Polito Uno-Polito Due, e oplà le primarie non piacciono più
Ma perché prima erano mirabolanti e oggi sono rivoltanti?
Parole sante, quelle di Antonio Polito: “Varrebbe la pena di affidarsi all’unica cosa titanica che c’è in questo partito, a quei milioni di elettori che ancora lo votano nonostante tutto, a quelle migliaia di militanti che ancora se ne appassionano nonostante tutto… Sarebbe un delitto tenerli fuori. Bisognerebbe quanto meno sentirli, se proprio non si vuole dar loro il potere di decidere e scegliere”.
Parole nette e ficcanti, rivolte ad un Partito Democratico che nel febbraio 2009 sceglieva di non scegliere, affidando all’Assemblea Nazionale il compito di nominare chi avrebbe dovuto prendere il posto del dimissionario Veltroni.
D’altra parte, proseguiva Polito, “è strano che un partito nato col feticcio della democrazia diretta, nell’ora del destino, quando più le servirebbe, faccia di tutto per evitarla”.
Perché le primarie “almeno mobiliterebbero qualche migliaio di militanti che al momento se ne stanno con le mani in mano e l’amaro in bocca, e forse tornerebbe loro la voglia di fare la prossima campagna elettorale”. Servirebbe “quella discussione pubblica su ciò che divide il PD che finora non c’è mai stata, in nome di un unanimismo che si è visto di quanta divisione è capace”.
E quando finalmente venne il momento delle primarie tanto agognate, altrettanto sacrosante furono le parole di Polito nel salutare il fatto che “in uno scontro politico vero, anche aspro e cattivo, prima gli iscritti e poi gli elettori del PD hanno scelto quale linea e quale leader vogliono seguire. Un numero di persone non di molto inferiore a quelle che plebiscitarono Veltroni, hanno partecipato alla battaglia e hanno scelto Bersani. Con Bersani, hanno anche chiaramente indicato una linea”.
D’altra parte lo stesso Polito aveva chiesto più volte (come nel luglio 2008) che la sinistra italiana scegliesse la strada della “selezione nel fuoco della battaglia politica di un leader politico, interno al partito riformista ma abbastanza esterno alla sua nomenklatura per poter affascinare le masse, che del solito giro di capi-corrente ne hanno piene le tasche”.
E la forma concreta sarebbe dovuta essere, secondo il Polito del novembre 2008, quella dello “scontro a due, meglio ancora altri due: un’aperta e onesta e trasparente battaglia politica in cui si decide tra due contendenti la linea del PD su tutte le questioni di maggior rilievo. Basta con finto unanimismo, con l’imitazione del partito di plastica berlusconiano che a sinistra diventa un partito di plastilina”.
Bene, il PD ha finalmente ascoltato le parole di Antonio Polito. Non una ma più volte.
E domenica scorsa, per l’ennesima tornata di primarie, ha chiesto di scegliere il proprio segretario esattamente a quei milioni di elettori e a quelle migliaia di militanti che Polito sollecitava tanto efficacemente a coinvolgere. Si è trattato proprio di “un’aperta e onesta e trasparente battaglia politica”, ben al di là di un “finto unanimismo”, e che ha “chiaramente indicato una linea”.
Eppure tutto questo ad Antonio Polito oggi non piace più.
No, perché il processo delle primarie “indebolisce il PD”; perché “non è chiaro neanche agli elettori dei gazebo che cosa abbia in serbo il loro segretario”; e soprattutto perché l’avere affidato la scelta a iscritti ed elettori ha trasformato il Partito Democratico in un semplice “specchio del capo”.
Va bene tutto: il tempo che passa, e le delusioni e i rimorsi, e “solo i morti e gli stupidi non cambiano idea”, etc etc. Tutto giusto, tutto sacrosanto. Però da chi ha diretto per lunghi anni un quotidiano piccolo e battagliero come “Il Riformista”, che fin dal titolo aveva in sé la vocazione ad essere pungolo di innovazione e che migliaia di volte ha ospitato proposte e suggerimenti per una sinistra che sapesse fare le cose che finalmente il Partito Democratico sta facendo, ci si aspetterebbe qualche riflessione in più sui motivi per cui le Primarie erano tanto mirabolanti e oggi sarebbero tanto rivoltanti.
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