lunedì 28 settembre 2015

Poveri gufi leghisti e grillini.

Ultimo mese di apertura, e adesso tutti vogliono conoscere Expo Milano 

Code di 2 ore e mezza per visitare il padiglione del Giappone. Selfie per dimostrare di aver partecipato al pellegrinaggio laico
Giorno e notte. A sinistra la lunga coda per entrare a Expo Milano, a destra l’Albero della vita che ogni sera propone eventi e spettacoli

newsletter
27/09/2015
MILANO
Riassume una signora in fila ai tornelli: «Questa Expo è da vedere, lo dicono tutti. Moltissimi che hanno rimandato la visita ci andranno verso la chiusura, quindi meglio venire adesso». In effetti manca poco più di un mese al gran finale, Expo è ora o mai più, non si muore di caldo: il ragionamento fila. Infatti la pensano così alcune centinaia di migliaia di persone. E’ venerdì, sono le 16, quindi non è ancora week-end e nemmeno l’orario di massimo affollamento: eppure il Decumano sembra la metropolitana di Pechino all’ora di punta (anche perché è pieno di cinesi). Davanti al padiglione del Giappone un cartello bilingue avvisa che il tempo «stimato» di attesa è di due ore e mezza; la coda per quello del Kazakhstan è un serpentone che lo avvolge quasi interamente; la fila per entrare al Palazzo Italia inizia all’angolo con il Decumano ed è lunga quindi come mezzo Cardo. D’accordo, sono le attrazioni più gettonate perché più rilanciate dal passaparola, e per fortuna i kazaki hanno rinunciato a infliggere alla gente in attesa e in generale a chi passa di lì l’ascolto «full time» delle loro canzoni, che sono un po’ come i discorsi di Renzi, sentito uno sentiti tutti. Però ci si mette in coda anche per entrare nel padiglione della Santa Sede che dentro, a parte un quadro e qualche santa parola sui muri, è iperfrancescano: non c’è nulla. 

Che folla, che calca, che ressa. Il minimo spettacolino causa assembramenti spaventosi: i tre impavidi buskers cileni che fanno il loro numero non hanno mai avuto né mai più avranno tanto pubblico. Un balletto di studenti di una scuola del Land Nord Reno-Vestfalia non è proprio quel che tutti non vedono l’ora di vedere. Eppure al padiglione della Germania, che va anche lui a tutto gas (ops...), si fa fatica a trovare un posto a sedere. Questo di potersi sedere un attimo (Expo è faticosissima: alla fine si macinano chilometri su chilometri, e si resta sempre in piedi) è il vero grande problema. Ogni possibile strapuntino è preso d’assalto, con gente spiaggiata sulle panchine, stravaccata sui divanetti della birra Moretti, spaparanzata sulle sdraio della piscina ceca. In attesa dei dati definitivi, ormai è chiaro: quanto a visitatori, Expo andrà un po’ peggio di quanto atteso prima che iniziasse ma molto meglio di quanto temuto. 

Del resto, con i 40 gradi di agosto si squagliavano dal sudore anche le statue arcimboldesche di Dante Ferretti; questo splendido settembre aiuta. Le comitive sono agli estremi anagrafici: o anziani instancabili, agguerritissimi, organizzatissimi e anche abbastanza prepotenti, sempre sospettosi che qualcuno passi loro davanti, o scolaresche tutte con il loro cappellino colorato. E poi stranieri in short e infradito, italiani con l’impermeabile «perché non si sa mai», notabili incravattati per qualche convegno, coppiette abbracciate, giornalisti alla disperata ricerca di colore e Raffaella Carrà benedicente («Questa Expo è un fiore che è sbocciato») in compagnia di Sergio Japino. Per inciso, tutto è miracolosamente pulitissimo. Nonostante la folla, non c’è una cartaccia per terra, quindi qualche sindaco delle nostre luride città potrebbe imparare qualcosa. L’ossessione è il passaporto: lo compri (cinque euro) e devi fartelo timbrare nei padiglioni di più Paesi possibili, come si fa durante il cammino di Santiago de Compostela. E forse andare a Expo è una forma laica e globalizzata di pellegrinaggio, dove l’importante non è tanto la meta (un padiglione vale l’altro, alla fine) ma il viaggio in sé, esserci, poter dire di esserci stati, e selfarsi per dimostrarlo. 

E poi, rivista a distanza di qualche settimana, l’impressione è che Expo abbia trovato la sua velocità di crociera, sia davvero al meglio adesso. Si è animata perfino la stanza della Corea del Nord, misteriosamente collocato nel cluster Isole e all’inizio più vuoto di un negozio, appunto, nordcoreano. Adesso si vende ginseng in tutte le salse, radice di ginseng, balsamo al ginseng, shampoo al ginseng, profumo al ginseng e perfino farina di ginseng, ottima, assicurano alcuni ritagli di giornale, per fare la pizza. Però la vera chicca è l’album filatelico con i francobolli dedicati al «grande leader» Kim Il Sung, nonno dell’attuale «caro leader» Kim Jong-un. Uno proprio vorrebbe averlo, ma costa 50 euro, quindi alla fine il caro leader risulta troppo caro. E poi i cechi hanno finalmente capito che bisognava piazzare qualche sedia intorno ai tavolini della loro fantastica birreria, 6 euro per mezzo litro di Pilsner squisitissima. I polacchi hanno iniziato a fare concorrenza ai cechi proponendo la loro birra a 5 euro, con contorno di tre concerti chopiniani, alle 14, alle 16 e alle 18. Davanti al padiglione del Nepal, la bandiera non è più a mezz’asta, ma in compenso la grande arca trasparente per le offerte per aiutarli a ricostruire è sempre piena di monete. Expo non è ancora finita, ma ci manca già. 

Nessun commento:

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...