giovedì 24 aprile 2014

E i grillini cosa dicono sull'Alitalia. Non c'è nel programma.

TRATTATIVA
Principi azzurri stranieri, corteggiamenti, brucianti abbandoni e soprattutto tante contraddizioni.
Adesso che i petrodollari degli sceicchi rappresentano l'ultima spiaggia per evitare (di nuovo) lo spauracchio del fallimento, la 'Cenerentola' Alitalia si guarda indietro e pensa agli errori politici del passato.
LE DURE CONDIZIONI ARABE. Ormai tutti tifano per Etihad, il vettore di Abu Dhabi, unica opzione rimasta in campo. Ma le condizioni 'lacrime e sangue' degli arabi per salvare l'ex compagnia di bandiera sono tremende da digerire: sacrifici sul piano occupazionale - la richiesta arriverebbe fino a 3.100 esuberi, anche se il governo cerca di minimizzare - un taglio di almeno 400 milioni di euro di debiti (su 1 miliardo circa in totale) verso le banche, la valorizzazione di Fiumicino e la chiusura di Malpensa.
E QUELL'«ALITALIA AGLI ITALIANI»? E pensare che nel 2008 la strenua (e futile?) difesa dell'italianità a tutti i costi del governo di Silvio Berlusconi congelò la trattativa con Air France perché le proposte transalpine erano considerate «non solo irricevibili, ma persino offensive», come amava ripetere l'ex Cavaliere.
Ora c'è il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, ex pidiellino e all'epoca fedelissimo berlusconiano, che attende di vedere «se questo matrimonio s'ha da fare». Un refrain ripetuto da mesi. «Etihad è complementare ad Alitalia, in caso di accordo siamo pronti a tutelare i posti di lavoro», ha detto il 24 aprile.
A fine 2013 si era affidato a un laconico «se sono rose fioriranno», e già si parlava di un interessamento arabo.
SCENARI PIÙ CUPI, TERMINI PIÙ MORBIDI. Gli scenari peggiorano (ai tempi dello strappo con i francesi i licenziamenti erano 'solo' 2 mila) e anche la terminologia si evolve: se una volta non bisognava assolutamente «svendere allo straniero», adesso si discute di «partnership strategica con un solido investitore». Suona meglio, eppure la sostanza potrebbe essere la stessa: rischiare di piegarsi al duro diktat dell'interlocutore di turno.

Un patriottismo ostinato che è costato al Paese 4,5 miliardi

La ricerca di un lieto fine alle vicissitudini aziendali dura almeno dal 2008.
Air France formulò al governo di Romano Prodi una proposta di acquisto, prima della crisi politica e delle successive elezioni vinte da Berlusconi. Ma il Cav optò per la ricerca di una cordata italiana.
Il rifiuto all'aiuto straniero potrebbe essere costato almeno 4,5 miliardi, secondo il calcolo di Pietro Ichino (ex Partito democratico e ora in Scelta civica).
PASSERA E CONFINDUSTRIA CONTRARI. Per la verità in difesa dell'italianità si schierarono anche Francesco Rutelli (vice premier del governo Prodi), Corrado Passera (allora amministratore delegato di Banca Intesa) e il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo.
Ma Berlusconi, tra comizi e promesse elettorali, spiegò di aver «fatto appello all'orgoglio e all'amor di patria degli imprenditori italiani. Anche gli ultimi Paesi nell'economia europea, Grecia e Portogallo, hanno una compagnia di bandiera». (Aprile 2008).
E ancora: «È impensabile una svendita a una compagnia di un Paese in concorrenza con noi». (Settembre 2008).
A marzo 2008 era spuntata persino l'idea di coinvolgere i propri figli nell'operazione, come ha riportato il sito del Corriere della Sera.
Smentita pochi giorni dopo: «A breve ci sarà la cordata per Alitalia che sarà assistita da una banca. I miei figli? Non ci saranno».
A marzo 2008 il leader del Popolo della libertà promise tempi strettissimi per la svolta, come aveva riferito il Corriere della Sera. Ma una volta compresa la complessità dell'affare ritardò la tabella di marcia. E quindi arrivò il tempo dei miracoli, secondo La Repubblica.
In effetti entro la fine dell'anno subentrò la cordata dei cosiddetti 'capitani coraggiosi'. La compagnia si era liberata dai propri debiti, accollandoli allo Stato. Si rafforzò sul mercato nazionale e a inizio 2009 si riparlò di affari con i francesi. Che infatti decisero di spendere 300 milioni per il 25% della compagnia italiana invece di 1,2-1,5 miliardi di euro di cui si era parlato in passato. Un 'colpaccio' che suscitò le prese in giro dei giornali, come nel caso del Corriere della Sera.
Negli anni successivi la società ha accumulato passivi importanti: 327 milioni nel 2009, 168 nel 2010, 69 nel 2011 e ancora 280 milioni nel 2012. E proprio a fine 2012 tornò a risuonare l'allarme crac finanziario, a quattro anni dal salvataggio.
I conti in rosso arrivarono a segnare perdite per 630 mila euro al giorno. E riaffiorarono le accuse sulla fallimentare gestione del problema di Berlusconi.

