La Corte d'assise di Palermo ha deciso: Salvatore Riina e Leoluca Bagarella non potranno assistere all'udienza che si terrà al Quirinale, neanche attraverso il collegamento in videoconferenza dai penitenziari dove sono detenuti, Parma e Nuoro. Resterà fuori anche l'ex ministro Nicola Mancino, pure lui imputato del processo trattativa. Davanti al presidente della Repubblica ci saranno soltanto i giudici di Palermo, i pubblici ministeri e agli avvocati di imputati e parti civili. Esclusa anche la presenza del pubblico, ma l'udienza non sarà comunque segreta.

Così, la corte del processo trattativa ha confermato l'ordinanza già emessa il 25 ottobre. Nonostante la richiesta di partecipare alla trasferta romana avanzata da Riina, Bagarella e Mancino. Nonostante, soprattutto, il parere della procura di Palermo, che aveva dato parere favorevole alla presenza degli imputati al Colle, per evitare un caso di nullità del processo. I pubblici ministeri Di Matteo, Del Bene, Tartaglia e Teresi avevano anche citato la Corte europea per i diritti dell'uomo, che ribadisce il diritto dell'imputato a partecipare alle udienze del processo che lo riguardano. Ma per il collegio presieduto da Alfredo Montalto non c'è alcun rischio nullità. Perchè vanno tutelate le prerogative del Capo dello Stato. "La stessa Corte dei diritti dell'uomo prevede che la pubblicità del giudizio possa cedere a ragioni obiettive e razionali - recita l'ordinanza dei giudici di Palermo - ragioni collegate a tutela di beni di rilevanza costituzionale". E a questo proposito il presidente Montalto cita le "speciali prerogative del presidente della Repubblica" e "l'immunità della sede, anche per ragioni di ordine pubblico e di sicurezza nazionale".
Stato-mafia, no ai boss al Quirinale: Riina e Bagarella non saranno all'udienza
La corte d'assise di Palermo riunita all'aula bunker dell'Ucciardone

Uno dei legali di Mancino, Nicoletta Piergentili Piromallo, chiede subito la parola: "Per noi l'ordinanza è nulla, in base all'articolo 178 del codice di procedura penale - dice - perché viola il diritto dell'imputato Mancino di intervenire personalmente all'udienza". Una nullità che potrebbe avere effetti devastanti su tutto il processo, come ipotizzavano i pubblici ministeri. Ma al momento, la corte conferma la propria ordinanza. "Ne prendiamo atto", si limita a dire il presidente della corte. Ma da Firenze, il legale di Riina, Luca Cianferoni, rilancia: "Chiederemo l'annullamento del processo, ci viene negato il diritto di difesa".

Nella sua ordinanza, Alfredo Montalto, ripercorre le ragioni della decisione. Intanto, ricorda quanto già detto nel precedente provvedimento: "L'articolo 205 del codice di procedura penale, che prevede la testimonianza del Capo dello Stato, non prevede in quali forme debba avvenire. Per questa ragione - spiega il giudice - la corte ha deciso di applicare in via analogica l'articolo 502, quello che prevede l'audizione del testimone a domicilio, ma nei limiti in cui tale norma sia compatibile". Proprio sulla base dell'ultimo comma del 502, gli imputati chiedevano di essere presenti. Non è d'accordo la corte di Palermo, che ricorda le speciali guarentigie "di carattere costituzionale" previste per il Quirinale. Montalto sottolinea che al Colle non possono entrare neanche le forze dell'ordine: "Dunque, non sarebbe possibile accompagnare gli imputati, o garantire l'ordine durante l'udienza". Poi, il giudice ricorda pure che "la videoconferenza è prevista solo per l'aula del processo". Infine, il passaggio sulla corte europea per i diritti dell'uomo.

I giudici ribadiscono: "Il diritto di difesa degli imputati sarà adeguatamente assicurato dalla assistenza tecnica, e dalla presenza dei difensori che lo esercitano in forza di un potere di rappresentanza legale e convenzionale, nonché dalla facoltà degli imputati medesimi, nel prosieguo del dibattimento, di far valere nelle forme e nei tempi prescritti ogni difesa ritenuta utile anche in relazione all'atto istruttorio che viene assunto al di fuor dell'aula d'udienza così come avviene negli altri casi previsti dalla legge".

L'ordinanza esclude la presenza al Quirinale anche della signora Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'associazione familiari vittime di Georgofili, anche lei aveva fatto richiesta alla corte in qualità di parte civile. Il presidente del collegio ribadisce che tutte le parti saranno rappresentate dai loro avvocati, e solo quelli di fiducia.

La deposizione di NapolitanoI pubblici ministeri vogliono sentire Napolitano sulla lettera che gli venne inviata dal suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio nel giugno di due anni fa.

Dopo le polemiche per le telefonate al Quirinale di Nicola Mancino, intercettato nell'ambito dell'inchiesta trattativa, D'Ambrosio ribadiva la sua correttezza, ma esprimeva un timore sugli anni in cui la trattativa si sarebbe consumata. Il timore "di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993". In quegli anni, D'Ambrosio era stato in servizio all'Alto commissariaro per la lotta alla mafia e poi al ministero della Giustizia.

La lettera del consigliere D'Ambrosio
La procura vuole chiedere a Napolitano ulteriori notizie su quella lettera, resa nota dal Quirinale, e su quello sfogo. Nei mesi scorsi, il presidente ha però già fatto sapere di non aver ricevuto altre confidente dal suo consigliere, morto improvvisamente per un infarto due anni fa.

La lettera del presidente della Repubblica inviata alla corte di Palermo il 31 ottobre scorso

La lettera non è stata ritenuta sufficiente dalla procura di Palermo, che ha insistito per l'audizione di Napolitano, poi ammessa dalla corte d'assise.