Maxitangente sui pozzi, parla il manager che gestì l'affare. "In Italia imposero il mediatore, 50 milioni tornarono in mazzette"
ROMA - A chi dovevano essere "retrocessi" i 200 milioni di dollari caricati a titolo di mediazione sul prezzo dell'acquisizione da parte di Eni del giacimento nigeriano OPL245? Chi, ai vertici del colosso petrolifero, manovrò al di là di ogni ragionevole azzardo perché quel fiume di contanti venisse riconosciuto a un "facilitatore" dall'ignoto pedigree e sprovvisto di un valido mandato a vendere? E ancora: perché Eni dovette ricorrere a un mediatore pur avendo un rapporto diretto con il proprietario del giacimento? Chi, insomma, ha sin qui mentito sull'acquisizione per 1 miliardo e 300 milioni di dollari di OPL245 da parte di Eni e Shell? L'uomo che ha deciso di ricostruire con Repubblical'intera storia, di dare delle risposte (naturalmente le sue) a quelle domande, è un siciliano di 42 anni, un ex dirigente dell'Eni. E il suo nome è Vincenzo Armanna. Il 30 luglio scorso, accompagnato dall'avvocato Fabrizio Siggia, ha infilato spontaneamente un ufficio del palazzo di Giustizia di Milano. E, per undici ore, ha risposto alle domande dei pm Fabio De Pasquale, Eugenio Fusco e Sergio Spadaro, i tre magistrati che lo indagano per corruzione internazionale insieme a Paolo Scaroni (ex ad di Eni), Claudio Descalzi (attuale ad di Eni), Roberto Casula (ex vicepresidente Eni per l'Africa e oggi capo dello sviluppo e delle operazioni), Luigi Bisignani, il finanziere Gianluca Di Nardo, il mediatore Emeka Obi, l'ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete. Da quel giorno, Armanna si è inabissato, insieme al segreto del suo verbale di interrogatorio. E da quel giorno, il suo nome, la sua "verità" sono diventate un incubo per i vecchi e i nuovi vertici di Eni.Ora, seduto ai tavolini deserti di un bar, Armanna dice: "In Eni hanno tentato e stanno tentando di distruggere la mia reputazione, la mia storia professionale. E ho letto con incredulità quello che è stato capace di raccontare Descalzi al vostro Gad Lerner. Eppure, in Eni sono stato membro di numerosi cda di società controllate. In Congo, Uganda, Qatar, Arabia Saudita. Per non parlare del mio lavoro in Iran. Ma io non ho paura. Non sono un vinto. Né, come vedete, ho intenzione di nascondermi. Ognuno è libero di credermi o meno, ma come ho detto la verità ai magistrati, così la dirò a voi". Una "verità", naturalmente, che solo il tempo e le verifiche delle indagini diranno se è tale.
La missione in Nigeria. Armanna arriva in Nigeria nel 2009, quale "senior advisor" della "Nigerian Agip Oil Company", consigliere di amministrazione della "Nigerian LNG" e vice presidente delle attività upstream subsahariane di Eni. Lo precede una fama di professionista preparato. Ma, anche, dicono di lui gli amici rimasti in Eni, di "uomo allergico all'appeasement con la catena gerarchica se qualcosa non lo convince". È arrivato nel palazzo del cane a sei zampe nel 2006, dopo essere stato in Fiat e quindi in Ferrovie con Moretti. In Eni ha cominciato agli approvvigionamenti, dove gli viene riconosciuta la qualità del suo lavoro, salvo trasferirlo all'improvviso. "Nel mio ufficio di Abuja mi misero a esaminare le lettere anonime". Finché - è il dicembre del 2009 - Chief Akinmade, un nigeriano ex dirigente della "Nigerian Agip Oil Company" ed ex assistente del già ministro del petrolio Dan Etete, si presenta con una proposta di vendita del 40 per cento del giacimento OPL245 per 1 miliardo di dollari. Akinmade sostiene di trattare la cessione del giacimento in nome e per conto proprio di Etete, uomo di straordinaria ferocia e altrettanto straordinaria corruzione. Un vecchio "amico" di Eni, che con lui, già nel 2007, aveva avviato trattative proprio per l'OPL245. L'offerta di Akinmade viene girata in Italia al dirigente con cui Armanna lavora in staff: Roberto Casula, uomo di Descalzi, vicepresidente esecutivo di Eni, chairman della "Nigerian Agip Exploration" e dunque tra le figure chiave della divisione E&P (Exploration and Production). Del resto, OPL245 è un boccone ghiotto. Un giacimento stimato tra i 3 e i 4 miliardi di barili. Ma qui, ecco la prima stranezza.
Dopo quattro giorni dalla prima offerta, arriva via mail una proposta economicamente identica a quella di Akinmade, ma di cui, stavolta, si dice procuratore tale Emeka Obi. Il tipo sostiene di operare attraverso la società "Eleda Partners" e aggiunge di avere un mandato in esclusiva sia da Dan Etete, sia dalla società "Malabu" che, formalmente, era la concessionaria del giacimento. Il 24 dicembre del 2009, Roberto Casula, vicepresidente esecutivo di Eni, invia una lettera con cui manifesta l'interesse della società per la proposta di Obi e lo investe formalmente della mediazione. Un lavoro da 200 milioni di dollari. "È una procedura singolare - chiosa Armanna - che espone e impegna direttamente i vertici dell'Azienda". C'è un'unica condizione: la prova che Obi agisca effettivamente in nome e per conto di Dan Etete.
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