Quanta confusione sul ”blocco navale” alla Libia
Da Matteo Salvini a Pierferdinando Casinifino a esponenti dell’NCD, in molti ieri – dopo quella che si sta delineando come la più grande tragedia nel Mediterraneo, con oltre 700 migranti morti – hanno parlato di mettere in atto un fantomatico “blocco navale” davanti alle coste libiche. Su Twitter l’hashtag #blocconavale ha impazzato per ore e i politici hanno fatto a gara nel rilanciare questa soluzione, senza distinzione tra maggioranza e opposizione.
Ma se a livello comunicativo farsi promotori davanti ai propri elettori di un “blocco navale” può risultare una mossa efficace, nei fatti si tratta di una colossale imprecisione e soprattutto di un qualcosa di difficile attuazione. Insomma: di una mezza sciocchezza.
Il blocco navale, infatti, è una vera e propria azione di guerra che l’Italia – o l’Europa – dovrebbe mettere in atto davanti alle coste libiche, ai danni di un Paese terzo. Un esempio: Israele istituì il blocco navale davanti al porto di Gaza (entità comunque non riconosciuta a livello internazionale) in occasione dell’operazione Piombo fuso, nel 2009. Prima ancora, sempre Israele lo attuò nel 2006 davanti al Libanoe sempre in un contesto di guerra. E ancora, possiamo ricordare il blocco dei porti del Biafra da parte della Nigeria (1967) o quello dei porti croati da parte della Repubblica federale di Jugoslavia (1991). L’unica giustificazione – in questo caso – potrebbe essere quella di arginare i rifornimenti all’Isis, con tutte le conseguenze politiche e di propaganda del caso.
C’è poi un’altra “controindicazione”: dal momento che il blocco navale si attuerebbe a diverse miglia dalla costa, cosa accadrebbe se una nave carica di migranti prendesse comunque il mare e venisse intercettata da uno dei pattugliatori chiamati a chiudere le vie verso l’Italia? Certo non li si potrebbe rimandare indietro dato che questo configurerebbe a tutti gli effetti un “respingimento“, circostanza per cui l’Italia è già stata bacchettata dall’Unione europea quando – ai tempi di Maroni – i barconi venivano intercettati a largo e rimandati in Libia. Le navi sarebbero quindi obbligate a dare soccorso ai migranti che – per le condizioni in cui normalmente vengono salvati – sono dei naufraghi.
La realtà è che per fermare gli sbarchi sarebbe necessario o un governo libico capace di controllare le coste o una forza esterna che pattugli a terra e prevenga le partenze. E in quest’ultimo caso il rischio di venire coinvolti negli scontri che stanno dilaniando il Paese, sempre più preda dell’Isis, è alto. Entrambe le soluzioni ad oggi non sembrano facilmente praticabili. Così come non lo è un blocco navale. Che per quanto rappresenti una frase a effetto gettata lì da una politica che non ha risposte a un dramma epocale, nei fatti non risolve nulla ed è tecnicamente inattuabile.
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