martedì 3 febbraio 2015

I grillini non vengono da Marte. In questi anni sono stati in Italia e non sono state verginelle. Hanno votato magari i soliti ladri. Hanno accettato raccomandazioni magari da soggetti poco affidabili. E oggi vogliono farci credere che sono stati puliti. Certo, perché non erano noti. Difficile che uno come noi potesse non essere notato se avesse fatto nella sua vita porcherie. Loro erano solo degli emeriti sconosciuti non certo degli emeriti onesti.

Di Maio predica la trasparenza ma dimentica la società di famiglia

Il grillino vice presidente della Camera nel 2012 ha fondato una Srl con la sorella: 100mila euro di capitale e tre dipendenti. Ma nelle sue dichiarazioni patrimoniali non ce n'è traccia

Il giovin grillino ha la faccia pulita da ex alunno delle suore, mette la cravatta e il vestito blu, non sbraita e non dà le dimissioni dal Movimento 5 Stelle, come fanno truppe sempre più nutrite di suoi colleghi. Luigi Di Maio da Pomigliano d'Arco sa che per restare in Parlamento è meglio fare la controfigura di un ex comico che conquistare i tg per un giorno e poi sparire. 
È abile a tenere i piedi in più scarpe, come dimostra la sua elezione a vicepresidente della Camera. Quel giorno si profuse in lodi entusiastiche per Laura Boldrini («Ha fatto un discorso che non vedo l'ora di parafrasare», disse a caldo il vice-tifoso), salvo poi mettersi a litigare furiosamente. Due pesi e due misure anche sulle faccende patrimoniali: chiede trasparenza e sobrietà agli altri politici ma lui non è un campione di limpidezza. Ben pochi infatti sanno che Di Maio è socio al 50 per cento di una società di costruzioni, la Ardima srl, assieme alla sorella. L'impresa fa acqua: nel 2013 il fatturato non ha raggiunto i 20mila euro, eppure si permette il lusso di avere tre dipendenti e un capitale sociale di 100mila euro. Denaro che è stato interamente versato soltanto dopo che Luigi è entrato in Parlamento e ha cominciato a guadagnare: sarà un caso? All'atto della fondazione i due fratelli avevano deliberato e sottoscritto un capitale di 20mila euro, ma ne avevano versati appena 5mila. Ormai Di Maio è diventato il volto presentabile del grillismo, quello che cerca la mediazione e non manda «vaffa» a nessuno, ma ricuce dove gli altri strappano. Venticinque anni fa sarebbe stato un rampante giovane democristiano alla scuola dei leader campani dell'epoca, Ciriaco De Mita, avellinese come lui, e Clemente Mastella, beneventano. Oggi invece sta sotto la bandiera a cinque stelle. Un partito dove c'è campo libero per chiunque sia ambizioso, spregiudicato e furbo. E l'«enfant prodige» vesuviano punta in alto. Molto in alto. Qualcuno ha ipotizzato che sarà il candidato premier benedetto da Grillo: lui, tifoso di Formula 1, ha risposto che era «solo fantacalcio». In un'intervista Beppe l'ha elogiato a modo suo, sbeffeggiandolo: «Io imparo sempre da Di Maio, anche quando sta zitto». Dario Fo lo riempie di apprezzamenti, Matteo Renzi gli mandò una serie di pizzini durante il dibattito per la prima fiducia al governo eleggendolo a rappresentante della galassia pentastellata: «Scusa l'ingenuità caro Luigi, ma voi fate sempre così?».
Di Maio rispose con altri biglietti ma fotografò e pubblicò tutto su Facebook, in ossequio al comandamento grillino della trasparenza a senso unico. Come si diventa deputato a cinque stelle? La carriera di Di Maio è emblematica. Da bambino andò a scuola dalle suore di Santa Maria Francesca a Lausdomini, frazione di Marigliano (Napoli). Al liceo classico Imbriani di Pomigliano, non lontano dallo stabilimento ex Alfasud, si fece eleggere nelle rappresentanze studentesche. S'iscrisse a giurisprudenza ma la politica ha avuto la meglio su codici e pandette: a 19 anni era già tra gli adepti di Beppe Grillo e oggi, che di anni ne compirà 29 a luglio, ha dato appena metà degli esami. La laurea è un miraggio lontano, ma per fare carriera politica tra i 5 Stelle non serve. Nel 2010 si è candidato alle comunali di Pomigliano. Risultato magrissimo, 59 preferenze. Nel deserto grillino Di Maio è stato il più votato, ma non è riuscito a entrare in consiglio perché il suo candidato sindaco non è