venerdì 10 ottobre 2014

Solo in Italia un delinquente e assassino puó permettersi di fare queste cose. Certamente i grillinicondivideranno il pensiero di Provenzano.

"Riina? Segue tutte le udienze e vorrebbe far domande". Il legale Cianferoni: "Chiesi l'audizione di Napolitano anche nel '96"

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RIINA
Un luogo speciale che gode di altrettanto speciale “immunità”. Un testimone molto speciale, quale il Presidente della Repubblica. Un processo decisamente speciale, quello sulla presunta trattativa Stato-mafia dove si mescolano, per reati diversi, imputati sommersi dagli ergastoli con altri che sono invece uomini delle istituzioni. Una serie di “prime volte” che, incrociate, non potevano che portare il presidente della Corte d’Assise di Palermo Alfredo Montalto ad un risultato inedito. Che costituisce un “precedente interpretativo”: Napolitano sarà dunque sentito al Quirinale, sua sede funzionale e lavorativa, la mattina del 28 ottobre alla presenza di giudici togati e popolari e degli avvocati dei dieci imputati. Fuori gli stessi imputati, quelli arrestati e quelli a piede libero. Fuori le parti civili. Fuori ovviamente la stampa (al netto di un segnale audio che è stato già richiesto da ordine dei giornalisti di Sicilia e unione cronisti). Dentro tutti gli avvocati che “garantiranno in ogni modo i diritti costituzionali e procedurali delle difese”. 
Faccenda chiusa. Con massimo sollievo da parte di chi già temeva “lo sfregio istituzionale” di un boss sanguinario come Riina che avrebbe potuto, anche solo in video conferenza, mettere il naso in un luogo sacro come la Presidenza della Repubblica. Con massima rabbia, invece, dei vari popoli delle agende rosse, di ex come Ingroia e artisti come Sabina Guzzanti che è arrivata a solidarizzare “con Riina e Bagarella per i loro diritti negati”. Per non parlare del deputato Cinque stelle Carlo Sibilia che tra un voto e un altro dell’aula cinguetta: “Perchè secondo voi impediscono agli scagnozzi Riina e Bagarella di "vedere" il boss?”. A ben vedere, siamo già oltre il vilipendio. 
Ma la faccenda è ancora aperta per gli stessi legali degli imputati. Nicoletta Piergentili, avvocato di Nicola Mancino, ha sollevato subito l’eccezione di nullità perché la decisione “viola il diritto dell’imputato ad intervenire in udienza”. Luca Cianferoni, avvocato di Totò Riina, già se la ride: “Questa ordinanza sarà motivo di invalidazione del processo”. E’ la linea dei pm palermitani. 
Avvocato, perchè non basta la sua presenza per garantire lo ius postulandi (il diritto di fare domande) delle difese a tutela e soddisfazione dell’imputato?
“A parte la violazione di una serie di articoli del codice di procedura penale e di convenzioni europee, il mio cliente è un signore di 84 anni che non sta bene, è in isolamento da febbraio 2014 ma non perde mai un’udienza e segue tutto, parola per parola, con assoluta presenza. E, come lei immagina, una circostanza del genere può suggerire molte domande…”.

Quali?
“Non posso certo dirle qui ora. Lui ha sempre detto di non aver mai avuto a che fare con Mancino”.
La Corte ha messo paletti precisi: domande solo sui fatti inerenti la lettera di dimissioni del consigliere giuridico del Colle Loris D’Ambrosio in cui fa riferimento a se stesso come “utile scriba” e ad “indicibili accordi”. Era il luglio 2012. Napolitano respinse le dimissioni. Un mese dopo D’Ambrosio morì per un infarto. 
“Forse non ci faranno fare neppure le domande. Ma vediamo: l’ordinanza del presidente Montalto sembra ammettere “fatti e tematiche che esulano dal mandato parlamentare”.
Perché giudica illegittima la decisione di Montalto? 
“Andare al Quirinale è un atto processualmente dovuto secondo l’articolo 205 cpp. Che però non dice affatto che l’udienza debba svolgersi diversamente da quelle ordinarie. Ecco perché non si può negare all’imputato il diritto di stare nel processo”.
Nell’ordinanza di stamani, incrociando gli articoli 205 e 502 del cpp, si parla di “immunità della sede”, cioè del Quirinale, dove Napolitano “esercita le funzioni di capo dello Stato”.
“E allora? Perché, se una soffiata dice che al Quirinale è nascosto un carro armato, le forze dell’ordine non possono entrare per verificare?”
La circostanza attuale è molto diversa. 
“L’unico motivo per cui un’udienza debba avvenire a porte chiuse è per evitare che vengano disvelate notizie che invece devono restare segrete nell’interesse dello Stato. Non mi pare che la Corte d’Assise abbia mai evocato questa eventualità”. 
Era così necessario sentire il Capo dello Stato?
“Io avevo già chiesto di sentirlo come teste nei processi celebrati a Firenze sulle bombe di mafia in continente. Era il 1996, Napolitano era ministro dell’Interno. Avevo chiesto di sentire anche l’allora presidente Oscar Luigi Scalfaro. Furono negati entrambi”. 
Che poteva dirle Scalfaro?
“Quando disse “io non ci sto” nel messaggio a reti unificate dimostrò di sapere già tanto della contaminazione e della sovversione conservatrice in atto da parte dei servizi segreti. Di questo parliamo anche oggi, in questo processo sulla trattativa dove si assiste ad un’imputazione storica e assai poco giuridica”.
E a Napolitano cosa avrebbe chiesto?
“In generale sulla gestione dei collaboratori di giustizia. Nello specifico su Balduccio Di Maggio, il boss di Cosa Nostra che arrestato l’8 gennaio 1993 a Novara, se la cantò subito tanto che il 15 gennaio fu arrestato Riina a Palermo. Di Maggio si pentì con il generale dei Carabinieri Francesco Delfino che consegnò le informazioni al Ros di Mori. Una sequenza di date e fatti che non mi ha mai convinto. Se trattativa c’è stata, il mio cliente ne è stato vittima. Lui sta facendo da parafulmine per altri”.
Nella memoria consegnata alla Corte, lei scrive che l’audizione del Presidente Napolitano può essere “un simbolo di pacificazione nazionale”. Cosa intende?
“L’audizione, a mio avviso, è interpretabile in due modi: elemento di possibile prova d’accusa; ma anche simbolo di pacificazione nazionale a chiusura di un periodo tragico. Cioè, una volta sentito il Capo dello Stato, ognuno ha fatto la sua parte, la legge è uguale per tutti, i cattivi restano cattivi e i buoni altrettanto. E tutta la vicenda finirebbe in gloria. La verità è che neppure oggi, così come vent’anni fa, questo Paese può permettersi la verità su queste stragi”.

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