sabato 2 maggio 2015

Una cosa é certa: non é possibile che una persona vada ad una manifestazione pubblica vestita così. Credo che occorra introdurre norme che consentano alla polizia in borghese di arrestare immediatamente una persona che si presenta ad una manifestazione vestita in questo modo. Ė palese, infatti, la volontà di delinquere.

ITALIA

Milano, i riot che asfaltano il movimento

MayDay 2015. Trentamila persone in corteo e la città a ferro e fuoco. Il blocco nero prende la piazza, la polizia reagisce con intelligenza ed evita il contatto. Per i No Expo l'esposizione universale è cominciata nel peggiore dei modi
Milano, May Day 1 maggio 2015 
Le fiamme si sono appena spente, c’è ancora tanto fumo per le strade di Milano. A freddo, una volta dato sfogo al pre­ve­di­bile sde­gno, qual­cuno dovrà pur avere il corag­gio di ammet­tere una cosa piut­to­sto sem­plice, che ovvia­mente non nasconde il pro­blema, anzi, ne pone più di uno: è andata esat­ta­mente come doveva andare. Lo sape­vano tutti, era pre­vi­sto da mesi. Non è stata una festa la May­Day 2015 e forse il peg­gio deve ancora acca­dere. In que­sto momento ci sta pure la reto­rica della “Milano ferita”, però sarebbe più utile cer­care di abboz­zare qual­che ragionamento.
I fatti sono noti, è stata la mani­fe­sta­zione più spiata e foto­gra­fata degli ultimi anni. Una parte del cen­tro sto­rico di Milano, quella intorno a piaz­zale Cadorna — era pre­vi­sto anche quello — è stata attac­cata con una furia che non si era mai vista. Auto­mo­bili date alla fiamme, fine­strini man­dati in fran­tumi con una rab­bia dispe­rata al limite dell’autolesionismo, lanci di bot­ti­glie con­tro la poli­zia, vetrine infrante, accenni di bar­ri­cate, negozi sfa­sciati. Silen­zio assor­dante, rumori di cose che si spac­cano, nuvole di lacri­mo­geni e adre­na­lina che sale quando poli­ziotti e cara­bi­nieri si inner­vo­si­scono e sem­brano dav­vero inten­zio­nati a fare sul serio.
La con­fu­sione è tanta, ci sono stati fermi ma non è chiaro quanti, si dice una decina di ragazzi. Ci sareb­bero undici feriti tra gli agenti.
Lo spet­ta­colo è deso­lante, sem­brano imma­gini di un film girato in un altro paese, e ne sono stati già fatti di ragio­na­menti sulla rab­bia cieca di chi si limita a spac­care tutto per cer­care di resi­stere in qual­che modo in un con­te­sto dove è facile sen­tirsi tagliati fuori. A vent’anni soprattutto.
Sono delin­quenti? Può darsi, poi si sfi­lano l’impermeabile col cap­puc­cio — per terra ce ne sono decine — e hanno facce da ragaz­zini qua­lun­que. Sono vio­lenti? Sicu­ra­mente, vio­lenti che si acca­ni­scono sulle cose e non sulle per­sone. Lo scon­tro con la poli­zia è solo mimato, vir­tuale come un video­gioco: viste le forze in campo gli incap­puc­ciati non potreb­bero nep­pure pen­sare di avvi­ci­narsi. La loro vio­lenza è anche stu­pida e vigliacca. Un’auto inu­til­mente spac­cata, mica tutte Fer­rari, signi­fica una per­sona col­pita alle spalle e con l’aggravante della casua­lità. Anche i “black bloc” hanno una mac­china par­cheg­giata da qual­che parte.
A pro­po­sito. Qual­che com­men­ta­tore poco razio­nale, non l’editorialista di Libero o de il Gior­nale, a caldo ha detto che la poli­zia ha lasciato fare e che dovrà rispon­dere della gestione della piazza.
Molto sem­pli­ce­mente, invece, la poli­zia ha agito con grande fred­dezza e intelligenza.
Non c’è stato alcun con­tatto con i mani­fe­stanti. Non si è fatto male nes­suno. Ci sono decine di auto­mo­bili sfa­sciate e pro­ba­bil­mente un conto salato da pagare per tutti quei gruppi orga­niz­zati che invece sono stati almeno capaci di “por­tare a casa” un cor­teo deter­mi­nato. Molto nume­rosi, almeno tren­ta­mila, a tratti anche felici di esserci. Per nulla spa­ven­tati, tan­to­meno sor­presi, per quello che stava acca­dendo nelle retrovie.