arrivato al ballottaggio. Un paio d'anni dopo, alle «parlamentarie» per la Camera, gli è bastato triplicare i consensi per spiccare il volo verso Roma, la politica vera, il potere che conta. Le preferenze raccolte sul sito di Grillo sono state 189. Aggiungiamoci una campagna elettorale condotta al risparmio, con grande oculatezza: Di Maio ha dichiarato di aver speso 957,69 euro ma ha ricevuto contributi per 3.114 euro, 400 messi da lui e il resto da terzi. Un vero affare. È questa la ricetta vincente per entrare nel vituperato Parlamento dei nominati, secondo in lista dietro a Roberto Fico nel collegio Campania 1. Dopo averci messo piede grazie a questa corsia preferenziale, in meno di due anni l'onorevole Di Maio è diventato vicepresidente della Camera e membro del direttorio pentastellato. Avrà anche rinunciato a una parte dello stipendio da parlamentare secondo i dettami grillini, alle auto blu e all'appartamento di rappresentanza nel palazzo di Montecitorio, tuttavia il reddito complessivo denunciato nel 2014 (82.379 euro) non si discosta affatto da quello dei «peones» di altri partiti. A esso, come per tutti i parlamentari, vanno aggiunte le indennità che figurano come rimborsi o diarie e non appaiono nel 740. Nel suo curriculum si legge che Luigi Di Maio è webmaster e giornalista pubblicista. Non si mette in luce la sua passione nascosta: l'edilizia. Nessuno ne ha ancora scritto e Di Maio, a dispetto della trasparenza, non ne ha mai parlato.
Il premier in pectore dei grillini opera nel settore attraverso la già citata Ardima srl con sede a Pomigliano. La sorella Rosalba, di un anno più giovane, è l'altro socio oltre che l'amministratore unico. Nelle dichiarazioni sulla situazione patrimoniale se ne trova un fugace accenno. La storia dell'Ardima, nella quale il deputato grillino non ha funzioni di amministratore né di sindaco, presenta aspetti singolari. L'atto costitutivo (in cui entrambi i fratelli vengono qualificati come «imprenditori») porta la data del 30 marzo 2012, eppure Di Maio non ne fa menzione nella dichiarazione patrimoniale del 2013 dalla quale risulta che il neodeputato è nullatenente e nullaguadagnante. L'attività prevalente di Ardima è la costruzione di edifici residenziali e no, ma non si escludono ristrutturazioni, gestioni immobiliari con acquisto e vendita, partecipazione a consorzi d'imprese, demolizioni, trivellazioni, impiantistica, e nemmeno autotrasporto, logistica e trasporti speciali. Di tutto un po'. A dispetto di un ventaglio così esteso di possibili interventi, i primi nove mesi di attività sono un disastro: il valore della produzione si ferma a 2.400 euro. Altro che costruzioni, con quei soldi non si dà nemmeno una mano di bianco a un appartamento. Il bilancio 2012 è stato chiuso con una perdita di 1.376 euro. Il Di Maio imprenditore e investitore non vale l'abilità con cui il Di Maio politico sale la scala del consenso grillino. Ma nemmeno l'anno successivo la startup edile dei due fratelli decolla. Nell'altro bilancio attualmente disponibile, quello relativo al 2013, il giro d'affari è salito a 19.300 euro facendo registrare un utile di 1.591 euro che i due soci hanno messo prudentemente a riserva. Eppure loro pensano in grande: negli ultimi mesi i dipendenti sono saliti da 1 a 3 e con un atto notarile del 30 giugno 2014 il capitale sociale è stato aumentato in misura massiccia. All'atto della costituzione il capitale era di 20mila euro, di cui versati soltanto 5mila. Con la variazione il capitale è balzato a 100.200 euro, tutti versati. Luigi Di Maio ne ha sottoscritto e versato la metà, 50.100 euro. Un bel salto per il ragazzo prodigio che l'anno prima era povero in canna. Il bilancio 2013 è talmente striminzito che gli amministratori hanno ritenuto di non inserire nella nota integrativa la relazione sulla gestione. Nessuna spiegazione sui motivi di un'attività così fiacca. Il valore della produzione deriva per 3.200 euro da ricavi delle vendite e per 16.100 da lavori in corso. I costi invece sono in gran parte per il personale, quasi 14.000 euro. È così che funzionerebbe l'Azienda Italia in mano ai grillini?

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