martedì 29 settembre 2015

Perché questi sono i veri problemi italiani. Si danno nelle mani di incapaci e incompetenti aziende del valore inestimabile. Come ritornano adesso i soldi che Cimoli ha fatto perdere all'Italia.

Alitalia affossata da megalomani e raccomandati

ROMA – Giuseppe Turani ha pubblicato questo articolo anche su “Uomini & Business” con il titolo “Boiardi e raccomandati”.
Se c’è stata un’azienda disgraziata nel nostro paese, questa è l’Alitalia. Da sempre. Forse qualche volta ha fatto anche degli utili, ma non se ne ricorda più nessuno. Nel corso della mia attività avrò incontrato almeno una decina di presidenti dell’Alitalia. Cambiavano i ristoranti, ma il tema era sempre lo stesso, nei decenni: la compagnia è in crisi, che cosa possiamo fare per rimetterla in sesto? Ognuno, ovviamente, aveva un piano preciso, in apparenza diverso dai precedenti.
In realtà erano tutti uguali: allarghiamo, nuove rotte, New York, la Cina, San Francisco, Los Angeles, e via di questo passo. Parevano non rendersi  conto che avevano fra le mani una piccola avventura non chissà che cosa.
Così la storia dell’Alitalia è andata sempre peggiorando.C’è stato un momento in cui sembrava vicino un accordo con Air France, ma subito sono esplosi gli appelli nazionalistici (con il terribile personale Alitalia in prima fila): non si può rinunciare a una compagnia tricolore. Naturalmente, ai dipendenti della patria importava pochissimo. Quello che interessava era non avere troppi cambiamenti in Alitalia. Fin quando era pubblica, si poteva fare un po’ quello che si voleva. Chiedere aumenti, scioperare un giorno sì e l’altro pure.
A mandare a picco l’Alitalia hanno certamente contribuito una serie di manager megalomani. Ma non si può sorvolare sul fatto che  anche i dipendenti hanno dato una mano. La loro arroganza è diventata negli anni proverbiale. Scioperi improvvisi, molte volte per cause futili, trattamento dei passeggeri al limite dell’offesa continua. E c’è una ragione per questi comportamenti assurdi: si sono sempre sentiti al di sopra di ogni regola.
E per una ragione precisa. A Roma l’Alitalia, insieme alla Rai, è sempre stata un’azienda di raccomandati, cioè di parenti o amici di questo o di quello. Inoltre c’era un senso di intoccabilità: chi avrebbe mai osato disturbare l’Alitalia? Era o n0 la compagnia di bandiera? Alla fine lo Stato sarebbe comunque intervenuto e avrebbe sistemato ogni cosa. Come infatti è sempre successo. Aumenti di stipendio o orari di lavoro: in ogni vertenza hanno sempre vinto i dipendenti. Tanto, a pagare erano i soldi pubblici.
E infatti si è visto la rabbia del personale (dalle hostess ai piloti) quando è apparso chiaro che lo Stato non poteva più pagare tutte quelle follie. Sit-in, conferenze stampa in tv, minacce. Ma il loro capolavoro è stato certamente l’affondamento dell’intesa con Air France.
La trattativa con Air France, avviata dal buon Prodi, fu spedita in soffitta grazie proprio alla durissima opposizione dei dipendenti e alla fine Berlusconi tirò fuori il suo coniglietto: i “capitani coraggiosi”. Loro avrebbero salvato l’Alitalia, mantenuto alto il tricolore e l’orgoglio italiano, difeso l’occupazione. Naturalmente, a conti fatti, sono solo stati spesi altri miliardi pubblici, ma non è servito a niente: l’Alitalia è stata venduta agli emiri. Una parte dei dipendenti è finita in cassa integrazione, ma con trattamenti impensabili per altri lavoratori. Privilegiati fino alla fine.
Nel frattempo, però, c’è stato un vorticoso giro di presidenti e manager. E questi hanno capito tutto subito. Hanno capito che l’Alitalia era una battaglia persa: in compenso poteva rendere un sacco di soldi (a loro). Si potevano acquistare altre piccole compagnie a prezzi folli e, sembra, si poteva fare anche un po’ di insider trading. Tutti giochi troppo scoperti.
Indagini, tribunale e, finalmente, condanne. Per la prima volta, si è detto, i boiardi di Stato pagano. Errore: molti anni fa venne chiuso d’autorità l’Egam (ente gestione miniere) e il suo presidente spedito in galera.  Però, in effetti, la cosa non si è mai più ripetuta. E invece ci sarebbe stato bisogno.
(Dal “Quotidiano nazionale” del 29 settembre 2015
Ricordo di un amico per bene
Fra tutti i presidenti ne ricordo uno solo che aveva capito come stavano le cose e me lo spiegò benissimo una sera nel suo ufficio, con pochissime parole. Era Carlo Verri, che veniva dall’industria privata: “Non c’è niente da fare. Questa azienda perde soldi e continuerà a perderne. Non esiste alcuna possibile ristrutturazione. Tutte le cose nuove che si vanno pensando alla fine produrranno nuove perdite”.
Chiudiamo tutto e andiamo a casa? “No. La verità è che l’Italia non può reggere una compagnia aerea da sola. L’unica strada possibile è quella di mettere in piedi un consorzio europeo, visto che anche gli altri hanno i nostri stessi problemi”.
Vuole far sparire l’Alitalia? “Ma no. La gente è affezionata alle proprie compagnie di bandiera, allora lasciamole. Ma “dietro” (acquisto di aerei, personale, addestramento, manutenzione, ecc.) facciamo tutto in società con gli altri”.
Carlo Verri, ripeto, è l’unico in tanti anni che mi abbia fatto sull’Alitalia un discorso serio, realistico. Era disposto a “perdere sovranità”. E stava anche lavorando per fare questo famoso consorzio. Purtroppo, una sera, mentre era in macchina al telefono, è stato coinvolto in un tremendo incidente stradale e è morto poco dopo in ospedale. Eravamo nel novembre del 1989.
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