe vedersi già nella prossima Legge di Stabilità. Anche perché con la decisione della Corte Costituzionale si è materializzato un maxi buco da 20 miliardi di euro in tutt'Italia, con il rischio di dover riscrivere i budget.
A Torino, invece, il governatore Sergio Chiamparino non aveva trovato di meglio che scaricare tutta la colpa sul suo predecessore, il leghista Cota, e ritoccare all'insù l'addizionale regionale «per evitare il default». Ma è stato inutile.
PIEMONTE, DISAVANZO DI 5,75 MILIARDI. Nelle scorse ore la Corte dei Conti ha comunicato che, anche grazie a quell'uso disinvolto dei fondi statali, la regione Piemonte deve fronteggiare un disavanzo da 5,75 miliardi di euro.
Quindi, con clemenza, aveva rimandato tutto e tutti al famoso emendamento Salva Regioni allo studio in via XX settembre.
La magistratura contabile lo aveva definito «un decisivo intervento legislativo che, tenendo conto dei precetti costituzionali e dei vincoli comunitari, preveda per la Regione Piemonte un piano di rientro dal disavanzo che sia economicamente sostenibile e che al tempo stesso non blocchi gli investimenti necessari per il rilancio dell’economia piemontese».
Precisamente lo scorso 24 agosto la Consulta sentenziò, partendo dal congelamento del bilancio del Piemonte da parte della Corte dei Conti, che gli enti locali non potevano finanziare spesa con i prestiti arrivati dallo Stato centrale per ripianare i debiti.
Soldi dati soltanto per pagare gli arretrati della Pa verso le imprese.
Poche ore dopo al Tesoro erano già al lavoro per studiare una maxisanatoria e superare l'obbligo di pareggio di bilancio imposto da Enrico Letta agli enti periferici già nel 2012.
CHIAMPARINO DÀ LA COLPA A COTA. Qualcosa dovrebbe vedersi già nella prossima Legge di Stabilità. Anche perché con la decisione della Corte Costituzionale si è materializzato un maxi buco da 20 miliardi di euro in tutt'Italia, con il rischio di dover riscrivere i budget.
A Torino, invece, il governatore Sergio Chiamparino non aveva trovato di meglio che scaricare tutta la colpa sul suo predecessore, il leghista Cota, e ritoccare all'insù l'addizionale regionale «per evitare il default». Ma è stato inutile.
PIEMONTE, DISAVANZO DI 5,75 MILIARDI. Nelle scorse ore la Corte dei Conti ha comunicato che, anche grazie a quell'uso disinvolto dei fondi statali, la regione Piemonte deve fronteggiare un disavanzo da 5,75 miliardi di euro.
Quindi, con clemenza, aveva rimandato tutto e tutti al famoso emendamento Salva Regioni allo studio in via XX settembre.
La magistratura contabile lo aveva definito «un decisivo intervento legislativo che, tenendo conto dei precetti costituzionali e dei vincoli comunitari, preveda per la Regione Piemonte un piano di rientro dal disavanzo che sia economicamente sostenibile e che al tempo stesso non blocchi gli investimenti necessari per il rilancio dell’economia piemontese».
Il peso dei tagli ai trasferimenti dallo Stato
Stessa posizione da parte di Chiamparino, pronto a dimettersi senza un intervento da Roma. Altrimenti la Regione dovrebbe «pagare per i prossimi sette anni una rata annuale di circa 800 milioni a copertura del debito, a fronte di risorse che arrivano a 400 milioni».
Per capire perché le Regioni si sono ritrovate subissate da debiti bisogna fare due considerazioni. In primo luogo la riforma del Titolo V ha dato agli enti competenza piena o concorrente sulle materie più disparate (sono rimaste allo Stato centrale soltanto politica estera, programmazione economica e giustizia), senza potersi finanziare direttamente.
Poi c'è da considerare il peso dei tagli ai trasferimenti dal centro alla periferia dello Stato.
IN 5 ANNI 25 MILIARDI IN MENO. Al riguardo la Cgia di Mestre ha calcolato lo scorso febbraio che, «tra spending review e sforbiciate varie, negli ultimi cinque anni le Regioni e gli enti locali hanno subito una riduzione dei trasferimenti dallo Stato centrale di poco superiore ai 25 miliardi di euro».
