mercoledì 9 ottobre 2013

Riceviamo e pubblichiamo.


Perché si muore in carcere

di   - 09/10/2013 - Sovraffollamento. Cure sanitarie difficili. Sicurezza a rischio. Scarsa riabilitazione. I numeri più amari della condizione detentiva nei penitenziari italiani

Perché si muore in carcere
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Sovraffollamento. Scarsità di cure sanitarie e di sicurezza. Inutili tentativi di rieducazione. Nel corso degli ultimi anni le carceri italiane sono diventate sempre di più covo di degrado e malessere fisico e psicologico sia per le persone recluse che per gli agenti di polizia e gli altri operatori che prestano lavoro nelle strutture penitenziarie. Lo dicono i dati ufficiali di ministeri ed istituzioni pubbliche, come pure autorevoli rapporti stilati da associazioni e attivisti che vigilano regolarmente sulle condizioni di detenzione.

morire in carcere 02

SOVRAFFOLLAMENTO – Le carceri scoppiano, dicono i numeri diffusi dagli esperti. Secondo i dati del Ministero aggiornati al 30 settembre 2013 a fronte di una capienza regolamentare di 47.615 detenuti, nelle celle dei penitenziari italiani sono presenti ben 64.758 persone, il 36% in più di quanto considerato lecito dalla legge. Sono 22.770, il 35,1%, i reclusi stranieri, 12.333 quelli in attesa di giudizio, 12,302 i condannati in via non definitiva, 38.845, il 60% del totale, infine, i condannati in via definitiva. Tante le morti. Secondo i datipubblicati dal notiziario «da e sul» carcere Ristretti News, ed aggiornati anche in questo caso al 30 settembre scorso, su complessivi 121 detenuti deceduti nei nostri penitenziari da inizio anno. Ben 39 i suicidi, circa un terzo del totale dei decessi. E’ la conferma del drammatico trend degli anni scorsi. Nel 2012, secondo lo stesso dossier ‘Morire di carcere’, si sono tolti la vita in carcere 60 persone, 66 nel 2011, 66 nel 2010, 72 nel 2009.
SALUTE – Non si tratta delle uniche cifre amare. Secondo il XI rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione pubblicato lo scorso anno dall’Osservatorio Antigone, che dal 1988 su autorizzazione del ministero visita tutti gli istituti di pena presenti sul nostro territorio, circa il 40% (nel 2012 il 41,2%) dei detenuti nelle carceri italiane ha un’età inferiore ai 35 anni. Ma ciò nonostante no si vive in buone condizioni di salute. Stando a quanto riferisce Antigone non ci sono dati nazionali affidabili, ma nelle sole carceri toscane risultano malati addirittura il 73% dei reclusi, e non c’è motivo di ritenere che altrove le percentuali siano sensibilmente diverse. Le patologie sono gravi. Risultano comuni i disturbi psichici (Antigone indica un tasso del 26,1%), seguiti dalle malattie dell’apparato digerente (19,3%) e dalle malattie infettive e parassitarie (12,5%). Una situazione complicata sia per la naturale tendenza da parte del sistema sanitario, e delle Asl in particolare, ad orientare il loro intervento sulla prevenzione piuttosto che sulla terapia, sia per la mancanza di fondi. Il sistema delle visite ospedaliere all’esterno comporta infatti mesi di attesa per essere sottoposti ad un controllo specialistico. E il pronto soccorso interno non è sempre organizzato per affrontare ogni tipo di emergenza. Sarebbe opportuno, dunque, accertare costantemente la vivibilità dei luoghi del soggiorno carcerario, utilizzare il periodo della detenzione per effettuare uno screening generale della popolazione reclusa, dotare ogni reparto di una piccola farmacia o infermieria. Costi eccessivi, ai tempi della spending review.
BILANCIO – Già, la spending review. In un periodo di conti pubblici da mettere in ordine piange anche il bilancio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che nel 2007, quando la popolazione carceraria (in seguito all’indulto) era calata a circa 44mila unità, ammontava a 3 miliardi e 95 milioni di euro, e che nel 2011 invece, dopo la risalita della presenza media nei penitenziari italiani oltre quota 67mila, è sceso a 2 miliardi e 766 milioni di euro. In altre parole, rileva ancora Antigone nel suo rapporto, a fronte di un aumento di circa il 50% di reclusi, la disponibilità finanziaria dell’organo dello Stato che deve provvedere a garantire l’ordine e la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari (e che coordina e dirige il personale penitenziario) è calata del 10%.
POLIZIOTTI – Che viviamo in tempi di magra e che la crisi mette a rischio anche la sicurezza se ne sono accorti bene gli agenti della polizia penitenziaria. Il sindacato di categoria Sappe continua a ripetere che in carcere lavorano circa 7.500 poliziotti in meno di quanti necessari e che lo scarso numero di agenti, ai tempi di un disumano sovraffollamento, rende gli istituti sempre meno sicuri. «Stare chiusi in cella 20/22 ore al giorno senza far nulla – ha spiegato alcune settimane fa il segretario del Sappe – nell’ozio e nell’apatia, alimenta una tensione detentiva nelle sovraffollate celle italiane fatta di risse aggressioni, suicidi e tentati suicidi, rivolte, evasioni ed incendi che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della polizia penitenziaria». Non a caso, oltre che tra i detenuti, i suicidi sono frequenti proprio tra i poliziotti. Ad agosto, ultimo caso, si è tolto la vita un agente in servizio nel carcere di Ariano Irpino, in provincia di Avellino, proprio mentre si recava al lavoro.
LAVORO – E la funzione riabilitativa della detenzione? L’articolo 1 della legge del 1975 sull’ordinamento penitenziario stabilisce che il trattamento del detenuto «deve assicurare il rispetto della dignità della persona» e che «nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi». La realtà è parecchio diversa sotto questo aspetto. Stando al rapporto di Antigone nel primo semestre del 2012 hanno lavorato 13.278 detenuti, meno del 20% del totale della popolazione carceraria, cifra assai inferiore al numero dei reclusi condannati in via definitiva (ai quali l’amministrazione dovrebbe garantire un’occupazione retribuita). I dati si rivelano come i più bassi dal 1991 ad oggi. Il budget previsto dal Dap per le retribuzioni dei detenuti è calato dagli 11 milioni di euro del 2010 ai 9 milioni 336mila del 2011, e, infine, ai 3 milioni e 168mila del 2012. Accade anche questo, nel paese di Cesare Beccaria.

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