mercoledì 4 novembre 2015

Riceviamo e pubblichiamo.

Dietro al 'modello Milano' non c'è assolutamente niente

novembre 4, 2015
News Editor
L'Expo Gate. Foto via Flickr

Da qualche tempo a questa parte sembra essersi imposta una narrativa ben precisa—quella che vuole Milano come una città sostanzialmente rinata e in grande ascesa, e Roma come una Capitale piombata nel degrado e nello sfacelo più totale.
Per accorgersene basta guardare il tenore di alcuni articoli pubblicati recentemente. "Dopo anni grigi," si legge in un articolo dell'Espresso intitolato Tutti a Milano, la città dove ogni cosa accade , la città "ha cambiato pelle" e "si è rinnamorata di se stessa." Il corrispondente di Le Monde Philippe Ridet ha scritto—nel pezzo Miracolo a Milano, catastrofe a Roma —che Milano "ormai sembra la somma di tutte le virtù." Secondo una recente ricerca di Legambiente, inoltre, nella "sfida sulla qualità della vita" il "Duomo batte il Cupolone." E anche la stampa straniera è sulla stessa linea d'onda: il New York Times, ad esempio, lo scorso luglio ha inserito Milano nei 52 posti da visitare nel mondo. E si potrebbe andare avanti ancora a lungo.
Per quanto la rivalità tra le due città non sia una novità—e soggetta a ondate contrapposte: una ventina di anni fa, infatti, era l'esatto contrario—nell'attuale "primato" milanese c'è sicuramente un fondo di verità.
Negli ultimi anni, Milano è riuscita a portare avanti un'idea di città—discutibile o meno, certo, ma almeno è stata portata avanti—che Expo ha messo sotto i riflettori internazionali. Roma, invece, sta facendo i conti con l'esplosione di un modello di governo clientelare che ha paralizzato l'amministrazione, compromesso lo sviluppo urbanistico e generato fenomeni criminali come Mafia Capitale.
Ed è proprio in riferimento alla dimensione criminale o corruttiva che, pochi giorni prima della conclusione di Expo, il presidente dell'Autorità anticorruzione Raffaelle Cantone ha reintrodotto nel dibattito la famigerata espressione "capitale morale." "Milano si riappropria del ruolo di capitale morale d'Italia," ha detto Cantone di fianco al sindaco uscente Giuliano Pisapia, "in un momento in cui la capitale reale non sta dimostrando di avere gli anticorpi morali di cui ha bisogno."
Manifestazione sotto il Campidoglio dopo la seconda ondata di arresti per Mafia Capitale. Foto di Marco Minna

A dir la verità, già un anno fa Milano si era auto-riappropriata dell'appellativo. In un'intervista al Corriere della Sera, il vicesindaco Ada Lucia De Cesaris aveva affermatoche "Milano può essere riconsiderata la capitale morale del Paese, grazie anche a un'amministrazione di persone per bene che lavorano per l'interesse della città."
L'espressione "capitale morale" è stata coniata nell'Ottocento—più precisamente nel 1881, quando a Milano si tenne l'Esposizione Nazionale Industriale—ma in origine aveva un significato diverso da quello che le si attribuisce oggi. Secondo Giovanna Rosa, che ha scritto il libro Il mito della capitale morale, l'espressione "sintetizza l'orgoglio tenace di una città che si è candidata, e continua a candidarsi, a essere la guida effettiva, non ufficiale del paese."
La "capitale morale" a cui si riferisce Cantone, invece, è inserita in una dimensione etica—o almeno, questa è la lettura che ne hanno dato i quotidiani. Ma come giustamente è stato osservato, di "morale" intorno a Expo c'è stato davvero ben poco. Prima dell'inaugurazione, e come in ogni grande opera italiana che si rispetti, sull'esposizione universale si erano abbattuti arresti, appalti commissariati, interdittive antimafia e scandali vari.
Anche se ora non lo ricorda praticamente nessuno, il meccanismo si è fermato solo ed esclusivamente per la "moratoria" sulle indagini decisa dalla procura, una mossa che Matteo Renzi aveva apprezzato parecchio, lodandone la "sensibilità istituzionale." Tra l'altro, segnala il sito GiustiziaMi, la moratoria sarebbe stata estesa anche al post-Expo.
E qui arrivo a ciò che sta succedendo in questi ultimi giorni, cioè come—a mio avviso—il governo Renzi abbia sfruttato a fini politici la doppia retorica di "capitale morale" e "successo Expo" (ancora tutto da verificare, almeno livello statistico) per "risolvere" la lunga crisi politica romana e preparare il Giubileo straordinario che il Vaticano ha scaricato sulla città senza fare troppi complimenti.
Foto di Niccolò Berretta.

