virginia-raggi-economistIl blog di Beppe Grillo, o “sacro blog” per i detrattori, l’11 marzo scorso, riportava con entusiasmo la notizia dell’articolo comparso sull’Economist che pareva elogiare la candidata sindaco di Roma del m5s Virginia Raggi e prospettare un radioso futuro per lei e il movimento tutto. Pareva. Perché a un lettore attento non è sfuggito che Beppe Grillo, o chi per lui, abbia evitato di riportare nel post il titolo e il sottotitolo dell’articolo in questione, i quali – da soli – gettano una luce del tutto diversa sul suo contenuto.

“Smartening up” titola infatti il giornale britannico riferendosi alla scelta di Virginia Raggi quale aspirante sindaco della Capitale. L’espressione significa “agghindarsi”, “farsi belli”, ma anche – usando un’espressione tutta italiana – “ripulirsi”. Dando retta al titolo volutamente ignorato dal blog, quindi, lo snobbissimo Economist vede nella Raggi una sorta di tentativo da parte dell’M5S di scrollarsi di dosso quella patina di “tenera” (o fastidiosissima per i non seguaci) improvvisazione che l’aveva sempre contraddistinto, ripulendosi e mettendosi in ghingheri per entrare dal portone principale alla “festa”, leggi: nel sistema.

Via quindi dalla competizione elettorale milanese la povera Patrizia Bedori, che qualche anno fa sarebbe stata la candidata ideale dell’M5S, la famosa “casalinga” invocata da Beppe Grillo per esaltare l’ingresso del cittadino nelle istituzioni fino ad allora negategli dai cosiddetti partiti tradizionali (espressione usata e abusata per anni nella galassia pentastellata), e benvenuta Virginia Raggi, avvocato, bella presenza, occhioni da cerbiatta spaurita che fanno da ideale contraltare a quelli dell’onorevole Mara Carfagna, anch’ella laureata in giurisprudenza e con cui condivide una comune conoscenza: Cesare Previti.

Virginia Raggi, suggerisce l’Economist con quel titolo non scelto a caso, è dunque la bella faccia(ta) dietro cui la Casaleggio & Associati tenta la scalata al Campidoglio e da lì a Palazzo Chigi, rinnegando tout court anni e anni di banchetti al freddo e al gelo con attivisti macilenti, scritti sgrammaticati e candidati tristarelli e naïf ma che facevano tanto “genuino” e “onesto”.

Il sottotitolo, poi, anch’esso snobbato dal blog, va oltre. “An anti-establishment political group becomes slightly more conventional”, scrive il giornale britannico, ovvero: “Un gruppo politico anti-sistema diventa lievemente più tradizionale”. Occorre soffermarsi sulla parola “tradizionale”.

Il Movimento Cinque Stelle è nato per sua stessa definizione come baluardo contro i partiti tradizionali. Quante volte le pentastars più telegeniche ci hanno ripetuto il mantra “noi non siamo come i partiti tradizionali”? Ed ecco che oggi, invece, i “meravigliosi ragazzi” esultano e gioiscono per l’articolo dell’Economist che, praticamente, annuncia l’effettiva trasformazione del m5s nel loro nemico storico. Da casti alla Casta, dunque, passando per il casting della Raggi.

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Ben lungi dall’esaltare il Movimento Cinque Stelle e la sua candidata capitolina, il giornale britannico celebra ufficialmente le esequie del fu M5S, osservandone l’avvenuta mutazione nell’ennesimo partito inserito nel sistema.

L’indimenticato e geniale scrittore Giorgio Manganelli, parlando di Pinocchio, sosteneva che con la sua trasformazione in un bambino vero, il personaggio perdeva la sua reale essenza, il quid che lo rendeva differente dagli altri, la sua innocenza, per diventare “come tutti gli altri”. Per il M5S è accaduto lo stesso: spogliatosi delle sue caratteristiche più peculiari che avevano fatto sperare tanti cittadini, il movimento si è trasformato in un “partito vero” con le stesse modalità e le stesse dinamiche delle forze politiche che, fino a un attimo fa, erano viste come la peste dagli aficionados pentastellati. L’unica continuità con il passato sono il “gatto e la volpe”, Grillo e Casaleggio, cui la Raggi – come Pinocchio nel libro di Collodi – è legata da un contratto che, nel caso della candidata, la vincola a sottoporre la sua azione politica alla supervisione del fantomatico “staff” di cui non si conosce a tutt’oggi la composizione né, cosa più inquietante, i progetti.

Sapere che, qualora Virginia Raggi dovesse vincere a Roma, sarebbe a tutti gli effetti una misteriosa compagine di persone non identificate a governare la già disastrata capitale è senz’altro una prospettiva inquietante di cui, Economist permettendo, i romani e non solo dovranno tenere ben conto alle urne.

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