In quest'ottica non deve sorprendere che - come ha denunciato la Corte dei Conti nell'ultimo rilevamento sui bilanci firmati dai governatori - «l’indebitamento con oneri a esclusivo carico delle Regioni passa da 46 miliardi del 2012 a 52,7 miliardi del 2013, registrando un incremento dell’11,48% rispetto al biennio 2011-2012. Una parte consistente è coperta dagli strumenti di finanza derivata (14,84 miliardi, pari al 28,12% del debito a carico delle Regioni)».
MAGLIA NERA AL LAZIO. Ma a quanto ammontano i debiti delle Regioni italiani? Dopo la sentenza della Consulta che ha imposto agli enti di riscrivere i loro bilanci è difficile fare numeri precisi.
Se si sommano le cifre da restituire e gli ultimi bilanci a disposizione c'è chi ipotizza anche 70 miliardi di euro. Quasi mezzo punto di Pil.
Guardando i numeri a disposizione la Cgia di Mestre ha stimato che soltanto nel campo della sanità si debbano coprire debiti per 24 miliardi di euro. Di questi, 5 sono mancati pagamenti ai fornitori.
In generale, primo nella classifica dei meno virtuosi c'è il Lazio, (con 5,9 miliardi di euro), seconda la Campania (3,8 miliardi), terze a pari merito Lombardia e Piemonte, con un indebitamento di 2,2 miliardi ciascuna.
Per capire perché le Regioni si sono ritrovate subissate da debiti bisogna fare due considerazioni. In primo luogo la riforma del Titolo V ha dato agli enti competenza piena o concorrente sulle materie più disparate (sono rimaste allo Stato centrale soltanto politica estera, programmazione economica e giustizia), senza potersi finanziare direttamente.
Poi c'è da considerare il peso dei tagli ai trasferimenti dal centro alla periferia dello Stato.
IN 5 ANNI 25 MILIARDI IN MENO. Al riguardo la Cgia di Mestre ha calcolato lo scorso febbraio che, «tra spending review e sforbiciate varie, negli ultimi cinque anni le Regioni e gli enti locali hanno subito una riduzione dei trasferimenti dallo Stato centrale di poco superiore ai 25 miliardi di euro».
In quest'ottica non deve sorprendere che - come ha denunciato la Corte dei Conti nell'ultimo rilevamento sui bilanci firmati dai governatori - «l’indebitamento con oneri a esclusivo carico delle Regioni passa da 46 miliardi del 2012 a 52,7 miliardi del 2013, registrando un incremento dell’11,48% rispetto al biennio 2011-2012. Una parte consistente è coperta dagli strumenti di finanza derivata (14,84 miliardi, pari al 28,12% del debito a carico delle Regioni)».
MAGLIA NERA AL LAZIO. Ma a quanto ammontano i debiti delle Regioni italiani? Dopo la sentenza della Consulta che ha imposto agli enti di riscrivere i loro bilanci è difficile fare numeri precisi.
Se si sommano le cifre da restituire e gli ultimi bilanci a disposizione c'è chi ipotizza anche 70 miliardi di euro. Quasi mezzo punto di Pil.
Guardando i numeri a disposizione la Cgia di Mestre ha stimato che soltanto nel campo della sanità si debbano coprire debiti per 24 miliardi di euro. Di questi, 5 sono mancati pagamenti ai fornitori.
In generale, primo nella classifica dei meno virtuosi c'è il Lazio, (con 5,9 miliardi di euro), seconda la Campania (3,8 miliardi), terze a pari merito Lombardia e Piemonte, con un indebitamento di 2,2 miliardi ciascuna.
Otto Regioni aumentano le addizionali
Non a caso otto Regioni hanno dovuto aumentare le loro addizionali proprio per ripianare i buchi della sanità. Ma è difficile invertire la tendenza in un Paese vecchio come il nostro.
Sempre la Corte dei Conti ha rilevato, «secondo i dati di contabilità nazionale e i conti economici degli enti dei Servizi sanitari regionali, una contrazione della spesa nell’ultimo triennio».
