Il M5s e l'illusione pericolosa della democrazia partecipativa
Il sogno di Casaleggio ha avuto precedenti storici. Dalla Rivoluzione francese alle assemblee del 68. E tutti si sono risolti nell'assolutismo.
Detentori, si dice, di un terzo del voto nazionale, papabili quindi per il ruolo di primo partito politico d’Italia, i sostenitori del Movimento 5 Stelle restano una galassia non facile da decifrare. Sono per la democrazia partecipativa. Non rappresentativa, partecipativa. Il che, se si parte da una nazione di 60 milioni di abitanti, pone dei problemi, e li porrebbe anche in una comunità di 600 mila, dove già delegare diventa indispensabile. Solo in una di 60 mila, e meglio in una di 6 mila si potrebbe cercare di portare le decisioni al popolo, ma anche qui ci sarebbero problemi. Non sempre tutto il popolo ha voglia e testa per discutere e decidere. E alla fine, comunque, discutono e decidono alcuni in nome del popolo. Se qualcuno sostiene sia possibile fare diversamente, dovrebbe per favore spiegarlo in concreto. E non basta invocare la Rete e la genialità di Gianroberto Casaleggio.
UNA FORMULA VECCHIA. La democrazia partecipativa è una formula tutt’altro che nuova e non ha dato quando davvero fu applicata su larga scala, e lo fu al meglio (e al peggio) durante la Rivoluzione Francese, risultati esaltanti. Si capisce benissimo che cosa spinge molti a votare 5 Stelle: la stanchezza, il disgusto, la rabbia, l’economia asfittica e deludente, la voglia di punire gli altri politici, la speranza. Magari di farsi largo nella vita, per i giovani. Detto questo, non si capisce bene come i vertici dei 5 Stelle, o chiunque sia al comando in un “partito” che nega l’esistenza dei vertici e dei leader, intenda gestire questo patrimonio.
UN'IDEA CHE MERITA APPROFONDIMENTO. Il Movimento è stato esaminato con attenzione da almeno un paio d’anni. Ma la loro idea di “partecipazione” merita un supplemento. Non è facile capirli quando il “capo” o meglio il “padre spirituale” è un comico professionista di successo il cui maggior successo è appunto il Movimento 5 Stelle e i cui comizi assomigliano molto a un suo tradizionale spettacolo, un’infilata galoppante di giudizi alla ricerca della battuta più efficace sulla vita, l’Italia, l’Europa, il mondo, la modernità, l’antichità, la miseria, la poesia e la nobiltà, mentre i suoi tradizionali spettacoli assomigliano molto a un comizio.
DECIDE TUTTO LA RETE. L’ideologia dicono i 5 Stelle non c’è, è la Rete, dicono. Ed è attraverso la Rete, in particolare, che la democrazia partecipativa si esercita. Lo scomparso Casaleggio, insieme a Grillo e più di Grillo creatore del Movimento, (Grillo, si potrebbe dire evangelicamente, è stato il Battista di Casaleggio, vero Verbo), aveva come noto una visione totalizzante della Rete e del potere che questa creava arrivando a sostenere che sarebbe stato alla fine l’unico potere, nel giro di due decenni circa, azzerando stampa, tivù e libri, e trasformando dal profondo la politica, non più rappresentativa appunto ma partecipativa, attraverso la Rete.
Chi capiva la Rete capiva il mondo. «L’Uomo è Dio. È ovunque, è tutti, conosce tutto». Molto impegnativo. La Rete come Spirito Santo, insomma. Ma la mente umana è limitata, a conoscere tutto sarebbero proprio pochi, i più avrebbero conoscenze o superficiali del tutto o approfondite del poco, e l’informazione in sé non garantisce affatto la comprensione. C’è spesso chi ha visto molto, e quindi dovrebbe avere molte informazioni, e capito poco, e ogni tanto si trova chi ha visto poco e capito molto.
