Le inchieste del Fatto non portano a nulla. E Travaglio la butta in caciara
Travaglio riscrive le leggi sul conflitto d’interessi: basta avere un figlio al governo per essere colpevoli
L’editoriale odierno di Marco Travaglio merita un’attenta riflessione, perché introduce nella cultura giuridica e nel dibattito politico del nostro Paese un’argomentazione inedita che il brillante direttore del Fatto così sintetizza: “E’ vero, le colpe dei padri non ricadono sui figli e le figlie, ma qui il rapporto è rovesciato: nulla farebbero i padri senza i figli”. “Rovesciare”, nella nostra lingua, significa un’altra cosa: in questo caso, che le colpe dei figli ricadono sui padri. Ma si tratta soltanto di un dettaglio formale, e a noi interessa la sostanza.
E la sostanza del ragionamento di Travaglio è questa: tutto ciò che Pier Luigi Boschi e Tiziano Renzi hanno fatto, fanno e faranno dipende esclusivamente dalla circostanza di essere i genitori del ministro delle Riforme e del presidente del Consiglio. Vediamo un po’: “Boschi fu promosso vicepresidente di Etruria subito dopo che sua figlia era diventata ministro. Difficile che il Cda della sgangherata banca aretina abbia voluto premiare le capacità di Boschi (l’avrebbe fatto prima): semmai sperava di lucrare vantaggi dalla sua parentela”.
Sì, avete letto bene: dopo l’entrata della figlia nel governo, il padre avrebbe dovuto rititrarsi a vita privata, andare in pensione, emigrare all’estero o buttarsi nell’Arno. Ogni altra opzione è infatti segnata dal sospetto, dall’illazione, dall’insinuazione. Per suffragare la propria tesi – una tesi che, se dimostrata vera, dovrebbe portare ad una nuova legge sul conflitto d’interessi che prescrive ai ministri della Repubblica di essere orfani – Travaglio cita una dichiarazione di Fabio Arpe, il candidato mai nominato alla direzione generale di Banca Etruria: “Boschi era il papà di un ministro, non si dice di no a cuor leggero ad un incontro simile”. Ecco la prova, ecco la pistola fumante, s’infervora il direttore del Fatto: “E’ la frase chiave del pasticciaccio – scrive – al di là dell’altalena di dichiarazioni e minimizzazioni dei protagonisti, che giocano ciascuno la propria partita”.
E qui si giunge finalmente al punto: le “dichiarazioni e minimizzazioni dei protagonisti” sono state raccolte, manipolate, pubblicate e titolate per giorni e giorni da Travaglio (con l’aiuto disinteressato di Belpietro), salvo ammettere oggi che non valgono nulla, perché “ciascuno gioca la propria partita” e dunque – come ammette a pagina 4 Davide Vecchi – è “impossibile a oggi ricostruire con certezza quali siano i rapporti reali e quelli millantati o presunti”.
Tutto chiaro, insomma: la grande inchiesta del Fatto, per ammissione degli stessi promotori, non ha portato a nulla, ma proprio a nulla. E allora buttiamola in caciara, si son detti in redazione: per entrare nella macchinetta del fango è sufficiente avere un figlio al governo.
Nessun commento:
Posta un commento