Settis vuole fare il costituzionalista, ma è peggio di Zagrebelsky
Lo storico dell’arte sul Fatto mette a confronto con invidiabile sprezzo del pericolo la riforma Boschi con quella Berlusconi-Bossi
Salvatore Settis sarà sicuramente uno “storico dell’arte di fama internazionale”, come ricorda oggi il Fatto, ma di politica e di Costituzione ne capisce addirittura meno di Zagrebelsky. Quando l’anno scorso Grillo lo inserì nella rosa dei candidati al Quirinale, per dire, il professore rilasciò un’intervista al Corriere per sponsorizzare il candidato di Berlusconi, Giuliano Amato (“ha le caratteristiche giuste per la sua cultura costituzionale, per le sue esperienze istituzionali, così come nel campo della gestione di organismi culturali e legati alla ricerca”).
Oggi, intervistato più modestamente dal Fatto, si lancia in una spericolata analisi comparata della riforma Boschi e di quella approvata dal centrodestra nel 2005, e poi bocciata dal referendum dell’anno successivo. La tesi del professore è che “prima si fa il referendum e poi i governi si industriano a capovolgerne il verdetto”: e la prova è che “la cosiddetta sinistra di oggi non fa altro che chiamare Renzi-Boschi quella che prima era la Berlusconi-Bossi”.
Ma davvero? “La Berlusconi-Bossi – spiega il professore con invidiabile sprezzo del ridicolo – prevedeva di cambiare l’articolo quinto [il quinto è un Titolo, non un articolo, ndr] in un senso simile a quello di oggi e prevedeva la supremazia del governo sulle autonomie locali come oggi”. Ora, persino Zagrebelsky sa che la Lega di Bossi era un partito federalista e che la riforma del 2005 prevedeva la cosiddetta “devolution”, e in particolare la competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di sanità, scuola e polizia locale.
E’ vero invece che la riforma del 2005 introduceva “un rafforzamento del potere del governo e della presidenza del Consiglio”, ma è falso che sia “come oggi”, perché la riforma Boschi – Settis può chiedere conferma a Zagrebelsky – non tocca neanche di striscio la forma di governo e i poteri del premier.
Il Parlamento attuale, conclude Settis, “dopo la sentenza della Corte che dichiarava l’incostituzionalità della legge elettorale avrebbe dovuto fare due cose urgenti: modificarla e dimettersi per tornare alle urne”. Informiamo il professore che il Parlamento ha approvato da tempo una nuova legge elettorale, e che non si è sciolto perché proprio la Corte ha espressamente ribadito la sua piena legittimità democratica e costituzionale.
“Ma a che serve votare?” è il titolone d’apertura con cui il Fatto presenta ai suoi lettori l’intervista a Settis. A niente, se non hai idea di che cosa si sta parlando.
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