giovedì 5 gennaio 2017

Il grillismo e la nobile restaurazione

M5S
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L’alternativa è tra l’impegno del cambiamento e il rifugio nella nostalgia identitaria
 
Per favore, non scomodiamo il garantismo per commentare il primo comunicato del 2017 della premiata ditta Grillo& Casaleggio. Le parole sono importanti, come diceva il maestro, e “garantismo” è una di quelle da usare con la cura maggiore in un’epoca nella quale l’intreccio tra politica, giustizia e opinione pubblica si è fatto groviglio confuso. In questo caso le parole giuste sarebbero quelle antiche ma sempre attuali di Piero Calamandrei.
Il quale, intervenendo nel 1947 alla Costituente per discutere (e criticare come insufficiente) la bozza di articolo 49, ebbe a dire che che «l’organizzazione democratica dei partiti è un presupposto indispensabile perché si abbia anche fuori di essi vera democrazia», dal momento che «una democrazia non può esser tale se non sono democratici anche i partiti in cui si formano i programmi e in cui si scelgono gli uomini che poi vengono esteriormente eletti coi sistemi democratici».
Ma lo stesso hanno fatto con argomenti che avevano avuto una qualche diffusa circolazione anche dalle nostre parti: la superiorità morale, la demonizzazione cronica dell’avversario, il giustizialismo, il complottismo, la criminalizzazione dell’impresa e della globalizzazione. Argomenti che nella versione Cinque Stelle assumono una declinazione rozza e brutale, ma che sono stati facilmente pescati dal bacino dei malanni che hanno afflitto la democrazia italiana nell’ultimo ventennio.
La loro capacità di assorbire e cristallizzare questi temi, insieme alla tenacia dimostrata nell’occupare stabilmente spazi consistenti di consenso sociale ed elettorale, ci racconta di un contesto politico che non è destinato a trasformarsi all’improvviso né tanto meno a tornare ad una immaginaria età dell’oro.
Non torneremo indietro, nonostante la frizzante aria di restaurazione che da qualche settimana si respira anche in alcuni ambienti della sinistra italiana. Quasi che il voto del 4 dicembre avesse cancellato la fatica del cambiamento delle cose reali, restituendoci per miracolo a quella che secondo alcuni dovrebbe essere la nostra condizione naturale: il culto della nostalgia per il bel tempo che fu, quando il mondo ci sorrideva perché eravamo nel giusto in virtù della nostra stessa identità e quando l’Italia non era intossicata dal populismo in versione grillina o fascioleghista.
La tentazione di tornare ai bei tempi andati è comprensibile, persino quando è animata dalle motivazioni personali di chi in quei tempi occupava posizioni di potere che nel frattempo sono andate perdute. Ma per un partito politico che conserva l’ambizione alla trasformazione del reale la fuga verso la nostalgia equivale alla scelta dell’irrilevanza e alla concessione di enormi spazi politici all’avversario. Un avversario che, tra l’altro, è ormai molto lontano dalla destra tradizionale e conservatrice di quell’immaginario tempo perfetto.
Abbiamo di fronte a noi un esempio preciso e concreto di questa dinamica, se guardiamo al declino del Labour britannico dopo la sconfitta elettorale del 2015. La leadership di Corbyn, fondata e condivisa sulla scelta di tornare a coltivare il giardino dell’identità tradizionale, ha coinciso con il precipitare dei consensi ad un partito che aveva saputo governare per ben quindici anni la Gran Bretagna (trasformandola in direzione di una maggiore giustizia sociale e civile). Con il risultato, oggi, di rendere del tutto irrealistica qualunque prospettiva di contendere ai Conservatori la guida del paese alle prossime elezioni.
Qualche giorno fa Barack Obama, in una delle riflessioni pubbliche con cui sta provando a delimitare la propria eredità politica, si è soffermato sul rischio di una «corbynizzazione» dei Democratici statunitensi dopo la vittoria di Trump. Un pericolo che potrà essere sventato, secondo il presidente uscente, solo fintanto che la sinistra americana resterà «ben radicata sui fatti e sulla realtà».
È un tema non solo italiano, dunque, quello dell’alternativa tra l’impegno del cambiamento reale e il rifugio autolesionistico nella nostalgia identitaria. Un tema con cui il Partito democratico sta già facendo i conti, mentre la tentazione della nobile restaurazione si fa sentire rispetto alla fatica di tenere fermo quel cammino delle riforme di libertà, delle cose da fare e della centralità della politica che ha restituito alla sinistra italiana una rilevanza persa da molti anni.

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