CRESCE LA SPESA OSPEDALIERA. Tagliare è difficile. Lo dimostra anche il fatto che «tra le principali componenti della spesa sanitaria corrente riducono il loro peso sulla spesa complessiva le spese di personale (dal 34,97 nel 2002 al 32,19% nel 2013) e la spesa farmaceutica convenzionata (dal 14,98 nel 2002 al 7,86% nel 2013). Risulta confermata l’efficacia delle misure di contenimento della farmaceutica territoriale e la difficoltà a contenere quella ospedaliera; il risultato per il 2013, anche se positivo perché la spesa diminuisce complessivamente del 3,6% rispetto all’anno precedente (-0,6 miliardi in valore assoluto), è prodotto da un incremento del 7,6% della spesa ospedaliera e da un calo del 7,2% di quella territoriale».
IL CAOS DEGLI ENTI A STATUTO SPECIALE. Sempre la Corte dei Conti ha riconosciuto gli sforzi degli enti a Statuto ordinario. Il caos invece è nel campo di quelli a Statuto speciale. La piccola Valle D'Aosta, stando sempre ai dati al 2013, ha un buco di 53,1 milioni (415 euro pro capite), la provincia di Trento di 218,2 milioni (411 euro per ogni trentino).
Quella di Bolzano è in rosso di 184,5 milioni (362 euro a persona), la Sardegna deve ripianare 379,6 milioni (231 euro a residente), il Friuli-Venezia Giulia ha debiti per 44 milioni (36 euro pro capite). Sotto i 2 miliardi la Sicilia, che però ha un passivo complessivo che sfiora gli 8 miliardi.
LE CONTROLLATE NEL MIRINO. Ma non c'è soltanto la sanità dalla quale recuperare soldi. Prima di tornarsene a Washington l'ex commissario alla spending, Carlo Cottarelli, annunciò che si poteva tagliare del 20% la spesa per i dipendenti, adottando il blocco del turnover e dando il là a un profondo processo mobilità fra amministrazioni.
A regime si sarebbe potuto risparmiare anche mezzo miliardo all’anno.
Matteo Renzi, invece, con la prossima Finanziaria proverà a disboscare la foresta pietrificata delle controllate degli enti locali, che costa allo Stato ogni anno 13 miliardi.
Sempre la Corte dei Conti ha rilevato, «secondo i dati di contabilità nazionale e i conti economici degli enti dei Servizi sanitari regionali, una contrazione della spesa nell’ultimo triennio».
CRESCE LA SPESA OSPEDALIERA. Tagliare è difficile. Lo dimostra anche il fatto che «tra le principali componenti della spesa sanitaria corrente riducono il loro peso sulla spesa complessiva le spese di personale (dal 34,97 nel 2002 al 32,19% nel 2013) e la spesa farmaceutica convenzionata (dal 14,98 nel 2002 al 7,86% nel 2013). Risulta confermata l’efficacia delle misure di contenimento della farmaceutica territoriale e la difficoltà a contenere quella ospedaliera; il risultato per il 2013, anche se positivo perché la spesa diminuisce complessivamente del 3,6% rispetto all’anno precedente (-0,6 miliardi in valore assoluto), è prodotto da un incremento del 7,6% della spesa ospedaliera e da un calo del 7,2% di quella territoriale».
IL CAOS DEGLI ENTI A STATUTO SPECIALE. Sempre la Corte dei Conti ha riconosciuto gli sforzi degli enti a Statuto ordinario. Il caos invece è nel campo di quelli a Statuto speciale. La piccola Valle D'Aosta, stando sempre ai dati al 2013, ha un buco di 53,1 milioni (415 euro pro capite), la provincia di Trento di 218,2 milioni (411 euro per ogni trentino).
Quella di Bolzano è in rosso di 184,5 milioni (362 euro a persona), la Sardegna deve ripianare 379,6 milioni (231 euro a residente), il Friuli-Venezia Giulia ha debiti per 44 milioni (36 euro pro capite). Sotto i 2 miliardi la Sicilia, che però ha un passivo complessivo che sfiora gli 8 miliardi.
LE CONTROLLATE NEL MIRINO. Ma non c'è soltanto la sanità dalla quale recuperare soldi. Prima di tornarsene a Washington l'ex commissario alla spending, Carlo Cottarelli, annunciò che si poteva tagliare del 20% la spesa per i dipendenti, adottando il blocco del turnover e dando il là a un profondo processo mobilità fra amministrazioni.
A regime si sarebbe potuto risparmiare anche mezzo miliardo all’anno.
Matteo Renzi, invece, con la prossima Finanziaria proverà a disboscare la foresta pietrificata delle controllate degli enti locali, che costa allo Stato ogni anno 13 miliardi.
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