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ROMA - La grazia è una partita persa, archiviata, chiusa. Ne ha preso atto anche il diretto interessato, ora che il Quirinale ha lasciato trapelare la sua indisponibilità anche dopo l'ultima sentenza, quella che ha assolto Silvio Berlusconi in appello dalla più infamante delle condanne a suo carico. Ma l'ex Cavaliere  -  evaporata la sorpresa, l'euforia e perfino la commozione dei primi giorni  -  non si arrende, adesso punta solo a ottenere quel "risarcimento " che si è convinto gli spetti. Si tratta di capire come.

"Troppi anni e troppi danni subiti, troppo fango in Italia e fuori, qualcuno dovrà trovare una soluzione per ridarmi l'agibilità politica a cui ho diritto", ripeteva ancora ieri agli "amici di sempre". Quelli - come Fedele Confalonieri - con cui si confida nei momenti più difficili. Quelli cui chiede consiglio prima ancora di rivolgersi ai vertici del suo partito. Con loro si è consultato prima di dedicarsi in serata al giocattolo che ancora lo diverte: il Milan. Summit con la figlia Barbara, l'allenatore Filippo Inzaghi e l'ad Adriano Galliani sul mercato de i rossoneri.

Nel centrodestra si litiga di nuovo sulle primarie, sulla coalizione, sul ritorno (improbabile) di Alfano e dei suoi, sulla Lega. Ma il leader di Forza Italia non ha alcuna intenzione di farsi da parte, ora meno di prima. Ed è alla disperata caccia della soluzione che possa rimetterlo in gioco appieno, non solo nei panni di padre nobile. E l'unica strada che ha individuato con i suoi legali di vecchia data è quella di bypassare la legge Severino. Modificare la norma sulla incandidabilità o escogitare un modo per sterilizzarla nella parte in cui impedisce a un condannato in via definitiva di essere candidato, in Parlamento e a Palazzo Chigi.

"Dobbiamo battere quella strada e mi occuperò personalmente di trattare la questione con Renzi" è il più recente e segreto proposito. Tutt'altro che una trattativa da aprire in un tavolo ufficiale, nella sua strategia. Quel che è certo però è che dalla sentenza del 18 luglio si sente riabilitato, continuerà a trattare sulle riforme, a garantire il sostegno pieno di Forza Italia sul Senato e sull'Italicum, ma non sarà un supporto a costo zero. Tanto più ora che  -  pur tra un tira e molla, una chiusura e una riapertura  -  Grillo e Casaleggio appaiono fuori dai giochi per le riforme. Anzi, proprio il ruolo di "padre della patria " che si autoattribuisce viene considerato proprio il passepartout per chiudere la stagione dei processi e arrivare alla "pacificazione" Berlusconi sa bene che la partita è difficile, anzi improba. "Non credo proprio che Renzi si faccia carico di una contropartita così delicata" ammetteva ieri pomeriggio più d'uno della cerchia ristretta del leader. Ma bisognerà fare i conti con la determinazione del capo, che tutti i suoi definiscono rigenerato dall'assoluzione in appello.

La "riabilitazione ", appunto, costituisce il chiodo fisso, adesso. Dagli avvocati Ghedini e Longo per di più avrebbe ottenuto il responso sperato a un interrogativo posto nei giorni scorsi. E cioè: gli effetti della Severino sarebbero cancellati nel caso in cui la Corte di Strasburgo dovesse accogliere il ricorso presentato contro la sentenza definitiva sui diritti Mediaset? Sembrerebbe di sì, stando al loro parere. E questo riaprirebbe sì i giochi in casa, con la possibilità di tornare a candidarsi per guidare con tanto di nome in lista il partito e eventualmente la coalizione. Ma soprattutto, nell'ottica dell'ex Cavaliere, gli consentirebbe quella "riabilitazione" agognata anche sul piano internazionale.

Ecco l'altro pallino. Tornare a sedere da leader anche al cospetto delle cancellerie europee e in particolare a Bruxelles. Cosa che per altro intende fare, senza perdere altro tempo, già da marzo, quando gli sarà restituito il passaporto e saranno conclusi i servizi sociali. Intanto, ha incaricato il suo "ambasciatore" Ue, il vicepresidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, di diffondere il più possibile, con tutti i suoi interlocutori ai vertici del Ppe, la notizia della cancellazione della condanna su Ruby. Circostanza che  -  avrebbe fatto notare l'ex commissario Ue  -  è già ben nota, dato che dell'assoluzione si è occupata tutta la stampa internazionale. Non basta, per il leader, che già nei giorni scorsi aveva sentito il presidente del Ppe Joseph Daul per discutere delle nomine ai vertici della Commissione. Il meglio, dal suo punto di vista, deve ancora venire. "Dal prossimo anno Angela Merkel dovrà tornare ad avere a che fare con me", confida ora un Berlusconi rinvigorito, saggiando il miele della rivincita. Non ha fatto mistero coi suoi che tornerà a frequentare i vertici del Ppe, sebbene Forza Italia contribuisca da quest'anno a quel gruppo con un numero ben più ridotto di parlamentari, tredici.

Ma se il leader si prepara a costruire il suo rilancio internazionale, figurarsi se prende in considerazione veti interni, oppositori o dissidenti dentro il partito. Da oggi al Senato si fa sul serio, iniziano le votazioni sulla riforma concordata con Renzi. L'ex premier ha garantito al suo interlocutore il pieno sostegno, nonostante la presa di distanza dei 22 contrari nel gruppo forzista. Quella riforma, come la legge elettorale, Berlusconi deve condurla in porto, almeno in prima lettura, per poter dettare poi condizioni quando il suo potere contrattuale sarà ancora più consolidato. Condizioni che riguarderanno, come si è visto, il suo status di "interdetto", ma anche la tenuta e il futuro delle aziende, dell'impero economico-finanziario.

Ecco perché, quando ieri mattina si sono fatti sentire ad Arcore Denis Verdini e il capogruppo Paolo Romani, entrambi piuttosto preoccupati per le voci di un ripensamento del capo sul percorso delle riforme, hanno ricevuto la risposta che si aspettavano e che speravano. "Nessuna marcia indietro, e fatelo sapere a tutti, non faremo alcuna retromarcia sul patto del Nazareno". Minzolini, la Bonfrisco e gli altri senatori sono avvertiti. E nella strategia imposta a suon di minacce ("Ai probiviri chi si oppone"), potrebbe fare le spese alla ripresa di settembre anche il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, non certo uno dei più convinti sostenitori delle riforme.