Anas, tutti gli uomini di Ciucci ancora al potere
Gli uomini nei ruoli chiave dell'azienda di Stato sono gli stessi da anni. In molti legati all'ex presidente. Gattopardi più forti di Renzi e delle inchieste.
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26 Ottobre 2015
A maggio del 2015, per mettere alla porta Pietro Ciucci, l'ex capo supremo di Anas, prima stazione appaltante in Italia, servirono l'inchiesta della magistratura sul sistema Grandi Opere di Ercole Incalza, le dimissioni del ministro Maurizio Lupi, le polemiche per i crolli di alcuni viadotti in Sicilia e persino una puntata di Report di Milena Gabanelli.
Fu un'impresa titanica messa in atto dal premier Matteo Renzi insieme con l'allora neo ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio. Il presidente del Consiglio glielo chiese nel giorno dell'insediamento, quando sostituì Lupi: «Graziano, risolvi la questione Anas».
L'uscita di Ciucci, però, non sembra essere servita a molto. Perché a distanza di cinque mesi, il golem, il monolite pubblico, la società partecipata al 100% dal ministero dell’Economia che gestisce la rete stradale italiana, 25 mila chilometri e 6 mila dipendenti da Ragusa fino a Trento, appare sempre più inespugnabile, nonostante le inchieste, le indagini della magistratura e il vento rottamatore renziano.
UN'AZIENDA INESPUGNABILE. Non lo dimostra solo l'ultimo arresto della Dama nera Antonella Accroglianò, indagine della procura di Roma che ha permesso di smascherare un sistema di corruzione ormai paludato e consolidato negli anni di Prima, Seconda e Terza Repubblica, tra politici di oggi e di ieri, nel nome della vecchia Democrazia cristiana.
Lo prova è la stessa incapacità del nuovo presidente di Anas Gianni Armani di fare una vera e propria rivoluzione all'interno dell'azienda di via Mozambano, un feudo dove si incrociano gli interessi della politica, dei partiti, delle grandi aziende di costruttori come la Tecnis, tra favori, clientele e mazzette.
ARMANI: «RIPRENDIAMOCI ANAS». Non è un caso che l'ex amministratore delegato di Terna in diverse interviste abbia rinnovato la propria intenzione di voler togliere Anas dal settore della pubblica amministrazione. È una situazione simile a quella del Processo di Franz Kakfa, in una fortezza dove proseguono i limiti di gestione e rinnovamento. E che soprattutto permette ai cosiddetti Gattopardi di Anas di rigenerarsi, continuando a presidiare una società pubblica stritolata da anni di nepotismo e corruzione.
«Riprendiamoci Anas» ha scritto Armani in una mail ai dipendenti. Ma quello che Alberto Statera, su Repubblica, ha descritto come «Il pozzo dell'avidità», che con «vent'anni di mazzette e asfalto diventa una Tangentopoli infinita», è destinato a proseguire nel tempo, a meno di interventi più incisivi da parte del governo.
Fu un'impresa titanica messa in atto dal premier Matteo Renzi insieme con l'allora neo ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio. Il presidente del Consiglio glielo chiese nel giorno dell'insediamento, quando sostituì Lupi: «Graziano, risolvi la questione Anas».
L'uscita di Ciucci, però, non sembra essere servita a molto. Perché a distanza di cinque mesi, il golem, il monolite pubblico, la società partecipata al 100% dal ministero dell’Economia che gestisce la rete stradale italiana, 25 mila chilometri e 6 mila dipendenti da Ragusa fino a Trento, appare sempre più inespugnabile, nonostante le inchieste, le indagini della magistratura e il vento rottamatore renziano.
UN'AZIENDA INESPUGNABILE. Non lo dimostra solo l'ultimo arresto della Dama nera Antonella Accroglianò, indagine della procura di Roma che ha permesso di smascherare un sistema di corruzione ormai paludato e consolidato negli anni di Prima, Seconda e Terza Repubblica, tra politici di oggi e di ieri, nel nome della vecchia Democrazia cristiana.
Lo prova è la stessa incapacità del nuovo presidente di Anas Gianni Armani di fare una vera e propria rivoluzione all'interno dell'azienda di via Mozambano, un feudo dove si incrociano gli interessi della politica, dei partiti, delle grandi aziende di costruttori come la Tecnis, tra favori, clientele e mazzette.