INFORMAZIONE TRADIZIONALE CONDANNATA. L’informazione tradizionale (giornali, tivù e altro) è condannata. «Lo spostamento dell’informazione sulla Rete è irreversibile: una goccia che scava la pietra, un travaso costante, come quello dei granelli di sabbia in una clessidra», diceva Casaleggio. «Una divisione netta, una information divide. Una guerra che i vecchi media e i poteri che li sostengono sono destinati a perdere». Possibile, in parte è già successo, nulla garantisce che succeda in toto. E nulla garantisce che i soliti poteri non passino dai vecchi ai nuovi media.
«UNA RIVOLUZIONE CULTURALE E TECNOLOGICA». Si arriva poi al nocciolo politico. «La democrazia rappresentativa, per delega, perderà significato», sosteneva Casaleggio. «È una rivoluzione prima culturale che tecnologica». E aggiungeva: «Il concetto di "leader" per la Rete è una bestemmia. Esistono solo portavoce delle istanze dei cittadini, eletti per operare nei consigli con il sostegno di un network che li aiuta ad avanzare proposte, preparare documenti, verificare gli atti comunali. L’eletto è un collettore di migliaia di persone. Quando entra nell’aula comunale o in parlamento è sia un terminale sia un esecutore del corpo elettorale». Che resta il vero detentore del potere. Certo, in linea di principio. Ma la realtà è diversa.
IL M5S ASPIRA A RISCRIVERE LA STORIA. Il punto debole dei movimenti a sfondo messianico (e un po' i 5 Stelle lo sono) è che ignorano la Storia, o meglio aspirano a riscriverla, e partono quindi dalla tabula rasa. Tutti hanno fatto così, a sinistra (Lenin Stalin e Mao) come a destra (Mussolini e Hitler). E qui sta molto del loro fascino: rendono tutto semplice. Ora la democrazia partecipativa piena e teorizzata c’è già stata, e su grande scala e in vari episodi cruciali della storia europea e occidentale. Jean-Jacques Rousseau, che non a caso tanto piace ai grillini, la teorizzava negando legittimità a tutte le istituzioni tradizionali (proprietà religione classi sociali governo società civile) e riservando tutto al “popolo”. Preparava così il giacobinismo della Rivoluzione che dominò la scena dal 1792 al 1794 e fu il più chiaro esempio della degenerazione democratica partecipativa. In quei due anni, partiti dal concetto di sovranità assoluta e partecipativa del popolo, si arrivò ben presto al potere assoluto e terribile dei rappresentanti e dei portavoce del popolo, cioè di quelli - osserva Henry Kissinger, la cui conoscenza della storia moderna europea è profonda comunque lo si giudichi come Segretario di Stato americano - «si auto designarono come portavoce del popolo e del tutto sua incarnazione». Su J. J. Rousseau, il valore e i rischi delle sue teorie, spiegava bene tutto Hannah Arendt più di mezzo secolo fa.
LA RETE CAMBIA, DIFFICILE CHE CAMBI L'UOMO. Restando alla piccola Storia, e a memoria d’uomo in Italia, chi ricorda le assemblee del 68 universitario sa benissimo che presto la volontà collettiva finì nelle mani di pochi capi che la manipolavano e usavano come una clava. Quindi viene il forte dubbio, alla fine, che dietro la Rete in versione grillina, dietro il loro sistema operativo Rousseau dove ciascun iscritto può scrivere emendare leggi nazionali e regolamenti regionali e comunali (lasciano scrivere e passano di tutto o qualcuno poi ci mette mano, e chi lo fa?), dietro il sogno universale caro a Casaleggio di Gaia, nuova visione di un mondo rinnovato e diverso, dietro la partecipazione insomma, non ci sia molto di nuovo. La Rete cambia molto, come molto cambiò la stampa. Difficile che cambi l’uomo. Pensarlo è semplice e semplicistico. Il tutto appare così nuovo e rivoluzionario forse a chi ignora o cancella il passato. Ma nihil sub sole novi. In politica abbiamo già visto la presunta democrazia partecipativa di massa all’opera. E non ha dato buona prova.
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