Alla Merkel si è sgonfiato (il PIL)
di Guido Iodice - 16/01/2014 - La crescita tedesca rallenta vistosamente, trascinata al ribasso dalla carenza di investimenti e dalla stagnazione dell'export. Ma Berlino non arretra sulla strategia mercantilista
Il prodotto interno lordo della Germania è cresciuto di un modesto 0,4% nel 2013, secondo i dati forniti dall’istituto di statistica tedesco, che edulcora la pillola parlando di “crescita moderata”. Ma sarebbe meglio chiamarla stagnazione. Già nel 2012 il rallentamento della crescita fu vistoso, passando dal +3,3% del 2011 al modesto +0,7% del 2012. Nell’anno appena passato è andata peggio, complice la crisi dell’Europa meridionale e il ristagno dell’economia globale, come ha dovuto riconoscere lo stesso Ufficio Statistico Federale Destatis.
POCHI CONSUMI E INVESTIMENTI - A trainare, si fa per dire, la crescita di Berlino sono stati i consumi interni e l’aumento della spesa pubblica (rispettivamente +0,9% e +1,1% rispetto al 2012) . Ma se guardiamo ai dati degli anni precedenti si conferma il quadro di stagnazione: è dal 2011 che i consumi tedeschi rimangono, quasi, al palo. Che la fase non sia delle migliori, poi, lo confermano i dati sugli investimenti in capitale fisso, mediamente calati dello 0,8%. Tra questi la contrazione più vistosa è stata quella per macchinari e attrezzature pari al -2,2%.
FRENANO LE ESPORTAZIONI - Insomma, anche se messa decisamente meglio del resto dell’eurozona, la locomotiva tedesca si sta prendendo una pausa da due anni, nonostante i bassissimi tassi di interesse. La situazione stagnante risente, come si diceva, dello stato dell’economia europea e mondiale. Per un paese esportatore come la Germania, infatti, non è d’aiuto essere circondata da economie in recessione. Le esportazioni nel 2013 sono cresciute appena dello 0,6% contro il pur non brillantissimo 3,2% dell’anno precedente. Sono lontanissimi i ricordi del +15% del 2010 o dell’ottimo +8% nel 2011. Va detto tuttavia che in questi anni di crisi i tedeschi hanno dimostrato tutta la loro capacità di penetrare i mercati extra-UE, sostituendo in questo modo il calo di domanda proveniente dall’Europa, nonostante le svalutazioni delle altre valute e il rallentamento delle economie emergenti. Alla stagnazione nell’export si accompagna poi un leggero incremento delle importazioni (+1,3%) che, per la prima volta dalla crisi, crescono più delle esportazioni. Si tratta tuttavia di pochi decimali che non incidono sostanzialmente sull’enorme surplus commerciale tedesco.
MA IL MERCANTILISMO CONTINUA – Tanto di cappello, insomma, ma se guardiamo alle performance di altre aree del mondo la Germania non può dirsi certamente la prima della classe. Il mercantilismo tedesco sembra così aver raggiunto un tetto, ostacolato dalla contrazione della domanda estera. Dopo aver vissuto sui consumi altrui, ai tedeschi ora tocca puntare su un riequilibrio basato sulla domanda interna. Qualche segnale in questo senso c’è, come l’incremento delle paghe dei mini-jobs e la previsione di un minimo salariale di 8,50 euro all’ora, contenuta nell’accordo di governo tra la CDU di Angela Merkel e i socialdemocratici di Sigmar Gabriel. Si tratta tuttavia di interventi piuttosto modesti e incapaci di riequilibrare, con la dovuta rapidità, gli squilibri all’interno dell’area euro. Basti pensare ad esempio che lo SMIC, il salario minimo francese, sarà per quest’anno pari a 9,53 euro. A ciò va aggiunto che l’aumento della domanda interna non è detto favorisca le importazioni dai paesi europei in crisi, anche a causa dell’euro relativamente forte rispetto alle altre valute (ed è proprio la Germania ad essere in prima fila contro la svalutazione della moneta unica). A beneficiare della piccola espansione tedesca, quindi, potrebbero essere primariamente i paesi emergenti. La Germania, insomma, ha rallentato la sua corsa, ma non ha abbandonato l’atteggiamento non-cooperativo all’interno dell’Unione europea. Le piccole concessioni serviranno bene come difesa di fronte alla Commissione UE, che ha recentemente messo i tedeschi sotto controllo per l’eccesso di surplus commerciale, ma non basteranno a stabilizzare l’eurozona, sulla cui riforma diventa sempre più velleitario scommettere.
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