venerdì 2 ottobre 2015

Bello fare i rivoluzionari così.

Vendola e i baby pensionati della politica

Il leader di Sel prende 5 mila euro. A soli 57 anni. Proprio lui che tolse i vitalizi. Idem Diliberto, Di Pietro e Pecoraro Scanio. Un fardello da 9 miliardi l'anno.

02 Ottobre 2015
Dopo anni di lotte alla Camera e alla presidenza della Regione Puglia, il compagno Nichi Vendola è arrivato finalmente alla pensione.
Peccato che il leader di Sinistra ecologia e Libertà abbia solo 57 anni. Ma gliene sono bastati 10 da governatore pugliese (contro i 35 dei normali lavoratori) per ricevere 5.618 euro lordi al mese. Proprio lui, che aveva fatto dell'abolizione dei vitalizi uno dei suoi cavalli di battaglia.
GRILLO ALL'ATTACCO SU TWITTER. «Avrebbe dovuto averli tra tre anni, ma fortunatamente grazie a una legge regionale gli è stato possibile cominciare ad incassare subito», si legge sul blog di Beppe Grillo, che ha ricordato come Vendola abbia percepito anche un assegno di fine mandato di 198 mila euro. Il leader M5s ha anche ritwittato un messaggio omofobo, poi cancellato.
L'hashtag #BabyVendola è subito diventato trending topic su Twitter, con gli utenti scatenati contro i privilegi della Casta.
STOP AL VITALIZIO, MA SOLO DAL 2013. Nel novembre 2012, l’allora governatore pugliese (alla guida della Regione dal 2005 al 2015), era riuscito a far abrogare il vitalizio grazie alla legge 34 approvata dal Consiglio regionale: neanche un euro e nemmeno l'assegno di fine mandato per i politici locali. Ma la nuova regola vale da gennaio 2013, quindi chi è stato eletto nel 2005 e nel 2010 può portarsi a casa il tesoretto accumulato fino al 2013.
È il caso di Vendola, che per i primi otto anni di presidenza alla Regione Puglia (2005-2013) guadagna 5 mila 618 euro e 73 centesimi lordi.
ANTICIPO GRAZIE A UNA LEGGE REGIONALE. Il 57enne leader di Sel avrebbe dovuto cominciare a beneficiarne a 60 anni, ma una legge pugliese del 2003 prevede che «per ogni anno di contribuzione oltre il quinto, l’età richiesta venga diminuita di un anno, con il limite di 55 anni».
Tutto perfettamente legale, sia chiaro, ma forse Vendola avrebbe potuto rifiutare il vitalizio in nome della sua lunga battaglia contro i privilegi della Casta.
LA REPLICA DI VENDOLA. L'ex governatore pugliese ha poi replicato alle accuse su Facebook: «Se fossi ricco come Beppe Grillo volentieri rinuncerei al vitalizio», ha scritto. «Sono stato eletto deputato in cinque legislature e presidente di Regione per due legislature e tutti sanno che non mi sono arricchito e che non ho rubato».
 
Se fossi ricco come Beppe Grillo volentieri rinuncerei al vitalizio. Sono stato eletto deputato in cinque legislature e...
Posted by Nichi Vendola on Venerdì 2 ottobre 2015

GLI ALTRI BABY PENSIONATI DELLA POLITICA. Vendola, comunque, non è l'unico baby pensionato illustre della politica italiana.
Per esempio Oliviero Diliberto, ex segretario dei Comunisti italiani ed ex ministro della Giustizia, da quando ha 55 anni riceve una pensione di 5.305 euro netti al mese.
Il leader dell'Italia dei valori Antonio Di Pietro, invece, è andato in pensione da magistrato a 44 anni e incassa 2.644 euro lordi al mese.
Alfonso Pecoraro Scanio, ex leader dei Verdi ed ex ministro dell'Ambiente, da quando ha 49 anni riscuote un vitalizio di 5.802 euro netti al mese.
Tra i politici baby pensionati c’è anche Leoluca Orlando, sindaco di Palermo ed ex coordinatore nazionale dell'Idv, in pensione da soli 42 anni.
UN FARDELLO DA 9 MILIARDI L'ANNO. Più in generale, il nostro sistema previdenziale deve sostenere un esborso di 9,45 miliardi l’anno per retribuire oltre mezzo milione di (ex) giovani pensionati.
Non bisogna dimenticare che dopo il 1973, anno del decreto 1092 varato dal governo democristiano di Mariano Rumor, riuscirono ad andare in pensione molti lavoratori e lavoratrici con pochi anni di contributi.
All’epoca bastavano alle impiegate pubbliche con figli appena 14 anni, sei mesi e un giorno per andare in pensione. E tutti i dipendenti statali potevano andare in pensione dopo 19 anni, sei mesi e un giorno. I dipendenti degli enti locali, invece, potevano ritirarsi con 25 anni di contributi.
Un privilegio durato quasi 20 anni (fu abolito da Giuliano Amato nel 1992) ma che paghiamo ancora oggi.

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