Il caso, infatti, ha voluto che la conclusione di Expo si sia sovrapposta alla perfezione con la definitiva defenestrazione di Ignazio Marino, avvenuta il 30 ottobre con le dimissioni di 26 consiglieri comunali. Alla caduta del consiglio comunale è seguita, con rapidità veramente encomiabile, la nomina a commissario di Francesco Paolo Tronca , il prefetto di Milano che come primo atto ufficiale—tanto per mettere le cose in chiaro—si è inchinato di fronte a Papa Francesco.
Sui quotidiani di questi giorni Tronca è descritto come una specie di Mr. Wolf su steroidi, un uomo che—cito dal Corriere della Sera—ha "la passione per le armi antiche e per Garibaldi," "mangia niente (al massimo un'oliva all'ascolana nei rinfreschi)," e "adora i problemi perché non vede l'ora di risolverli." Per farlo, Tronca avrà tutti "i poteri spettanti al consiglio comunale, alla giunta ed al sindaco" e dovrà rispondendere solo a Palazzo Chigi, senza alcun controllo da parte degli istituti democratici cittadini (che sono commissariati). Messa così, gli intenti sottesi alla scelta di Tronca non potrebbero essere più chiari.
Nella sua newsletter, Matteo Renzi ha scritto che "cercheremo di fare del Giubileo con Roma ciò che è stato con l'Expo a Milano," e ha esplicitamente detto di non volersi sorbire le "solite polemiche miopi e meschine." Il ministro delle riforme Maria Elena Boschi ha fatto eco al premier, dichiarando che "come ha funzionato Expo, vogliamo che questo modello sia il modello di Roma per il Giubileo." Anche il ministro dell'interno Angelino Alfano si è detto sicuro che "con Tronca il Giubileo sarà come l'Expo."
Lo stesso Tronca, visto che nessun altro aveva precisato cosa fosse questo "modello Milano/Expo," si è sentito in dovere di spiegare che questo "modello" altro non è che "un modo di lavorare avanzato, in piena sinergia con unità di intenti, guardando agli obiettivi da raggiungere." Che, a ben vedere, non vuol dire nulla.
Perché alla fine, se proprio bisogna parlare di "modello Expo," allora bisogna parlare di cosa ha rappresentato questo modello nel suo nucleo più profondo: una deroga continua ai codici e alle regole, un regime di emergenza esasperata in cui tutto è stato permesso, e infine l'accentramento del potere decisionale in una singola figura slegata da qualsiasi supervisione indipendente.
Naturalmente estenderlo a una città come Roma è abbastanza difficile, e la differenza tra i due grandi eventi è così radicale che tutti questi paragoni e assonanze vanno prese per quello che sono: pura e semplice propaganda politica, dietro alla quale si nasconde un obiettivo ben preciso.
Proprio ieri sera, Ignazio Marino ha scritto uno status su Facebook in cui è tornato sulla fine del suo mandato. "Occorre ristabilire la verità," si è sfogato l'ex sindaco, "Renzi voleva Roma sotto il suo diretto controllo e se l'è presa, utilizzando il suo doppio ruolo: come segretario del partito ha voluto che i 19 consiglieri del PD si dimettessero, come Presidente del Consiglio ha sostituito il sindaco, legittimamente eletto, con un prefetto."
E al netto del livore dell'ex sindaco, non è che la realtà sia troppo distante da questa descrizione.

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