Il Papa: “Non dimenticare mai la deportazione degli ebrei romani e la Shoah”
Papa Francesco in visita alla Sinagoga di Roma ricorda, come aveva fatto Papa Wojtyla, che gli ebrei sono i nostri fratelli maggiori
Il ricordo, “col cuore”, della deportazione di oltre mille ebrei romani e della razzia messa in atto dai nazisti il 16 ottobre del 1943, un evento che non dovrà mai essere dimenticato, e ancora i legame inscindibile, pure sotto il profilo teologico, fra cristianesimo ed ebraismo, l’impegno comune a promuovere il Dio della vita, quindi il richiamo a un lavoro comune per la pace; sono stati questi alcuni dei passaggi più rilevanti del discorso pronunciato da papa Francesco nella sinagoga di Roma davanti alla comunità ebraica della capitale. Quando poi Bergoglio ha rivolto un saluto particolare ai reduci delle deportazioni, l’intera platea di persone riunite nella sinagoga di Roma si è alzata in piedi per un lungo applauso.
Di Segni, religioni collaborino per il bene di tutti
Francesco è stato il terzo pontefice, dopo Giovanni Paolo II (1986) e Benedetto XVI (2010), ad attraversare il Tevere per andare a incontrare nel Tempio maggiore una delle comunità ebraiche più antiche del mondo. “Francesco ha stabilito una consuetudine” confermando, con la sua visita di oggi, l’apertura al dialogo e alla riconciliazione affermati da Giovanni Paolo II e Ratzinger, ha detto il rabbino capo Di Segni nel suo discorso. Di Segni ha anche spiegato che, pur all’interno di differenze religiose che rimangono tali e vanno rispettate, è necessario che queste ultime vengano messe al servizio della collettività contro ogni attentato di matrice religiosa e in difesa delle vittime, ma anche oltre, per collaborare e lavorare nel quotidiano, nella società, a favore di tutti. In tal senso, secondo Di Segni, la teologia non è oggetto del dialogo fra le religioni che tuttavia queste possono e devono collaborare per il bene comune. Va osservato che il papa considera invece il dialogo teologico un aspetto importante delle relazioni fra le due grandi religioni.
Francesco è stato il terzo pontefice, dopo Giovanni Paolo II (1986) e Benedetto XVI (2010), ad attraversare il Tevere per andare a incontrare nel Tempio maggiore una delle comunità ebraiche più antiche del mondo. “Francesco ha stabilito una consuetudine” confermando, con la sua visita di oggi, l’apertura al dialogo e alla riconciliazione affermati da Giovanni Paolo II e Ratzinger, ha detto il rabbino capo Di Segni nel suo discorso. Di Segni ha anche spiegato che, pur all’interno di differenze religiose che rimangono tali e vanno rispettate, è necessario che queste ultime vengano messe al servizio della collettività contro ogni attentato di matrice religiosa e in difesa delle vittime, ma anche oltre, per collaborare e lavorare nel quotidiano, nella società, a favore di tutti. In tal senso, secondo Di Segni, la teologia non è oggetto del dialogo fra le religioni che tuttavia queste possono e devono collaborare per il bene comune. Va osservato che il papa considera invece il dialogo teologico un aspetto importante delle relazioni fra le due grandi religioni.
Bergoglio, in occasione della sua visita al ghetto di Roma nel pomeriggio di domenica, è stato accolto a Largo XVI ottobre al Presidente della Comunità ebraica romana, Ruth Dureghello, dal presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei), Renzo Gattegna, e dal Presidente della Fondazione museo della Shoah, Mario Venezia. Il Papa ha quindi deposto dei fiori sulla lapide che ricorda la deportazione degli ebrei romani nel 1943 dove ha pure brevemente ha pregato, poi si è soffermato davanti all’effige in ricordo di Stefano Gai Taché, il bambino ucciso nell’attentato terroristico del 1982. Infine ha raggiunto la sinagoga della capitale, dove ha incontrato il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e ha ricevuto l’abbraccio e il saluto della comunità ebraica della capitale.
Non dimenticare mai il 16 ottobre 1943Di certo fra le cose dette dal papa, quelle in riferimento alla deportazione di Roma hanno un particolare significato, anche perché a lungo si è discusso fra gli storici sulle reazioni e la capacità d’intervento che ebbero, di fronte a fatti gravissimi, allora la Santa Sede, gli Alleati, la stessa Resistenza. “Il popolo ebraico, nella sua storia – ha detto Francesco – ha dovuto sperimentare la violenza e la persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah”. “Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico – ha scandito il papa – sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un’ideologia che voleva sostituire l’uomo a Dio. Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz”. “Oggi – ha proseguito Bergoglio – desidero ricordarli in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro”. “La Shoah – ha aggiunto – ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace”. Quindi ha voluto esprimere un saluto speciale ai reduci dei deportati, “testimoni ancora viventi”.
Un legame inscindibile
Il Papa ha ripetuto la definizione di Wojtyla che chiamò gli ebrei “fratelli maggiori”, allo stesso tempo il vescovo di Roma ha ricordato i 50 anni dalla firma della dichiarazione conciliare “Nostra aetate”, con la quale la Chiesa metteva al bando l’antisemitismo, apriva al dialogo con l’ebraismo e le altre fedi, e poneva in relazione la Chiesa con la tradizione ebraica dal punto di vista teologico. Nel dicembre scorso il Vaticano ha pubblicato un nuovo documento in occasione appunto dei 50 anni di “Nostra aetate” – citato dal papa – nel quale si riaffermava e precisava l’inscindibilità del legame fra il cristianesimo e l’ebraismo. “Proprio da un punto di vista teologico – ha affermato Bergoglio – appare chiaramente l’inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei. I cristiani, per comprendere sé stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele”.
Il Papa ha ripetuto la definizione di Wojtyla che chiamò gli ebrei “fratelli maggiori”, allo stesso tempo il vescovo di Roma ha ricordato i 50 anni dalla firma della dichiarazione conciliare “Nostra aetate”, con la quale la Chiesa metteva al bando l’antisemitismo, apriva al dialogo con l’ebraismo e le altre fedi, e poneva in relazione la Chiesa con la tradizione ebraica dal punto di vista teologico. Nel dicembre scorso il Vaticano ha pubblicato un nuovo documento in occasione appunto dei 50 anni di “Nostra aetate” – citato dal papa – nel quale si riaffermava e precisava l’inscindibilità del legame fra il cristianesimo e l’ebraismo. “Proprio da un punto di vista teologico – ha affermato Bergoglio – appare chiaramente l’inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei. I cristiani, per comprendere sé stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele”.
La violenza incompatibile con le tre fedi monoteistiche
Ma Francesco ha pure sottolineato come “insieme con le questioni teologiche, non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di una ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato”. “Conflitti, guerre, violenze ed ingiustizie – ha aggiunto – aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia. La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio”.
Ma Francesco ha pure sottolineato come “insieme con le questioni teologiche, non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di una ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato”. “Conflitti, guerre, violenze ed ingiustizie – ha aggiunto – aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia. La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio”.
“Ogni persona – ha affermato papa Francesco – va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi”. Quindi ha osservato: “là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita”. “Noi – ha detto ancora – dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita”.
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