giovedì 4 maggio 2017

Ecco a voi un populista di destra: così Harvard accoglie Di Maio

M5S
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Di Maio ospite alla scuola di specializzazione per i laureati di Harvard ha dovuto rispondere alle domande degli studenti e ricercatori, non senza qualche difficoltà
 
Forse Luigi Di Maio pensava che tutto il mondo fosse Paese, ma in America gli hanno ricordato che non è così. Abituato a convocare conferenze stampa senza domande, ad intervenire senza contraddittorio nei programmi tv oppure in collegamento esterno (con tanto di claque al seguito) o a pontificare sul sacro blog, deve essere rimasto molto male dell’accoglienza riservatagli all’università Kennedy Harvard School, che è la scuola di specializzazione per i laureati di Harvard (cosa diversa rispetto all’Università stessa).
Prima di tutto la presentazione: il professore Archon Fung, che introdotto il candidato in pectore del M5, ha definito il MoVimento come “populista di destra”. Una definizione che in Italia avrebbe creato un caso diplomatico per giorni, con probabili ( e consueti)  attacchi ai media. Ma poi il professore di Democrazia e cittadinanza, ha voluto precisare: “Abbiamo ricevuto tante lamentele perché invitavamo qui Luigi Di Maio. Per questo voglio spiegare lo spirito con cui lo riceviamo: è importante coinvolgere anche chi ha punti di vista molti diversi dai nostri. Abbiamo spesso speaker dal centro-sinistra, qualche volta anche dal centro-destra, ma un populista considerato di destra, non lo abbiamo mai avuto”. Per non far sembrare la cosa troppo brutta si è lanciato anche in un parallelo con l’attuale presidenza Usa a guida Trump ricordando che, per gli stessi motivi che lo hanno portato a vincere, anche Di Maio “potrebbe essere il prossimo primo ministro in Italia”.Chissà se il leader pentastellato avrà gradito.
Poi è stata la volta del discorso di Di Maio, letto parola per parola da un foglio, a cui sono seguite una serie di domande, alcune molto ficcanti.
Jacobo Iacoboni su La Stampa riporta quelle di un classico caso di cervello in fuga: “Il punto più imbarazzante è stato quando un ricercatore italiano che ha studiato ad Harvard, Mario Fittipaldi (caso ha voluto che venisse anche lui da Napoli – s’è concesso una battuta sul fatto che a tutti, anche a lui, piace la pizza e la mozzarella, e avrebbe preferito restare a fare ricerca in Italia anziché doversene andare così lontano) gli ha domandato: “Vi siete presentati sulla scena anche parlando di competenze. Ma io non accetto che questo partito sia fatto da persone con un’istruzione molto bassa, come anche lei, bisogna dire, che non ha finito l’università ma che parla di eccellenze universitarie. Paola Taverna, che faceva l’assistente di laboratorio, deve venire a spiegare a me, che studio queste cose da anni, come funzionano i vaccini?”.
Domande che in America è lecito fare ma che in Italia sono quasi diventate un tabù; basta vedere come ha reagito Marco Travaglio all’articolo del New York Times proprio sul rapporto M5S e morbillo additando il quotidiano “come giornale umoristico” e di essere “sedicente cacciatori di fake news” che “non scherzano, quanto a (creazione di) fake news”.
Di Maio ha cercato, con l’aiuto di un interprete, di rispondere puntualmente ad ogni domanda e di spiegare di essere davvero quella forza di governo nuova e pulita. Chissà se sarà riuscito a convincere gli studenti americani o se da oltreoceano le cose appaiono più chiare che da noi.

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