Salah Abdeslam non era mica un migrante
Bisogna smetterla di legare il terrorismo islamico alla crisi dei migranti: nessuno degli attentatori di Parigi era un profugo, nemmeno quello arrestato ieri a Bruxelles
L’arresto di Salah Abdeslam a Bruxelles, nel pomeriggio di venerdì, ha messo fine all’inseguimento dell’uomo più ricercato d’Europa. Abdeslam è stato intrappolato dalla polizia belga e ferito a una gamba prima di essere arrestato: è un cittadino francese di 26 anni, è l’unico sopravvissuto del commando di 10 persone che lo scorso novembre ha ucciso 130 persone in una serie di attacchi a Parigi. Gli assalitori erano tutti affiliati allo Stato Islamico, così come erano tutti cittadini europei. Le conseguenze politiche dell’attacco di Parigi hanno raggiunto quasi tutti i paesi dell’Occidente, dove diversi esponenti politici hanno usato il massacro per giustificare il respingimento di tutti i profughi siriani.
Questa retorica è riuscita ad affermarsi nonostante nemmeno uno dei membri del commando sia stato identificato come un siriano o un profugo. Diversi resoconti sembravano indicare che alcuni degli attentatori avessero con loro dei falsi documenti appartenuti a dei profughi siriani; dei funzionari ungheresi avevano sostenuto di aver visto passare Abdeslam per la stazione di Budapest, uno degli iniziali punti di passaggio della cosiddetta “rotta balcanica” percorsa dai migranti. Questi dettagli però rimangono ancora oggi poco chiari, così come sono poco solide le conclusioni che ne hanno tratto alcuni politici opportunisti. Tutta l’animosità suscitata contro i profughi rischia di oscurare le vere radici della radicalizzazione di Abdeslam, così come le reali minacce alla sicurezza che l’Europa si trova ad affrontare.
Nato da genitori marocchini, Abdeslam amava giocare a calcio, andare in moto, i videogiochi e fino a poco tempo fa non era considerato particolarmente devoto. «Si vestiva normalmente e non dava segni di essere radicalizzato. È frustrante che la nostra famiglia abbia vissuto vicino a lui senza accorgersi di quello che stava succedendo», ha raccontato ai giornalisti sui fratello Mohamed. Quello che è accaduto in seguito – la sua radicalizzazione – dovrebbe preoccupare seriamente politici e funzionari incaricati della sicurezza nei vari paesi. Ma è un problema che non c’entra con il dramma dei profughi siriani. In centinaia di migliaia hanno già tentato il pericoloso viaggio fino in Europa e più di 400 migranti sono già morti nei primi mesi di quest’anno.
«La definizione di profugo è qualcuno che fugge dall’oppressione. I siriani sono in fuga dal terrorismo», ha spiegato a novembre al Washington Post Lavinia Limón, presidente dello U.S. Committee for Refugees and Immigrants: «sono persone che hanno subito quotidianamente quello che è accaduto a Parigi». Nel clima altamente politicizzato cominciato dopo gli attacchi di Parigi compiuti da Abdeslam e i suoi complici, il trattamento riservato ai profughi rischia di diventare un ulteriore danno collaterale di quell’attacco.
©Washington Post 2016
Nessun commento:
Posta un commento