ARMANI: «RIPRENDIAMOCI ANAS». Non è un caso che l'ex amministratore delegato di Terna in diverse interviste abbia rinnovato la propria intenzione di voler togliere Anas dal settore della pubblica amministrazione. È una situazione simile a quella del Processo di Franz Kakfa, in una fortezza dove proseguono i limiti di gestione e rinnovamento. E che soprattutto permette ai cosiddetti Gattopardi di Anas di rigenerarsi, continuando a presidiare una società pubblica stritolata da anni di nepotismo e corruzione.
«Riprendiamoci Anas» ha scritto Armani in una mail ai dipendenti. Ma quello che Alberto Statera, su Repubblica, ha descritto come «Il pozzo dell'avidità», che con «vent'anni di mazzette e asfalto diventa una Tangentopoli infinita», è destinato a proseguire nel tempo, a meno di interventi più incisivi da parte del governo.
Da Dibennardo ad Avagliano fino a Falciai: tutti uomini dell'ex presidente
Del resto la prima nomina dopo l'inchiesta sulla Dama nera ha lasciato stupiti in molti in via Mozambano. Armani ha infatti nominato Ugo Dibennardo alla Direzione esercizio dell'Anas, ovvero la Manutenzione delle strade di tutta Italia. Il punto è che Dibennardo è un ingegnere siciliano di 48 anni conosciuto da anni in azienda e pure dai magistrati: il suo nome è già emerso in alcuni faldoni del procedimento su Incalza. È sempre stato un fidatissimo di Ciucci, dopo essere stato per cinque anni responsabile dell’Anas in Sicilia, poi nominato amministratore delegato di Autostrade Lazio (Società mista Anas e Regione) che gestisce il mega-appalto della Roma-Latina, un affare da 2,2 miliardi di euro.
Per raccontare la lentezza del monolite Anas, basti pensare che sul sito Autostrade del Lazio il responsabile trasparenza è ancora la Accroglianò, la Dama nera finita in carcere.
RANUCCI CON LA STESSA CARICA DAL 2004. Negli ultimi mesi di ministero pare fosse stato proprio Lupi a spingere perché facesse carriera in azienda, scalzando un altro fedelissimo di Ciucci, Alfredo Bajo, il condirettore generale tecnico finito pure lui nelle carte dell'ultima inchiesta, ma che andrà in pensione a fine ottobre. Dibennardo arriva quindi dove la vecchia gestione voleva, con tutta la sua scia di polemiche che si porta dietro. Coinvolto in alcune inchieste di 'ndrangheta da cui uscì prosciolto, negli ultimi mesi è stato tirato in ballo per il crollo dello Scorciavacche. Ma questo non sembra essere servito.
D'altra parte Dibennardo non è l'unico uomo dell'era Ciucci a vantare ancora posizioni di potere dentro Anas.
Responsabile delle relazioni esterne di Anas è Mario Avagliano, per molti anni capo ufficio stampa degli ex vertici della prima stazione appaltante in Italia. Non solo. Come capo ufficio stampa della nuova reggenza Armani è stato scelto Lorenzo Falciai, già capo ufficio stampa di Stretto di Messina Spa per 10 anni, una lunga vicinanza a Ciucci col quale aveva legami nell'Iri dalle origini, quindi persino capo ufficio stampa di Quadrilatero Spa, un'altra società dell'ex presidente finita pure in una puntata di Report per alcuni scandali autostradali in Umbria.
Del resto a capo delle risorse umane è rimasto Carlo Ranucci, sulla stessa poltrona dal 2004. È ritenuto un intoccabile, anche perché Armani non è riuscito a scalzarlo dopo cinque mesi dal giorno della sua nomina.
L'ex Terna, infatti, ha portato con sé Alessandro Rusciano, ex Risorse umane dell'altra azienda di Stato, ma lo ha potuto prendere solo come assistente. E Ranucci è quello che in questi anni avallò tutte le giravolte dell’ex amministratore unico che fino al primo settembre 2013 mantenne la triplice carica di presidente, amministratore delegato e direttore generale.
PER GRANATI STIPENDI DA 400 MILA EURO L'ANNO. Altro ciucciano di ferro è Stefano Granati, dal 2006 in azienda, tra posti in Ponte di Messina Spa e uno stipendio che prima della rivoluzione Armani toccava i 400 mila euro all'anno: il tetto a 240 mila introdotto negli ultimi mesi è servito a cambiare qualcosa, ma non le poltrone.