La poli­zia poteva evi­tare lo “sfre­gio alla città”? Forse sì, se il mini­stro degli Interni avesse deciso di rispol­ve­rare il metodo Genova e dare la cac­cia ai ragaz­zini che si sono masche­rati da blocco nero. Adesso che (forse) è tutto finito si può azzar­dare la domanda: sarebbe forse stato meglio se ci fosse scap­pato il morto? Anche quello era pre­vi­sto che non dovesse acca­dere, e meno male.
Ange­lino Alfano, almeno oggi, non si deve dimet­tere, le regole di ingag­gio erano que­ste, la poli­zia non voleva il con­tatto con il blocco nero.
A pro­po­sito. Ana­li­sti e die­tro­logi se ne fac­ciano una ragione. I cosid­detti “black bloc” non ven­gono da Marte, non si sono “infil­trati” nel cor­teo e non sono nem­meno al soldo della spec­tre. Ci sono, sono un pro­blema e biso­gnerà tenerne conto. Erano nel cor­teo, den­tro, nem­meno in fondo. Gli spez­zoni della mani­fe­sta­zione hanno dovuto gio­co­forza tol­le­rarli e cer­care di tute­lare il cor­teo da una rea­zione della poli­zia che a un certo punto sem­brava scontata.
La May­Day era con­tro il blocco nero? Que­sto movi­mento, que­sta piazza, che è pur sem­pre il mas­simo che oggi si possa espri­mere, non ne aveva la forza. Né mili­tare, né poli­tica. Que­sto è un limite.
Ecco per­ché que­sto primo mag­gio è “poli­ti­ca­mente” disastroso.
Un’altra nota, non mar­gi­nale. Quella di ieri, al netto di tutti i dispo­si­tivi di pro­te­zione che il cor­teo stesso ha messo in atto, era una piazza peri­co­losa. Eppure lì den­tro hanno tro­vato posto ragaz­zini e ragaz­zine smar­riti alla prima mani­fe­sta­zione, per­sone asso­lu­ta­mente non vio­lente, decine di bande musi­cali che hanno con­ti­nuato a suo­nare a festa. Si sono viste anche le solite vec­chie volpi con la coda tra le gambe che non par­lano più la stessa lin­gua delle piazze. Ma è come se incon­scia­mente ci si stesse abi­tuando a con­si­de­rare che ormai è nelle cose aspet­tarsi un con­flitto sem­pre più aspro e con accenti dispe­rati, senza obiet­tivi e tan­to­meno prospettive.
Banal­mente: que­sta stessa piazza, dieci anni fa, sareb­bero state due. I cat­tivi die­tro a pren­derle, gli altri davanti con le loro buone ragioni.
Gli “altri”, adesso, devono fare i conti con la realtà.
D’ora in poi, come gover­nare la piazza, ammesso che ci siano altre occa­sioni altret­tanto impor­tanti, diven­terà un pro­blema quasi insor­mon­ta­bile. Per­ché la gior­nata di ieri signi­fica che nes­suno a Milano, e anche altrove, ha più l’autorevolezza di poter deci­dere come si deve stare in un corteo.
Que­sto è un pro­blema poli­tico: a poste­riori, è chiaro che non si può accet­tare con leg­ge­rezza la con­vi­venza con chi ha come uno unico obiet­tivo quello di spac­care tutto e basta.
Quanto al futuro, pos­siamo dire che sull’opportunità di cedere fette di sovra­nità a chi non vive e non lotta in que­sta città (e che certo non ne pagherà le con­se­guenze) è bene aprire un dibat­tito una volta tanto sincero.
I ragazzi e le ragazze del “blocco nero” si sono sfi­lati le felpe e sono a casa che si godono lo spet­ta­colo dell’informazione main­stream, hanno vinto.
Qui a Milano, a lec­carsi le ferite, rimane un movi­mento che rischia di essere asfal­tato per i pros­simi anni a venire. La poli­zia, che oggi è sotto botta, potrebbe anche deci­dere che il limite è stato supe­rato. Que­sta mat­tina le “auto­rità” si guar­de­ranno negli occhi durante una seduta straor­di­na­ria del Comi­tato per l’ordine e la sicurezza.
E qui a Milano è già comin­ciata una cam­pa­gna elet­to­rale che, anche alla luce di quello che è suc­cesso, non pro­mette nulla di buono. L’Expo ha ancora sei mesi di vita, i No Expo hanno comin­ciato nel peg­giore dei modi.
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