lunedì 18 gennaio 2016

Il Direttorio fibrilla, l’intesa dei tre big non tiene

M5S
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I senatori molto critici: Morra e Taverna nel vertice ristretto?
Hanno fatto tutto loro, ed è su di loro che pesa la croce. I “tre tenori”, i capi dei capi, o “i tra ragazzi”, come li chiama qualche loro compagno di partito: insomma, Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio e Roberto Fico (in ordine alfabetico, si dovesse risentire qualcuno).
Il problema del M5S è diventato il Direttorio. Perché i capi del Direttorio, giacché Carlo Sibilia e Carla Ruocco pesano molto di meno, e meno che mai nell’affare-Quarto, non si ritrovano più. Litigano abbastanza. Prima si erano divisi Di Maio e Fico – come ha detto tempo fa in una conversazione intercettata Rosa Capuozzo, il primo “è più duro” -, poi hanno trovato la quadra anche grazie ad una specie di “mediazione” di Di Battista: via la Capuozzo e andiamo in tv e sul web. Sperando di sfangarla. E invece.
Invece i media martellano. Loro si innervosiscono (guardate oggi che ha combinato il focoso Giarrusso) e sembra non si capiscano più come un tempo, anche perché Di Battista è seccato con gli altri due  e non sanno bene come uscirne. L’unica consolazione è che Gianroberto Casaleggio ha commissionato un sondaggio che viene valutato meglio del previsto: la caduta non c’è. Malgrado tutti gli istituti segnalino un calo fra l’ e il 2%.Che non è pochissimo, per un partito dato in crescita costante.
Il problema – e non è la prima volta – sono i parlamentari del Movimento. I senatori, in particolare. C’è stata una riunione stamane – dicono – con molta tensione e qualche decibel di troppo. Il tema sul tavolo è quello dell’allargamento del Direttorio a nuovi senatori (Nicola Morra è il nome più gettonato ma c’è anche Paola Taverna), oppure al posto di Sibilia e Ruocco. Oppure ancora si potrebbe pensare ad un mega-Direttorio, ma forse è troppo simile alle Direzioni dei partiti “normali” per poter essere praticato dai “nuovi” apritori di scatolette di tonno.
I big non sembra siano timorosi degli sviluppi dell’inchiesta di Woodcock (“Non hanno mai portato a niente”, si sussurra), un magistrato di cui qualcuno ricorda la vicinanza con un certo Luigi de Magistris, il quale potrebbe essere tutt’altro che disperato per la tegola “quartese” piovuta sui pentastellati alla vigilia della corsa per la poltrona di sindaco di Napoli.
E insomma, alla fin della fiera, la speranza che alberga nei cuori dei “tre tenori” è che le acque si calmino, che tutto rientri, sopire-troncare, vecchia e eterna logica dei politici quando si trovano nelle peste. Però è obiettivamente difficile pronosticare che la presa interna e esterna (il Pd) su Di Maio e Fico – peraltro figure istituzionali – possa cessare, così, per fargli un favore. Se Grillo si chiama fuori e Casaleggio invita alla calma, fra Montecitorio e palazzo Madama la discussione è destinata al contrario ad accendersi. E i militanti? Il sacro blog? Niente: ora è il momento della più tradizionale battaglia politica interna.

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