8/10/2014
Merkel sotto assedio: nessuno vuole più l’austerità
Dal Fmi al Financial Times, gli ex supporter scaricano la linea tedesca: “Danneggia anche voi”
Il cielo è nero sopra Berlino. Gli ordinativi dell’industria tedesca, ad agosto, sono crollati del 5,7%, il peggior calo da gennaio 2009, quando fu il crac di Lehman Brothers a gelare la domanda mondiale. I pompieri, a partire dal Ministro dell’Economia tedesco, il socialdemocratico Sigmar Gabriel si sono affrettati a minimizzare il calo, ricordando che solo un mese prima gli ordini erano cresciuti del 4,6%. Altri, come Holger Schmieding, chief economist di Berenberg, hanno affermato al Financial Times che, in fondo, «contro la geopolitica si può fare poco», dando la colpa del calo alle tensioni tra Russia e Ucraina e all’embargo imposto da Putin.
C’è di più tuttavia. Innanzitutto, ancora una volta, le previsioni si sono rivelate peggiori della realtà. Il calo era previsto, infatti, ma di 2,5 punti percentuali inferiore. Ancora: al calo degli ordinativi si è sommato un ulteriore calo della produzione industriale del 4%, - anche questo il peggior calo dal 2009 - che già a maggio era scesa di 1,8 punti percentuali, quando tutti gli analisti prevedevano un risultato sostanzialmente invariato rispetto al mese precedente, ed era cresciuta di solo 0,3 punti a giugno e di 1,6 punti a luglio, quando tutti pensavano a un rimbalzo ben più consistente. Problema dei problemi: a quei dati era seguito un calo del Pil dello 0,2% nel secondo trimestre dell’anno. I dati di agosto, ahi loro, fanno presagire ben peggio. Secondo la Beremberg, si parla – se andrà bene – di una crescita del 2% nei prossimi due trimestri.
«In Germania molti commentatori amano prendersela con Putin, ma (la crisi tedesca, ndr) è molto di più», ha dichiarato, sempre al Financial Times, Carsten Brzeski, chief economist at ING-DiBa. Difficile, infatti, che la sola crisi russo-ucraina possa spiegare il calo dell’8,8% della produzione di beni per investimento e il 25% in meno nella produzione automobilistica.
Sono sempre di più, infatti, gli analisti e i commentatori che puntano il dito contro le politiche di austerità promosse dalla Merkel, che hanno depresso la domanda interna e quella di gran parte dei paesi del sud europa. In particolare, Francia e Italia, i due principali mercati di sbocco delle esportazioni tedesche, che non a caso sono diminuite, sempre ad agosto, dell’8,4%. Volete la bomba? Eccola: «Siamo vicini al punto in cui il governo tedesco sarà costretto a prendere atto che una politica fiscale più proattiva possa portare benefici non solo all’eurozona, ma anche alla stessa economia tedesca». A lanciarla è ancora Carsten Brzeski di Ing-DiBa. Per la cronaca: un tedesco.
Non è il solo, peraltro: lo scorso 5 ottobre, il Financial Times, in un editoriale di Edward Luce – ripreso e tradotto in Italia dal sito di Alan Friedman – ha paragonato la politica economica della Merkel a quella della destra ultraliberista americana: « La sventura dell’Europa è che la Germania, l’equivalente europeo del Tea Party, ha esercitato il veto sulle regole budgettarie dell’eurozona fin dalla nascita – attacca Luce -. (secondo loro, ndr) la grande recessione è una morality tale che ci siamo autoimposti. Dobbiamo espiare i nostri peccati stringendo la cinghia. Se non ti piacciono i nostri principi, puoi andartene a quel paese». Editoriale cui ha fatto seguito l’8 ottobre l’ex premier italiano Mario Monti, secondo cui «più crescita in Europa, specialmente nella parte meridionale del continente, è l’imperativo per ogni paese, ma anche per la sopravvivenza stessa dell’integrazione europea».
Non bastasse, ci si è messo pure il Fondo Monetario Internazionale: in un suo recente report sull’economia tedesca, ha consigliato al Governo Tedesco di decuplicare gli investimenti in infrastrutture pianificati per il triennio 2014-2017 – ne avrebbe le risorse, visto che ha già raggiunto il pareggio di bilancio - anche per aiutare economie in difficoltà come quella italiana. Senza dimenticare come gli economisti che hanno redatto il Geneva Report, abbiano proposto qualche settimana fa una cura da cavallo per la crescita in Europa, con robuste iniezioni di liquidità della Bce nel sistema economico per far salire la produzione, la domanda e i prezzi. In altre parole, quel «quantitative easing» - acquisti massicci di titoli di stato o di titoli cartolarizzati – da parte della Bce, cui è rimasto a opporsi solo il governatore della Bundesbank Jens Weidmann e, a livello politico, il commissario Ue per gli affari economici, il finlandese Jiri Katainen.
Oggi, peraltro, la Merkel è in Italia, a Milano, per il vertice europeo sul lavoro. Insieme a lei ci sarà Hollande, che pochi mesi fa ha annunciato un ulteriore sforamento del rapporto deficit/Pil, stimato per il 2015 al 4,4%. E, ovviamente, ci sarà pure Renzi, che non può permettersi di sforare, ma la cui Legge di Stabilità conterrà 23-24 miliardi di stimoli all’economia reale a fronte di 8-10 miliardi di tagli e di nessuna nuova tassa. Forse sarà lei, la Merkel, a chiedere conto del loro comportamento ai primi ministri di Italia e Francia. Forse, invece, saranno loro a chiedere a lei cos’ha intenzione di fare: «Una Germania debole – scrive oggi il Wall Street Journal – ha vaste ripercussioni. La Germania fa il 28,5% dell’output europeo. (…) Se l’economia tedesca finisce nel pantano, ci finirà tutta l’eurozona». Anche se per ora la Merkel tiene duro, forse l’austerity tedesca sta per finire davvero.
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