Terremoto in Cassa Depositi e Prestiti. Volano stracci tra manager sul destino della controllata Sace
di Stefano Sansonetti
Inutile girarci intorno, dalle parti della Cassa Depositi e Prestiti si respira un’aria pesante. La causa di tanta fibrillazione è stata innescata dal governo azionista del colosso pubblico, con un articolo inserito nel provvedimento ribattezzato “Investment Compact”. Il fatto è che dietro si sta consumando uno scontro di non poco conto tra manager pubblici: da una parte Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della Cdp, dall’altra Alessandro Castellano, stessa funzione all’interno della controllata Sace. Ebbene, nel provvedimento si delinea la “trasformazione” di Sace, finora società pubblica di assicurazione dei crediti all’export, in vera e propria banca che potrà concedere finanziamenti. Apriti cielo. La norma, a quanto pare gradita da Castellano, non piace per niente a Gorno Tempini. Il quale, filtra dai corridoi di via Goito, vede nell’operazione il rischio di perdere la presa su una società ricca.
LO SCHEMA
Del resto nei giorni scorsi la stessa Cdp aveva architettato una bella riduzione di capitale della controllata, passato da 4,3 a 3,5 miliardi di euro, aspirando senza troppi complimenti gli 800 milioni di differenza per provare a riequilibrare i conti. Insomma, una Sace trasformata in banca, e magari inserita in un rinnovato percorso di quotazione in borsa, viene vista come fumo negli occhi dagli attuali vertici della Cdp. Così come sta risultando di difficile digestione l’autonomia di movimento dello stesso Castellano. Tra l’altro in Cassa cominciano a temere le possibili conseguenze derivanti dallo sbocco bancario della controllata. Qualcuno sostiene, ma sul punto le interpretazioni sono contrastanti, che una Sace in versione banca costringerebbe anche la controllante Cdp a sottoporsi alla vigilanza ordinaria della banca d’Italia guidata da Ignazio Visco. E qui sarebbero dolori, visto che da tempo la Cassa soffre di uno squilibrio patrimoniale che non sarebbe consentito a nessuna banca “ordinaria”.
Del resto nei giorni scorsi la stessa Cdp aveva architettato una bella riduzione di capitale della controllata, passato da 4,3 a 3,5 miliardi di euro, aspirando senza troppi complimenti gli 800 milioni di differenza per provare a riequilibrare i conti. Insomma, una Sace trasformata in banca, e magari inserita in un rinnovato percorso di quotazione in borsa, viene vista come fumo negli occhi dagli attuali vertici della Cdp. Così come sta risultando di difficile digestione l’autonomia di movimento dello stesso Castellano. Tra l’altro in Cassa cominciano a temere le possibili conseguenze derivanti dallo sbocco bancario della controllata. Qualcuno sostiene, ma sul punto le interpretazioni sono contrastanti, che una Sace in versione banca costringerebbe anche la controllante Cdp a sottoporsi alla vigilanza ordinaria della banca d’Italia guidata da Ignazio Visco. E qui sarebbero dolori, visto che da tempo la Cassa soffre di uno squilibrio patrimoniale che non sarebbe consentito a nessuna banca “ordinaria”.
I NUMERI
Basti pensare che a fine 2014 il colosso pubblico aveva un patrimonio netto di 18,5 miliardi, a fronte di partecipazioni per 32,7. I 18,5 miliardi, di fatto, costituiscono le vere risorse proprie della società, dal momento che i 244 miliardi di raccolta postale gestita appartengono agli italiani. Quello tra patrimonio e partecipazioni è uno scompenso a dir poco pericoloso. E soprattutto il frutto di una campagna acquisti che i vari governi hanno imposto a Cassa per mettere toppe ai vari buchi economici che si sono creati negli anni (oggi la Cdp ha partecipazioni in Eni, Terna, Snam, Fintecna, Sace, Simest, Fsi, F2i). Finora la società presieduta da Franco Bassanini si è salvata grazie alla sua particolare configurazione sancita dalla legge, che la ha messa al riparo dalla vigilanza ordinaria di palazzo Koch. Ma questo stato di cose potrebbe cambiare con una controllata così importante e ricca come Sace trasformata in banca. Il clima di incertezza è totale. La Notizia ieri ha chiesto a Cdp se il “rischio” di finire sotto la lente di via Nazionale, a seguito dell’Investment Compact, sia concreto. La società si è limitata a rispondere che “la domanda va posta alla Banca d’Italia”.
Basti pensare che a fine 2014 il colosso pubblico aveva un patrimonio netto di 18,5 miliardi, a fronte di partecipazioni per 32,7. I 18,5 miliardi, di fatto, costituiscono le vere risorse proprie della società, dal momento che i 244 miliardi di raccolta postale gestita appartengono agli italiani. Quello tra patrimonio e partecipazioni è uno scompenso a dir poco pericoloso. E soprattutto il frutto di una campagna acquisti che i vari governi hanno imposto a Cassa per mettere toppe ai vari buchi economici che si sono creati negli anni (oggi la Cdp ha partecipazioni in Eni, Terna, Snam, Fintecna, Sace, Simest, Fsi, F2i). Finora la società presieduta da Franco Bassanini si è salvata grazie alla sua particolare configurazione sancita dalla legge, che la ha messa al riparo dalla vigilanza ordinaria di palazzo Koch. Ma questo stato di cose potrebbe cambiare con una controllata così importante e ricca come Sace trasformata in banca. Il clima di incertezza è totale. La Notizia ieri ha chiesto a Cdp se il “rischio” di finire sotto la lente di via Nazionale, a seguito dell’Investment Compact, sia concreto. La società si è limitata a rispondere che “la domanda va posta alla Banca d’Italia”.
LE ALTRE SPINE
Ma le fibrillazioni arrivano anche da altre parti. Secondo quanto risulta a La Notizia nei giorni scorsi il Tesoro, azionista all’80%, ha cominciato a bussare insistentemente alle porte della Cassa rivendicando la distribuzione di dividendi. Una richiesta in grado di mettere ancora di più sotto stress i conti del “gigante dai piedi d’argilla” che sta provando a colmare il gap esistente tra patrimonio e partecipazioni. Tra l’altro la società è impegnata in una partita collaterale, sempre con lo scopo di mettere in cascina risorse fresche, che consiste in un’imminente emissione obbligazionaria dedicata alla clientela retail. Per non parlare delle difficoltà indotte dal momento di tassi particolarmente bassi che penalizzano i guadagni sui prestiti erogati da Cdp. Non c’è che dire, il mare è in tempesta per il perno su cui si vorrebbero far ruotare le principali operazioni economiche del Paese.
Ma le fibrillazioni arrivano anche da altre parti. Secondo quanto risulta a La Notizia nei giorni scorsi il Tesoro, azionista all’80%, ha cominciato a bussare insistentemente alle porte della Cassa rivendicando la distribuzione di dividendi. Una richiesta in grado di mettere ancora di più sotto stress i conti del “gigante dai piedi d’argilla” che sta provando a colmare il gap esistente tra patrimonio e partecipazioni. Tra l’altro la società è impegnata in una partita collaterale, sempre con lo scopo di mettere in cascina risorse fresche, che consiste in un’imminente emissione obbligazionaria dedicata alla clientela retail. Per non parlare delle difficoltà indotte dal momento di tassi particolarmente bassi che penalizzano i guadagni sui prestiti erogati da Cdp. Non c’è che dire, il mare è in tempesta per il perno su cui si vorrebbero far ruotare le principali operazioni economiche del Paese.
Twitter: @SSansonetti
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