Statali disonesti, licenziare si può. Ma poi in tribunale è una battaglia
ROMA, 25 ottonbre 2015 - LICENZIARLI, si può. Già oggi, con le regole attuali. I dipendenti pubblici assenteisti conclamati. O quelli presi con le mani nel sacco a riscuotere mazzette o a rubare nei bagagli degli aeroporti. Ebbene, per i protagonisti di episodi truffaldini, a Sanremo come a Malpensa o Fiumicino, all’Anas o nelle municipalizzate, può scattare il licenziamento disciplinare prima ancora del verdetto penale. Basta che le amministrazioni o le aziende pubbliche applichino le norme della ‘legge Brunetta’.
A sostenerlo è un esperto del settore come Francesco Verbaro, professore alla Scuola superiore della Pubblica amministrazione: «Già oggi, dopo il decreto legislativo 150 del 2009, il cosiddetto ‘decreto Brunetta’, è possibile avviare il procedimento disciplinare senza attendere quello penale». In effetti, «la singola pubblica amministrazione – spiega Verbaro, ex segretario generale del ministero del Lavoro – deve accertare i fatti e applicare il codice disciplinare, il contratto collettivo e il Testo unico del pubblico impiego. Quest’ultimo prevede, per esempio, che la falsa attestazione della presenza, come nel caso di Sanremo, è fattispecie per il licenziamento disciplinare».
DELLO STESSO avviso l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano: «Evitiamo di inventarci nuove misure per sanzionare i dipendenti pubblici, chi sbaglia può andare a casa subito». Infatti, «la rescissione del rapporto di lavoro – conferma – è prevista in caso di falsa attestazione della presenza in servizio e per assenza ingiustificata superiore ai 3 giorni nell’arco di 2 anni». Quanto richiesto dal commissario Anticorruzione, Raffaele Cantone, è dunque già possibile: non è necessario attendere i tre gradi del processo per mandare via assenteisti, corrotti, truffatori. La riforma dell’ex ministro anti-fannulloni, infatti, ha introdotto tre cambiamenti: la Pa può licenziare senza attendere il giudice penale; in caso di assoluzione e di reintegrazione del dipendente, il dirigente che ha determinato il licenziamento non potrà comunque essere chiamato a risarcire il danno; l’imbroglio del cartellino può essere causa di cacciata immediata, senza necessità di recidiva.
Eppure, la realtà dei fatti è ben diversa. Dei 3,5 milioni di dipendenti, solo 6.900 (lo 0,2%) subiscono contestazioni disciplinari. Di questi, solo 220 (il 3% dello 0,2%!) vengono licenziati: 99 per assenze ingiustificate, 78 per reati, 35 per comportamenti non corretti verso colleghi, negligenza o inosservanza degli ordini di servizio, 7 per doppio lavoro non autorizzato. Più dei 35 licenziamenti di dieci anni fa, ma solo un decimo di quelli che per le stesse ragioni si verificano nel privato.
A BEN VEDERE, quindi, neanche la stretta del 2009 è bastata a far cambiare l’andazzo. Tre quarti dei procedimenti disciplinari si conclude con archiviazione o sanzioni lievi. E nel 95% dei casi si aspetta l’esito – incerto – del processo fino in Cassazione. Si spiegano così i casi ormai famosi delle reintegrazioni eccellenti degli addetti di Malpensa che rubavano nei bagagli, dei croupier ladri del casinò di Sanremo, dei professori che vendevano esami. Attenzione, però. «Occorre sottolineare – ricorda Verbaro – che ci sono sanzioni anche per i dirigenti in caso di mancato esercizio dell’azione disciplinare. I dirigenti hanno, in sostanza, una culpa in vigilando quando non licenziano i dipendenti colti in fallo».
di CLAUDIA MARINA sostenerlo è un esperto del settore come Francesco Verbaro, professore alla Scuola superiore della Pubblica amministrazione: «Già oggi, dopo il decreto legislativo 150 del 2009, il cosiddetto ‘decreto Brunetta’, è possibile avviare il procedimento disciplinare senza attendere quello penale». In effetti, «la singola pubblica amministrazione – spiega Verbaro, ex segretario generale del ministero del Lavoro – deve accertare i fatti e applicare il codice disciplinare, il contratto collettivo e il Testo unico del pubblico impiego. Quest’ultimo prevede, per esempio, che la falsa attestazione della presenza, come nel caso di Sanremo, è fattispecie per il licenziamento disciplinare».
DELLO STESSO avviso l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano: «Evitiamo di inventarci nuove misure per sanzionare i dipendenti pubblici, chi sbaglia può andare a casa subito». Infatti, «la rescissione del rapporto di lavoro – conferma – è prevista in caso di falsa attestazione della presenza in servizio e per assenza ingiustificata superiore ai 3 giorni nell’arco di 2 anni». Quanto richiesto dal commissario Anticorruzione, Raffaele Cantone, è dunque già possibile: non è necessario attendere i tre gradi del processo per mandare via assenteisti, corrotti, truffatori. La riforma dell’ex ministro anti-fannulloni, infatti, ha introdotto tre cambiamenti: la Pa può licenziare senza attendere il giudice penale; in caso di assoluzione e di reintegrazione del dipendente, il dirigente che ha determinato il licenziamento non potrà comunque essere chiamato a risarcire il danno; l’imbroglio del cartellino può essere causa di cacciata immediata, senza necessità di recidiva.
Eppure, la realtà dei fatti è ben diversa. Dei 3,5 milioni di dipendenti, solo 6.900 (lo 0,2%) subiscono contestazioni disciplinari. Di questi, solo 220 (il 3% dello 0,2%!) vengono licenziati: 99 per assenze ingiustificate, 78 per reati, 35 per comportamenti non corretti verso colleghi, negligenza o inosservanza degli ordini di servizio, 7 per doppio lavoro non autorizzato. Più dei 35 licenziamenti di dieci anni fa, ma solo un decimo di quelli che per le stesse ragioni si verificano nel privato.
A BEN VEDERE, quindi, neanche la stretta del 2009 è bastata a far cambiare l’andazzo. Tre quarti dei procedimenti disciplinari si conclude con archiviazione o sanzioni lievi. E nel 95% dei casi si aspetta l’esito – incerto – del processo fino in Cassazione. Si spiegano così i casi ormai famosi delle reintegrazioni eccellenti degli addetti di Malpensa che rubavano nei bagagli, dei croupier ladri del casinò di Sanremo, dei professori che vendevano esami. Attenzione, però. «Occorre sottolineare – ricorda Verbaro – che ci sono sanzioni anche per i dirigenti in caso di mancato esercizio dell’azione disciplinare. I dirigenti hanno, in sostanza, una culpa in vigilando quando non licenziano i dipendenti colti in fallo».
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