E di nuovo, dell'era Ciucci, fa parte l'attuale capo dei Servizi Informatici Pierluigi De Marinis, altro 'sultano', come lo definì il quotidiano La Notizia. Lo stesso discorso vale per Stefano Liani, ancora direttore Nuove costruzioni, pure lui finito nelle carte dell'inchiesta Incalza.
Oltre all'Accroglianò, gli unici a essere stati messi fuori gioco sono stati il capo di compartimento Anas Toscana, Antonio Mazzeo, e l'ex responsabile del servizio amministrativo Roberto Troccoli: sono serviti i pm che li hanno spediti ai domiciliari in una mega inchiesta sull'Anas di Firenze.
L'accusa? «Un collaudato sistema di corruzione». Insomma, sempre la stessa storia, sempre la stessa azienda.
Per raccontare la lentezza del monolite Anas, basti pensare che sul sito Autostrade del Lazio il responsabile trasparenza è ancora la Accroglianò, la Dama nera finita in carcere.
RANUCCI CON LA STESSA CARICA DAL 2004. Negli ultimi mesi di ministero pare fosse stato proprio Lupi a spingere perché facesse carriera in azienda, scalzando un altro fedelissimo di Ciucci, Alfredo Bajo, il condirettore generale tecnico finito pure lui nelle carte dell'ultima inchiesta, ma che andrà in pensione a fine ottobre. Dibennardo arriva quindi dove la vecchia gestione voleva, con tutta la sua scia di polemiche che si porta dietro. Coinvolto in alcune inchieste di 'ndrangheta da cui uscì prosciolto, negli ultimi mesi è stato tirato in ballo per il crollo dello Scorciavacche. Ma questo non sembra essere servito.
D'altra parte Dibennardo non è l'unico uomo dell'era Ciucci a vantare ancora posizioni di potere dentro Anas.
Responsabile delle relazioni esterne di Anas è Mario Avagliano, per molti anni capo ufficio stampa degli ex vertici della prima stazione appaltante in Italia. Non solo. Come capo ufficio stampa della nuova reggenza Armani è stato scelto Lorenzo Falciai, già capo ufficio stampa di Stretto di Messina Spa per 10 anni, una lunga vicinanza a Ciucci col quale aveva legami nell'Iri dalle origini, quindi persino capo ufficio stampa di Quadrilatero Spa, un'altra società dell'ex presidente finita pure in una puntata di Report per alcuni scandali autostradali in Umbria.
Del resto a capo delle risorse umane è rimasto Carlo Ranucci, sulla stessa poltrona dal 2004. È ritenuto un intoccabile, anche perché Armani non è riuscito a scalzarlo dopo cinque mesi dal giorno della sua nomina.
L'ex Terna, infatti, ha portato con sé Alessandro Rusciano, ex Risorse umane dell'altra azienda di Stato, ma lo ha potuto prendere solo come assistente. E Ranucci è quello che in questi anni avallò tutte le giravolte dell’ex amministratore unico che fino al primo settembre 2013 mantenne la triplice carica di presidente, amministratore delegato e direttore generale.
PER GRANATI STIPENDI DA 400 MILA EURO L'ANNO. Altro ciucciano di ferro è Stefano Granati, dal 2006 in azienda, tra posti in Ponte di Messina Spa e uno stipendio che prima della rivoluzione Armani toccava i 400 mila euro all'anno: il tetto a 240 mila introdotto negli ultimi mesi è servito a cambiare qualcosa, ma non le poltrone.
E di nuovo, dell'era Ciucci, fa parte l'attuale capo dei Servizi Informatici Pierluigi De Marinis, altro 'sultano', come lo definì il quotidiano La Notizia. Lo stesso discorso vale per Stefano Liani, ancora direttore Nuove costruzioni, pure lui finito nelle carte dell'inchiesta Incalza.
Oltre all'Accroglianò, gli unici a essere stati messi fuori gioco sono stati il capo di compartimento Anas Toscana, Antonio Mazzeo, e l'ex responsabile del servizio amministrativo Roberto Troccoli: sono serviti i pm che li hanno spediti ai domiciliari in una mega inchiesta sull'Anas di Firenze.
L'accusa? «Un collaudato sistema di corruzione». Insomma, sempre la stessa storia, sempre la stessa azienda.
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