Il boss Bonanno e le querele dei Mattarella
Ancora in tribunale dopo cinquant'anni le vicende del padre del nuovo Presidente della Repubblica
Il boss di cosa nostra americana Joseph Bonanno lo scrisse nella sua autobiografia “A Man of Honor”: nell’estate del 1957 a Ciampino fu accolto dall’allora ministro degli esteri Bernardo Mattarella. Pochi mesi dopo, il dieci ottobre del 1957 ci sarà all’Hotel delle Palme di Palermo il più grande summit tra le famiglie italiane di cosa nostra e quelle insediate oltre Oceano. Nello stesso anno Bonanno fu convocato dalle autorità statunitensi per riferire sul contenuto del libro, ma questi si rifiutò e fu condannato a quattordici mesi di carcere per oltraggio alla corte.
Una circostanza, quella dell’incontro a Ciampino tra Bonanno e il padre dell’attuale Presidente della Repubblica neoeletto così raccontato dal boss nell’autobiografia uscita per la prima volta nel 1983. «Tra coloro che ci accolsero c’era anche un ministro del governo italiano. L’ho riconosciuto immediatamente. Era Bernardo Mattarella, ed eravamo cresciuti insieme a Castellammare. Nel 1957 credo fosse ministro degli Affari Esteri». Bonanno arriva in Italia sullo stesso volo dell’allora direttore della rivista “Il progresso Italoamericano” F. Pope, giornale che si scagliò contro le dichiarazione del primo collaboratore di giustizia uscito dalle fila di cosa nostra americana, Joe Valachi.
In quel periodo Mattarella senior in realtà era ministro delle Poste e Telecomunicazioni nel governo di Adone Zoli, fu agli Affari Esteri nel primo governo Segni, che si chiuse nel maggio del 1957. Di questo incontro non ci sono prove, ma quelle quattro righe della biografia del boss italo-americano, originario di Castellammare del Golfo, hanno messo giornalisti, storici e la famiglia Mattarella gli uni contro gli altri.
Nelle cronache di quel 13 settembre a Ciampino Bernardo Mattarella non viene mai citato, ma la famiglia Mattarella non valuta un intervento per chiarire ciò che Bonanno ha scritto nella sua autobiografia. Eppure, ricorda lo storico e giornalista Alfio Caruso in una recente intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano «Enzo Biagi per due volte, il 13 marzo del ’92 e il 15 agosto del ’98, sul Corriere della Sera, racconta l’accoglienza di Mattarella a Ciampino. Lo scrive anche Attilio Bolzoni sulla prima pagina di Repubblica il 25 ottobre del 2000. Eppure mai, finchè Bonanno fu in vita, la famiglia pensò di querelarlo né di chiedere una smentita».
La querela invece arriva allo stesso Caruso nel 2009 per il libro “Da cosa nasce cosa”, pubblicato da Longanesi nove anni prima. Il racconto della famiglia Mattarella fatto da Caruso in uno dei capitoli del libro gli vale la citazione in giudizio da parte di Sergio Mattarella, il nuovo capo dello Stato, i nipoti Bernardo e Maria, che lo accusano di aver «infangato la figura di Mattarella padre», e di aver ricostruito «in maniera grossolana» i rapporti politici di Piersanti. Attualmente il giornalista è a giudizio per una causa da 250mila euro.
Caruso: «Enzo Biagi per due volte, il 13 marzo del ’92 e il 15 agosto del ’98, sul Corriere della Sera, racconta l’accoglienza di Mattarella a Ciampino. Lo scrive anche Attilio Bolzoni sulla prima pagina di Repubblica il 25 ottobre del 2000. Eppure mai, finchè Bonanno fu in vita, la famiglia pensò di querelarlo né di chiedere una smentita»
«Piersanti - prosegue Caruso - è un signore che viene fuori da una storia familiare controversa. Tanto di cappello per quello che e’ stato poi l’approdo finale, straordinario, della sua vita. Ma anche Dalla Chiesa in un’intervista a Giorgio Bocca, ricordò da dove veniva Piersanti. Sono fatti. Nessuno è mai stato querelato prima di me per averli raccontati». Dalla chiesa rispose a Bocca come fosse possibile che l’omicidio di Piersanti Mattarella arrivasse dal fuoco mafioso: «il figlio, certamente al corrente di qualche ombra avanzata nei confronti del padre, ha voluto che la sua attività politica come amministratore pubblico fosse esente da qualsiasi riserva. E quando ha dato la chiara dimostrazione di mettere in pratica questo intento, ha trovato il piombo mafioso […] il caso Mattarella è ancora oscuro, si procede per ipotesi […] anche nella Dc aveva più di un nemico».
Insomma, il capitolo sui Mattarella, “Kennedy di Sicilia”, non è piaciuto alla famiglia. In particolare nel racconto delle accuse di collusione con cosa nostra che avrebbero coinvolto
Bernardo Mattarella. A inciampare sulla querela dei Mattarella prima di Caruso fu Danilo Dolci (chiamato in tribunale dallo stesso Bernardo), che venne condannato.
Tuttavia specifica Caruso al Fatto «Dolci non è tra le mie fonti. Le vicende relative alle frequentazioni di Mattarella con esponenti mafiosi della zona di Castellammare, le ho attinte dal volume ”Raccolto Rosso” di Enrico Deaglio che a sua volte aveva consultato gli atti della Prima Commissione Antimafia (’76). Nessuno ha querelato Deaglio, che tra l’altro ha ripubblicato tranquillamente il suo libro nel 2010».
Il tribunale di Palermo nella causa contro Mediaset: «La diffamazione operata ai danni di Bernardo Mattarella – scrive il giudice Sebastiana Ciardo – scaturisce dalla non veridicità dei fatti narrati, giacché non vi sono elementi per ritenere provato il rapporto di amicizia con Ciancimino, e non è veritiera la comunanza di interessi politici giacché è, piuttosto, provata la militanza in correnti diverse della Democrazia Cristiana»
In una causa analoga incappò anche la fiction Mediaset “Il capo dei capi”: nella serie, scrivevano gli eredi «veniva evocata nel pubblico dei telespettatori la falsa credenza che l’onorevole Mattarella fosse amico e conviviale di Vito Ciancimino, al punto da intrattenersi a casa sua per giocare a carte e che fosse vicino ad ambienti mafiosi e del malaffare imprenditoriale».
La sentenza da ragione ancora ai Mattarella: «La diffamazione operata ai danni di Bernardo Mattarella – scrive il giudice Sebastiana Ciardo – scaturisce dalla non veridicità dei fatti narrati, giacché non vi sono elementi per ritenere provato il rapporto di amicizia con Ciancimino, e non è veritiera la comunanza di interessi politici giacché è, piuttosto, provata la militanza in correnti diverse della Democrazia Cristiana (si vedano gli articoli di giornale prodotti da parte attrice) e l’assenza di qualsiasi legame tra i due». Risultato 7mila euro a testa tra Sergio, Maria e il nipote del patriarca Bernardo.
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