La perenne rincorsa di Lupi e il rischio di autogol con Malpensa

La patata bollente passò nelle mani di Maurizio Lupi - titolare di Trasporti e Infrastrutture dei governi Letta e Renzi - fin dal 2013.
Il resto è storia recente, quella di una tragicomica corsa contro il tempo che sposta sempre qualche giorno più in là il traguardo dell'accordo con gli arabi, mentre Lupi si affanna in promesse puntualmente disattese.
La fine trattativa sarebbe dovuta arrivare entro il 31 marzo.
Ma qualche rallentamento impose un rinvio dei termini. Ecco allora un'altra inderogabile scadenza per la presentazione della bozza definitiva.
Niente da fare nemmeno per il 6 aprile. La conclusione sembrava però essere arrivata l'11 aprile.
Nelle ultime settimane invece si sono materializzate crepe, voci di rottura e tentennamenti.
tra i punti critici c'è anche il ruolo di Malpensa.
Il suo destino pare essere quello di un potenziamento solo in chiave cargo (mentre per Linate sembra sicuro un rilancio), con le autorità lombarde che hanno già promesso battaglia.
Dovesse accettare un ridimensionamento di Malpensa, Lupi sbugiarderebbe se stesso. Nel dicembre 2007 era responsabile Infrastrutture di Forza Italia e tuonava così.
  • «Il piano presentato da Air France per Alitalia deve tenere conto dello sviluppo del Nord e quindi non può penalizzare l'aeroporto di Malpensa». Anche allora c'erano le stesse questioni sul tavolo: «Alcune affermazioni lasciano troppi margini di incertezza rispetto al ruolo futuro dello scalo milanese. Non vorremmo che la compagnia di bandiera venisse trasformata in una sorta di operatore regionale», disse. (17 dicembre 2007).
Le perplessità di Lupi proseguirono nel 2008, mentre il governo Prodi era andato in crisi. All'epoca l'attuale ministro valutava in maniera diversa un intervento straniero.
  • «Il governo Prodi stava svendendo l'Alitalia ai francesi. L'ok dato dal Tesoro al piano Air France decretava la fine di Malpensa infliggendo un colpo durissimo non solo al Nord, ma a tutto il sistema dei trasporti italiano». (18 marzo 2008).
E ancora, un anno più tardi.
  • «Siamo sicuri che qualunque sia il partner scelto, Malpensa non verrà penalizzata perché non è possibile danneggiare un aeroporto che rappresenta un punto di forza per una società come la Nuova Alitalia, che intende crescere a livello nazionale e internazionale». (8 gennaio 2009).
Erano tempi in cui l'Italia pretendeva ancora di scegliere i partner.
  • «Alitalia ormai è una realtà privata e fa le sue scelte, che io ritengo sbagliate. Noi chiediamo la possibilità di stare sul mercato scegliendo i nostri partner. Ce ne sono già tanti che bussano alle porte, non solo Lufthansa». (15 maggio 2009).
Ora fuori da quella porta sono rimasti solo gli Emirati Arabi Uniti. Che aspettano con il coltello dalla parte del manico Lupi e il governo. Una posizione di sudditanza che l'Italia si è inflitta dopo sei anni di slogan, ripensamenti, incoerenza e capriole politiche.
Giovedì, 24 Aprile 2014

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